Quanto finora raccontato dà un’idea abbastanza chiara della situazione in cui versava Quero, delle possibilità economiche e, in genere, delle abitudini dei suoi abitanti, quando vi arrivò Livio, l’ex partigiano di cui ho fatto già un breve cenno, appena insignito della medaglia d’oro per le gesta compiute durante l’occupazione tedesca, e che manifestò l’intenzione di aprire una sala da proiezioni cinematografiche. Avevamo appena lasciato dietro le spalle gli orrori della guerra e stavamo vivendo il momento magico della svolta epocale dell’Italia intera e, nel suo piccolo, anche di Quero. Livio trovò pertanto un ambiente molto ricettivo che accolse con grande entusiasmo la sua iniziativa dimostrandosi disposto ad appoggiarla con tutti i mezzi a disposizione. Infine ad un eroe del momento, il “capitano Neri” medaglia d’oro al valor militare che aveva valorosamente contribuito alla liberazione e quindi a diffondere l’entusiasmo di cui eravamo tutti pervasi, non poteva essere negato nulla.
Quero liberata cambiò profondamente. Alla grande paura subentrò improvvisamente una grande contentezza, la speranza e poi la certezza che stavano per arrivare cose grandi. Gli americani portarono mille cose piacevoli alcune, come il pane bianco, la cioccolata, dimenticate per la lunga astinenza, altre totalmente nuove. Tra queste la nuova musica americana ( io restai affascinato da Glenn Miller) così diversa da quella “amore che fa rima con cuore” cui eravamo abituati. Venimmo a conoscenza di idee politiche totalmente diverse da quelle inculcateci dalla dittatura fascista.
Le truppe americane installarono il loro campo base nella piazza Marconi e subito familiarizzarono con noi giovani regalandoci ogni ben di Dio compresa un tipo di caramella che tentavamo invano di inghiottire: la gomma americana. Venimmo poi a conoscere la sua vera caratteristica per noi così strana.
Una curiosità. I servizi igienici della mia casa, posta nelle immediate vicinanze della piazza, allora quartier generale dei soldati, erano costituiti da un casottino in legno posto nel suo lato posteriore. La sua vicinanza con il muro dell’edificio creava una specie di accesso tortuoso che ne nascondeva l’apertura di entrata, priva di serramento di chiusura, alla vista di chi arrivava nel mentre sotto al pavimento di legno, munito di un foro centrale, si trovava un’ampia buca scavata nella terra e destinata ricevere tutti i rifiuti organici dì qualunque tipo, rifiuti che era abitudine riutilizzare per la concimazione dell’orto di casa, elemento questo dimostratosi essenziale per la nostra alimentazione durante la guerra.
Una delle regole di base cui doveva uniformarsi la vita in paese era, infatti, questa: nulla deve essere scartato, tutto, perfino i rifiuti, riutilizzato.
La cosa ridicola era rappresentata dal fatto che gli americani, così progrediti in molte cose, scelsero, quale servizio igienico di tutta la truppa di stanza nella piazza Marconi, proprio il descritto rudimentale locale in legno della mia casa adeguandosi, per il suo uso, alle nostre abitudini come ad esempio alla necessità, dovuta alla mancanza della porta, di tutelare la riservatezza con un “occupato” detto ad alta voce. E’ stata quella la volta buona, per la mia famiglia, di conoscere un tipo di carta totalmente sconosciuto: la carta igienica che gli americani posero nel locale in sostituzione dei vecchi giornali che tutti usavamo.
Curioso anche il sistema per segnalare alla truppa il percorso da seguire per raggiungere gli “straordinari” servizi igienici. Si trattava di un lungo nastro di stoffa bianca che dal centro dell’accampamento arrivava, legato da un albero all’altro, fino a dietro la mia casa dove era ubicato il servizio. Il nastro da me ricuperato quando gli americani ebbero lasciato Quero, sarà per anni ed anni utilizzato dalla mia mamma nella confezione, fatta con la macchina da cucire Singer fatta girare a mano, della biancheria personale della mia famiglia.
