BARRIERA FRANGIFLUTTO CON PRODUZIONE DI ENERGIA IDROELETTRICA

Brriera flangiflutto

1) PREMESSA

Lo sfruttamento del moto ondoso del mare è da tempo oggetto di studi e sperimentazioni volti alla trasformazione in energia elettrica del suo enorme potenziale.
A quanto risulta a chi scrive le esperienze e gli studi in corso riguardano esclusivamente sistemi che, pur agendo con modalità differenti, hanno il loro comune traguardo nella produzione di energia pulsante cioè caratterizzata da una continua variazione di intensità dovuta all’inevitabile altalenare delle onde del mare.
Un dispositivo poco ingombrante e ad elevata capacità di regolazione del sistema con eliminazione dei picchi e copertura dei punti di minima resa come quello che viene qui proposto, si ritiene possa essere di grande interesse in questi tempi di pressante necessità di produrre energia rinnovabile e lo è maggiormente nel caso svolga un vero e proprio ruolo di accumulazione di energia aumentando la sua producibilità tramite altre fonti secondo le modalità che saranno più avanti spiegate.
L’opera presenta ulteriori vantaggi alcuni, come ad esempio la protezione delle sponde dalla devastante azione delle onde che vi sbattono contro, comuni ai sistemi già realizzati ma altri che se ne distaccano totalmente per le possibilità aggiuntive di sistemazione dei lungomari.

FIGURA N. 1 = VISTA PROSPETTICA DELLA BARRIERA FRANGIFLUTTO

2) DESCRIZIONE DI MASSIMA DEL SISTEMA PROPOSTO

Viene descritta un’opera di marginamento fisso della costa con produzione di energia elettrica ottenuta essenzialmente dall’immissione in pressione dell’acqua del mare in un capace serbatoio interrato. Il serbatoio, di tipo idropneumatico cioè con la struttura del tutto particolare che sarà di seguito illustrata, è in grado di svolgere le seguenti funzioni principali:
– accogliere l’acqua immessavi naturalmente dalla forza d’urto dell’onda o da altri mezzi meccanici,
– conservarla fino al momento della sua utilizzazione,
– livellare, grazie alla grande capacità di invaso, la portata in uscita,
– consentire, con una diversificazione delle pressioni di esercizio, più regimi di funzionamento graduabili in funzione dell’intensità del fenomeno ondoso di per sé molto variabile.
– offrire la possibilità di accumulare l’energia in esubero per renderla disponibile nei successivi momenti di bisogno.

3) IDICAZIONI DI DETTAGLIO

Le opere proposte consistono, come illustrato nella Planimetria di fig. 2 e nella sezione trasversale della fig. 3, in una barriera frangiflutto che segue la linea di costa opportunamente fondata su una robusta palificata e che comprende le seguenti strutture principali.
1) Il dispositivo di captazione
2) Il serbatoio di accumulo
3) La centrale di produzione dell’energia elettrica con annessa sala quadri.

FIGURA 2 = PLANIMETRIA DELLA BARRIERA , DEL SERBATOIO IDROPNEUMATICO E DELLA CENTRALE IDROELEYTTRICA
FIGURA 3 = SEZIONE TRASVERSALE DELLA BARRIERA

L’ossatura principale del manufatto è costituita da un lungo muro di marginamento della sponda sul quale si innestano, lato mare, un numero imprecisato di setti trasversali mentre verso terra trova posto la grande vasca di accumulo denominata specificatamente serbatoio idropneumatico. I setti suddividono il frangiflutto in tante celle di captazione autonome e che immettono l’acqua in pressione nello stesso serbatoio di accumulo.

3.1) IL DISPOSITIVO DI CAPTAZIONE

Essendo dimostrato che il materiale avente le migliori caratteristiche per assorbire ed annullare la forza d’urto delle acque, è, non già quello di tipo rigido e di notevole robustezza, bensì quello flessibile in grado di adattarsi al movimento del mezzo liquido che lo investe subendone danni relativamente meno gravi, sarà di materiale elastico anche la struttura che viene qui proposta per la captazione dell’energia propria delle onde. Si tratta in dettaglio di un diaframma di contenimento (chiamato anche gonna) curvo e a flessibilità controllata dalla pressione del serbatoio e che si estende orizzontalmente per otto metri cioè per tutta la larghezza di ogni nicchia di captazione essendo saldamente ancorato ad una piastra metallica che percorre tutto il perimetro di contatto con la parte fissa in cemento armato. Tale piastra metallica continua e che sporge a 90 gradi dalla superficie del calcestruzzo, è costituita da due elementi orizzontali lungo i due lati superiore ed inferiore mentre in quelli laterali ha un andamento ad arco conformato in base alla curvatura che deve assumere anche il diaframma. E’ infatti tra queste due piastre laterali cha và teso il diaframma in modo da obbligarlo ad assumere, quando è a riposo, il profilo curvo.
Nel lato superiore e nei due laterali, detta piastra metallica sporge dal calcestruzzo per una quarantina di centimetri sufficienti per fissare stabilmente il diaframma e realizzare la sua tenuta idraulica lungo tutto contorno mentre nel lato inferiore la piastra stessa sporge per 1.40 m in quanto, oltre a svolgere il medesimo compito di collegamento, è anche munita di alcune valvole a battente che consentono all’acqua di penetrare dal basso nella cella ma non di uscirne. Sarà una contropiastra metallica, anch’essa continua, che fisserà, tramite una lunga fila di bulloni, tutto il bordo del diaframma garantendone la perfetta tenuta idraulica. Tra contropiastra e diaframma verrà inserito un doppio rinforzo flessibile che ne segue tutto contorno sporgendo verso l’interno al fine di resistere al grande sforzo di taglio che le onde esercitano in tale punto sul diaframma stesso.
La cella è munita di fori di collegamento con la retrostante vasca di raccolta anch’essi dotati di valvola a battente che consente all’acqua l’ingresso in vasca nel mentre impedisce l’uscita di quella precedentemente accumulatavi e che invece vi permane in pressione e pronta ad azionare le turbine di produzione della corrente elettrica.
Ogni cella di captazione è superiormente chiusa a quota + 3.00 metri sul mare da un solaio che costituisce il piano viabile o la passeggiata lungomare.
In definitiva il dispositivo di captazione è composto da tante celle affiancate aventi un’altezza interna che va da –2.75 a + 3.00, ognuna delimitata superiormente dal solaio di copertura e verticalmente in tre lati da una parete in calcestruzzo ed invece, dal lato mare, da un diaframma o gonna elastica ad arco inclinato. La cella è collegata nella sua parte inferiore sia col mare aperto e sia con il retrostante serbatoio idropneumatico tramite aperture munite di valvole di non ritorno che vincolano la direzione dell’acqua del mare tassativamente secondo il percorso mare – cella – serbatoio idropneumatico.
Da rilevare come, prima dell’inizio della normale attività del dispositivo, sia necessario estrarre tramite la pompa a vuoto di cui è dotata la centrale tutta l’aria contenuta nella parte superiore della cella. Una volta completata questa operazione, sarà la pressione atmosferica a mantenere la cella stessa, per tutta la durata dell’ esercizio, totalmente piena d’acqua. Allo scopo il diaframma dovrà non solo possedere l’elasticità necessaria per cedere alla forza delle onde e quindi svolgere compiutamente la sua principale funzione che è l’immissione in serbatoio di cospicui volumi d’acqua, ma dovrà anche resistere alla depressione interna provocata da detta pompa a vuoto senza subirne eccessive modifiche, essendo teso tra le due piastre laterali curve. Il materiale da usare per il diaframma dovrà pertanto essere studiato e sperimentato visto che la sua duplice funzione è basilare per il funzionamento delle opere. Una possibile variante costruttiva del diaframma potrebbe anche riguardare la posa in opera di robuste funi o nastri elastici ben tesi ed in numero da definire, lungo la superficie interna del diaframma per rinforzarne la resistenza. Esiste anche la possibilità di fissare al diaframma dei pani di piombo che, durante la fase di arretramento dell’onda, contribuiscano a riportarlo nella posizione di riposo. E’ però da notare come la depressione da vincere nell’azione sussidiaria del diaframma sia assai modesta essendo pari ad una colonna d’acqua di soli tre metri.
In fase di normale esercizio l’automatismo terrà sotto controllo la cella di captazione provvedendo, tramite la pompa a vuoto, ad evacuare l’aria che vi si fosse accidentalmente accumulata.