Ad un certo punto percepimmo chiaramente che la tragica situazione in cui ci aveva condotto la guerra stava per finire e che era in arrivo il momento magico della liberazione. Lo si sentiva nell’aria per il rarefarsi di quella tensione che ci stava opprimendo. I tedeschi non si facevano più vedere. Tutte le sere un piccolo aereo che seguiva il fronte, passava e ripassava, indisturbato a bassa quota, sopra le nostre teste, con un rumore monotono e lento. Nonostante si stessero trascorrendo momenti tragici il buonumore non era venuto completamente a mancare e qualcuno pensò di battezzare quell’aereo con un nomignolo simpatico che entrò subito nel parlare corrente: Pippo. Abbandonato ogni timore imparammo a considerare Pippo un amico che, man mano che percorreva l’Italia da sud a nord, preannunciava zona per zona l’avvicinarsi della liberazione. Vedevamo le colonne di tedeschi in fuga. Prima di fuggire avevano bruciato i documenti della gendarmeria sita nella villa Forcellini. Era rimasto solo un soldato tedesco che faticava a camminare perché sciancato dalla nascita. La popolazione gli voleva bene e qualcuno lo aveva accolto in casa propria per nasconderlo. Si salvò e successivamente poté rimpatriare tranquillamente. Noi giovani di 13-15 anni ci chiedevamo come gli americani potessero arrivare in paese visto e considerato che i tedeschi avevano fatto saltare il ponte di Fener sul torrente Tegorzo e quindi reso impossibile il traffico con mezzi di trasporto. Un bel giorno accorremmo, tra un crepitare di mitragliatrici, a vedere una strana macchina che credevamo un carro armato ma che invece era un comune caterpillar cingolato che aprì in breve una pista da Fener alla località S. Valentino, attraverso il Tegorzo per finire a Quero e ricreare in breve la continuità viaria consentendo alle truppe di arrivare anche nel nostro paese.
Per un’intera giornata noi abitanti del centro abitato restammo rintanati nella cantina dell’unico edificio con solai in cemento armato e che ritenevamo quindi il più sicuro e cioè il municipio, mentre fuori era un continuo sparo di fucili e di mitragliatrici diretti contro non si sa a chi e non si sa dove. Poi, finalmente il silenzio. Uscimmo dall’improvvisato rifugio per vedere le prime truppe americane risalire lungo Via Nazionale.
E’ stata ancora la piazza Marconi il teatro dove il dott. Marchesi accolse le truppe americane sventolando la bandiera italiana. Fu quello un momento veramente felice il cui ricordo è ancora vivo in mè con il suo carico di speranze per un futuro che il mio entusiasmo giovanile faceva apparire molto promettente. La realtà si rivelerà, negli anni seguenti, ancora migliore delle più rosee aspettative.
La descrizione degli usi e costumi dell’anteguerra che sono rimasti impressi nella memoria rappresentano un aspetto della vita di Quero che è necessario riportare per una rappresentazione fedele dell’ambiente nel quale si inserirà l’oggetto principale del racconto e cioè il Cinema Prealpi ed anche per assolvere all’ impegno, preso fin dall’inizio, di mettere in luce i notevoli cambiamenti intervenuti in quest’ultimo mezzo secolo. E’ questa la ragione per la quale, anche nel descrivere azioni relative all’anteguerra, effettuerò delle disgressioni nei periodi successivi tutte le volte che ciò si rivelerà necessario per rendere tali cambiamenti più evidenti.
Quero è un paesino di circa 2000 abitanti sito in posizione collinare, all’estremità sud della Provincia di Belluno che, durante la prima guerra mondiale, è stato completamente distrutto. Al momento di deciderne la ricostruzione si è avuto l’intelligenza ed il coraggio di rivoluzionare totalmente l’assetto riuscendo a dare una disposizione delle vie, degli edifici e più in generale un ordine urbanistico complessivo di elevata qualità. Tracciare quì la breve cronistoria della ricomposizione del paese avvenuta nel dopoguerra del primo conflitto mondiale può aiutare a capire l’intraprendenza, la passione e la voglia di fare dei queresi di una volta e di conseguenza, degli odierni personaggi principali che, loro diretti discendenti e beneficiari, costituiscono l’ossatura del presente racconto.
e subito dopo un estratto dell’Annuario Generale d’Italia anno 1935 nel quale si possono leggere interessante notizie della situazione del paese nell’anno 1935. Io vi ho trovato mio padre, i miei nonni e zii con nominativo ed attività svolte.