i deve però tener presente che la cella, posta tra diaframma e parete del serbatoio, comunica con  l’esterno soltanto tramite il foro inferiore  sotto il livello del mare e  munito di valvola di ritegno. Non esiste quindi  nessun collegamento tra cella ed atmosfera per cui, una volta eseguito con  la pompa a vuoto la prima estrazione di tutta l’aria, da quel momento in  poi nella cella potrà entrare solo l’acqua del mare appunto tramite il foro sempre immerso nell’acqua del mare.
Ed ecco il dinamismo di captazione ed immissione dell’acqua in serbatoio.
E’ noto come in mare aperto sia solo l’onda che si sposta mentre ogni singola particella d’acqua che la compone descrive, in verticale, una traiettoria circolare rimanendo sempre nella stessa zona. In riva al mare ha luogo, invece, lo spostamento, in direzione perpendicolare alla costa, di una grande massa d’acqua che, con moto alterno, va a sbattervi violentemente contro. Sono queste masse d’acqua che, opportunamente orientate dai due setti laterali di ciascuna cella, premono con violenza contro il diaframma elastico e, vintane la resistenza elastica, lo forzano ritrarsi verso terra e ad assorbire interamente l’energia senza che abbiano origine onde riflesse di ritorno.
La barriera ha così svolto il suo compito di protezione della riva dai danni dovuti al moto ondoso nel mentre il forzato arretramento del diaframma ha ridotto il volume interno della cella causando l’immissione in serbatoio di un quantitativo d’acqua più o meno consistente e ad una pressione variabile a seconda dell’ampiezza e della forza dell’onda del momento. La caratteristica di incomprimibilità dell’acqua quando, come detto, sia evitata la presenza anche minima dell’aria, assicura che ad ogni movimento del diaframma corrisponda un trasferimento d’acqua dalla cella al serbatoio riuscendo a vincere la pressione interna del serbatoio stesso.
Finita la sua fase attiva, l’onda si ritira verso il mare aperto e il diaframma, spinto dalla sua elasticità ed eventualmente da quella esercitata dalle funi elastiche di rinforzo o dai pani di piombo, tende a riportarsi nella sua posizione di riposo provocando l’immissione nella cella di nuova acqua spinta dalla pressione atmosferica ad attraversare le valvole di cui è munita la piastra inferiore.
Da rilevare come ogni cella, pur immettendo acqua in pressione in uno stesso serbatoio, eserciti la sua azione indipendentemente da quella delle altre con un duplice vantaggio. Innanzitutto viene scongiurato il pericolo che contro il diaframma avessero ad esercitarsi in coincidenza, come accadrebbe se essa fosse ininterrotta per l’intera lunghezza del marginamento, una pressione positiva e una negativa, e quindi di risultato nullo, dovute alla presenza contemporanea di due onde di direzione opposta .
In secondo luogo l’azione autonoma ed assolutamente alterna delle varie celle costituisce una sequenza ininterrotta di immissioni elementari in serbatoio che si susseguono a brevissimi e casuali intervalli di tempo il ché provoca una prima importante continuazione dell’entrata d’acqua nel serbatoio, data dalla somma di dette immissioni elementari.
Sarà poi il serbatoio con il suo notevole volume idrico e con quello del cuscinetto d’aria a completare l’opera di normalizzazione del flusso che, al momento della sua uscita finale per giungere alla turbina, risulterà assolutamente uniforme e quindi senza più risentire dell’altalenare delle onde.
Una ultima, importante, osservazione sul diaframma elastico. Ad avviso di chi scrive il contrapporre alla forza d’urto delle onde una gonna elastica presumibilmente rinforzata da funi anch’esse elastiche, rappresenta quanto di meglio si possa prevedere sia per le caratteristiche proprie di tale struttura che, proprio grazie alle sue doti di flessibilità, è in grado di adeguarsi alle variabilissime onde del mare seguendone la forma ed i ritmi grazie anche alla tecnica costruttiva che ai nostri giorni ha raggiunto, anche in tale settore, traguardi ambiti. Ne fanno fede, in campo idraulico, le molte applicazioni di apparecchiature un tempo basate su strutture metalliche a battente ed oggi vantaggiosamente sostituite da guaine elastiche che ad una ottima funzionalità aggiungono una lunga durata ed una totale assenza di colpi d’ariete e rumori fastidiosi.
L’impiego del diaframma elastico è tutt’altro che nuovo anche in lavori marittimi essendo usato con soddisfacenti risultati per la costruzione di barriere mobili gonfiabili o fisse dando prova, anche in tale campo, di ottima flessibilità, funzionalità e durata.
In ogni caso quando anche si nutrissero dei dubbi sulla efficacia e resistenza della descritta gonna elastica sarebbe possibile dotare la cella di captazione, in alternativa al diaframma, di un portellone mobile metallico munito di guarnizioni di tenuta come illustrato nella fig. 4 e di robuste molle atte a farlo ritornare nella posizione di riposo, ferme restando tutte le altre modalità di esercizio dell’impianto.
Una ulteriore variante rispetto al progetto riguarda la possibilità di eliminare del tutto il diaframma per prevedere che sia la pressione d’urto delle onde a far entrare direttamente l’acqua del mare nel serbatoio idropneumatico tramite delle bocche di presa tronco coniche appositamente studiate. Si tratterebbe di una notevole semplificazione delle opere di captazione ma, a giudizio di chi scrive, meno efficace di quella in progetto nella captazione della potenza d’urto delle onde e, sopratutto, non in grado di eliminare, come il diaframma elastico, le onde di riflessione.