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Nella planimetria e nella foto aerea allegate sono schematicamente indicate la situazione antecedente e quella successiva al primo conflitto mondiale. Si può notare la differenza e capire quali enormi difficoltà si siano affrontate e risolte, prima fra tutti quella inerente la riconfinazione delle proprietà private e pubbliche resa necessaria dal nuovo assetto. Nello svolgimento del difficile compito non si è certo lesinato nell’ampliare e raddrizzare le strade né di aggiungerne, quando necessario, di nuove. In pratica le uniche due vie che sono rimaste le stesse di prima sono Via Garibaldi e M. Cornella. Le vie Indipendenza e Nazionale hanno subito radicale trasformazione nel mentre le Vie Roma, Rimembranze, Forcellini, Dante, Cavour e XXXI Ottobre sono tutte costruite ex novo. Tra queste ultime mi piace citarne una che contribuisce notevolmente alla composizione della regolare maglia viaria del capoluogo: Via Rimembranze. Tale strada è costituita da un grande terrapieno realizzato ex novo sbancando la sommità di un colle che si trovava sulla sinistra in fondo al rettifilo per chi scende la Via Nazionale, trasportando e sistemando, con i limitati mezzi di allora, tutto il materiale fino a realizzare il rilevato tutt’ora esistente. Nel contempo, con lo spianamento del colle, si è ricavato un grande terrazzo sul quale trova posto una bella casa con ampio cortile-giardino. Si può farsi un’idea del lavoro compiuto osservando l’allegata vecchia stampa di Via Carniello, attualmente Via Nazionale, nonche della foto successivaa dove è raffigurata una parte di detto colle.
Chi trascorre nella quotidianità la propria vita a Quero e ancor più chi vi passa brevi periodi, non si rende nemmeno conto di quell’autentico prodigio che stò qui tentando di documentare e che, per gli eccezionali risultati, meriterebbe sicuramente adeguati riconoscimenti. Non mi risulta infatti siano nominati tra i documenti ufficiali, nella stampa divulgativa ed in quella storica i nomi degli artefici di tanto ordine e razionalità e, tra tutti, degli ideatori e delle autorità comunali di allora che si sono battuti per realizzarlo. Io credo che la loro riscoperta sarebbe veramente doverosa così come sarebbe bene intitolare ad essi qualcuna delle nuove vie di Quero. Un personaggio che vi ha efficacemente contribuito, che io ho avuto modo di conoscere e che figura in molte delle vecchie foto della ricostruzione di Quero che sono allegate, è Luigi F (la lettera F, iniziale del cognome, serve per distinguerlo da altri Luigi che appariranno più avanti). Abitava in una splendida casa posta sulla via che conduce al Mulino Furlan, circondato da una bella campagna di cui la sua famiglia ha sempre avuto ed ha tuttora una grande cura. In una delle foto annesse è raffigurato il portale di accesso alla proprietà, recentemente restaurato dal nipote di Luigi che ne porta lo stesso nome e che lo ha riportato all’antico ed oggi ancora più apprezzato splendore.
Tra i miei ricordi di gioventù occupa un posto importante la storia del cinema dopoguerra di Quero, un paesino del Bellunese nel quale sono nato e dove ho trascorso la mia gioventù. Mi ritorna spesso in mente e mi fa rivivere le vicende legate alla nascita, alle caratteristiche peculiari ed infine all’incendio che ha decretato la fine, di quell’originale sala di spettacoli. Metterle ora per iscritto costituisce il modo migliore per ricordarle a quanti con me le hanno convissute e per farle conoscere ad altri che, se avranno la pazienza di scorrere fino in fondo queste righe, non potranno che convenire sulla loro interessante eccezionalità.
Quello che manca al racconto è la felice mano di uno scrittore vero che sappia rendere piacevole la lettura come non ha sicuramente saputo fare il sottoscritto. Sarebbe ottima cosa che qualche lettore, che ne avesse le caratteristiche, volesse riprendere il manoscritto e riscriverlo con una diversa impostazione e mano: gli argomenti sicuramente non mancano per ottenere un bel racconto. In realtà una mia precedente versione di questo lavoro è stata in parte rielaborata ed inserita, assieme ad altri racconti, nel Volume “Come eravamo”. E’ a seguito dei riscontri ottenuti in tale edizione che ho ora pensato di aggiornare l’elaborato con la attuale veste, ampliandolo ed aggiungendo le molte fotografie che i miei concittadini mi hanno cortesemente fornito e che offriranno al lettore dei riposanti intervalli nella lettura del testo alle volte troppo tecnico.