FIGURA N. 4 = SEZIONE DELLA BARRIERA CON PARATOIA METALLICA
3.2) IL SERBATOIO DI ACCUMULO E REGOLARIZZAZIONE DEL FLUSSO

Un serbatoio di accumulo destinato ad alimentare una centrale di produzione di energia elettrica come quello in oggetto è normalmente costituito da una vasca sopraelevata rispetto al punto di restituzione, in questo caso costituito dal mare. Chiaramente la realizzazione lungo il bordo marino di una struttura di questo tipo, oltre ad alcuni inconvenienti riguardanti l’esercizio, presenterebbe dei problemi di impatto ambientale assolutamente insormontabili per cui non potrebbe nemmeno essere presa in considerazione.
Si prevede invece di sostituirla con il serbatoio idropneumatico cioè con una struttura che, oltre a trovare la sua collocazione ideale nel sottosuolo e a ridosso delle celle di captazione di cui al capitolo precedente, presenta delle favorevolissime caratteristiche di funzionamento.
La struttura, che segue in tutta la sua lunghezza la barriera frangiflutto integrandosi perfettamente con l’ambiente, costituisce una notevole capacità di invaso destinata ad essere alimentata da una lunga serie di immissioni elementari operate dalle singole celle di captazione, eventualmente integrate da altre fonti energetiche come sarà proposto nella variante di cui al cap. 4, nel mentre il flusso in uscita verso le turbine è unico, uniforme e con possibilità di esercizio diversificate in quanto è consentito cambiare la pressione e quindi il salto utile dell’acqua per la produzione dell’energia elettrica. Per continuare nella similitudine con il serbatoio dell’ipotesi precedente si può affermare che quello in argomento è equiparabile ad una serie di vasche sovrapposte con possibilità di utilizzazione dell’una o dell’altra a seconda delle necessità. In un giorno di tempesta quando si hanno onde di estrema potenza e quindi in grado di spingere l’acqua a 10 e più metri di altezza si apre la vasca superiore, se la potenza diminuisce si passa a quella intermedia per finire a quella di soli 3 m di quota quando il mare è meno mosso. Tutto questo può essere molto più facilmente attuato dal serbatoio idropneumatico.
Tale struttura, i cui dettagli saranno riportati nel seguente cap. 3.2) = “Il serbatoio di accumulo e regolarizzazione del flusso”, è costituito da un grande contenitore a tenuta ermetica caratterizzato dalla presenza nella sua parte superiore di un capace cuscinetto d’aria la cui pressione può essere variata a seconda delle necessità aprendo delle valvole di scarico o immettendo nuova aria con i compressori. Una volta stabilito un determinato regime di esercizio dato dalla pressione iniziale dell’aria, il serbatoio si regola da solo senza alcun intervento dei compressori e funzionando in maniera del tutto analoga ad un serbatoio sopraelevato posto di volta in volta a quote variabili e corrispondenti alle pressioni prescelte. Si intuisce quali sono le grandi possibilità di una struttura così versatile ed utilizzata per catturare una energia così saltuaria e variabile come sono le onde del mare. Significa non solo adeguare di ora in ora la capacità di captazione alle occasioni del momento ottenendo il risultato di poter accumulare nello stesso spazio sia grandi quantitativi di energia quali sono quelli del mare in tempesta e contemporaneamente di contrapporre alla forza d’urto delle onde una barriera mobile in grado di resistervi grazie alla maggior pressione del serbatoio come pure, nel caso di mare più calmo, di raccoglierne la diminuita forza con un diaframma più arrendevole alla più debole spinta dell’onda ed ad un diminuito sforzo di ingresso dell’acqua.
Siamo infatti in presenza di un diaframma a flessibilità controllata in grado di contrastare razionalmente la violenza delle onde.