L’epoca in cui si svolge il racconto, di per sé densa di avvenimenti straordinari come un fine guerra e il periodo di pace immediatamente successivo, mi ha spinto a corredare il racconto di numerosi episodi e personaggi di contorno e dare così un’immagine completa del cinema inserito nel suo ambiente. In questo contesto ho cercato anche di mettere in risalto la profonda trasformazione intervenuta in un periodo relativamente breve ponendo direttamente a confronto alcuni usi del tempo passato con quelli odierni.
I raffronti riportati potranno sembrare ripetitivi, essi però rappresentano una parte significativa del racconto: da molti di essi sono derivate delle considerazioni forse non sempre condivisibili dal lettore ma che rappresentano il mio modo personale di interpretare gli avvenimenti e di trarne la mia morale. Sarebbe interessante conoscere quali diverse conclusioni indurrebbero nei pensieri altrui gli stessi avvenimenti .
I personaggi, determinanti in tutti gli avvenimenti raccontati, vi figurano soltanto col loro nome di battesimo e sopratutto con gli spunti di vita vera che li hanno caratterizzati e che ne dimostrano la straordinaria vitalità. Gli stessi nomi sono ripetuti alla fine del racconto per formare un gruppo, senza dubbio incompleto, di persone cui si deve buona parte delle vicende che hanno reso Quero quel piccolo paradiso che il sottoscritto tenta qui di descrivere. Come già detto, il testo è corredato di numerose fotografie, alcune molto vecchie, che mi aiutano efficacemente in tale difficile compito.
Per la narrazione non ho attinto ad altra fonte all’infuori della mia memoria nella quale gli avvenimenti erano stivati completi dei dettagli che figurano nel testo. E’ possibile che non tutto ciò che narro corrisponda esattamente a verità essendo passato attraverso il prisma deformante del mio modo di vedere le cose e di mantenerle vive nella mia memoria. Invito quindi chi legge a prendere il racconto per quello che è: non una rigorosa cronologia storica ma una visione personale di un paese che amo, una descrizione del come la mia mente riesce a ricordare i vecchi avvenimenti e del come vorrei continuare a ricordarli aiutandomi con lo scritto. Aggiungo che ho fatto leggere, anche per ottenerne l’autorizzazione alla pubblicazione, ad alcuni dei personaggi citati i capitoli che li riguardano trovando in loro piena conferma della sostanziale veridicità delle descrizioni fatte.
E’ descritto un piccolo cinema del dopoguerra con tutti gli episodi singolari che ne hanno costellato la breve vita. L’interesse per il racconto acquista maggior vigore perché arricchito degli usi e costumi di un paesino di montagna durante un lasso di tempo di una quindicina d’anni a cavallo della seconda guerra mondiale ed inseriti nel testo per una efficace rappresentazione storica dello straordinario evento cinematografico. Al testo sono state allegate numerose foto alcune delle quali, d’epoca, contribuiscono eficacemente ad illustrare i personaggi ed i luoghi.
Alcuni episodi sono stati ripresi ed inseriti, con diverso ordine e contenuto, nel libro “COME ERAVAMO” curato da Piero Tessaro e stampato nel mese di aprile 2006 dalla Tipografia DBS di Rasai di Seren del Grappa (Belluno). Alcuni sono stati inseriti anche nel volume “SI RIAPRE IL SIPARIO” a cura di Alberto Coppe e Fulvio Mondin stampato nel mese di settembre 2008 dalla stessa Tipografia DBS.
La storia riportata in questa sezione, con documenti di vita vissuta, fotografie, figure e tabelle, riguarda gli usi , costumi ed apparecchiature che si usavano nei tempi passati in un piccolo paese del Feltrino e che preme non finiscano nel dimenticatoio perché costituiscono un tesoro, un vero patrimonio . Trova il suo posto in primo piano la vicenda veramente singolare di un cinema del primo dopoguerra seguita nell’ordine da racconti dal vivo di episodi legati a fatti inerenti le due guerre mondiali per terminare con tratti, anch’essi molto interessanti, di peculiari arti e mestieri del tempo.