FIGURA N. 5 = VEDUTA PROSPETTICA DELLA BARRIERA

Da ribadire inoltre la prerogativa nettamente favorevole che ha il serbatoio con il suo grande cuscinetto d’aria di livellare le spinte delle onde eliminandone totalmente i picchi e colmando ogni sia pur minimo punto di flesso. Inoltre si può affermare che il serbatoio risolve almeno in parte, uno dei problemi basilari della moderna società e cioè l’accumulo di energia, problema che si è tentato in più modi di risolvere senza risultati di rilievo. Tra di questi vanno ricordati gli impianti idroelettrici reversibili cioè dotati di macchine a doppio uso e di lago di accumulo a monte ed a valle. In tali casi, se durante determinati periodi le turbine ed alternatori producono la richiesta energia elettrica, in quelli successivi si trasformano rispettivamente in pompe e motori elettrici per risollevare l’acqua nel bacino superiore e realizzare in tal modo l’accumulo dell’energia di supero momentaneo. Si tratta però di impianti molto costosi e con rilevanti perdite di rendimento. Altre modalità di accumulo sono costituite dagli accumulatori elettrici ricaricabili che presentano però l’inconveniente di consentire risultati di entità molto piccola. Infine le moderne ricerche sono orientate verso sistemi ad idrogeno il quale, una volta prodotto tramite energia elettrica di supero, consentirebbe una utilizzazione dilazionata nel tempo e dislocata ovunque. La funzione di accumulo che può svolgere il serbatoio idropneumatico di grandissime dimensioni che fa parte delle opere qui descritte, si affianca efficacemente a tali sistemi potendo accumulare energia principalmente prodotta dalla violenza delle onde ma anche di qualsiasi altro tipo come ad esempio quella prodotta da pannelli solari (vedi variante del cap. 4) oppure di supero delle rete Enel.

3.3) LA CENTRALE DI PRODUZIONE DELL’ENERGIA ELETTRICA

La centrale di produzione, anch’essa ubicata nel sottosuolo ed a ridosso delle celle di captazione e del serbatoio idropneumatico, sarà munita delle seguenti apparecchiature:
A) Le pompe a vuoto in grado di svuotare le celle di captazione delle sacche d’aria che avessero da formarvisi,
B) le turbine atte, con possibilità di regolazione oppure con una serie diversificata di macchine, a sfruttare i diversi regimi di funzionamento dell’insieme in oggetto in uno con gli annessi alternatori di produzione della corrente
C) le apparecchiature di regolazione del cuscino d’aria e cioè i compressori e le valvole di scarico,
D) Le apparecchiature di comando e controllo automatico e manuale degli impianti da installare in apposita sala quadri. Esse dovranno provvedere alla impostazione dei regimi di funzionamento in funzione della potenza di immissione reale d’acqua e del livello e della pressione del serbatoio di ora in ora, alla messa in moto alla regolazione delle pale e all’arresto delle turbine, al mantenimento del cuscino d’aria nonché alla misura e al controllo generale di funzionamento emettendo, se necessario, gli opportuni allarmi.

FIGURA N. 6 = SEZIONE DELLA SALA TURBINE-ALTERNATORI

Visti i modesti salti disponibili, presumibilmente da 2 a 20 metri, si presume che le turbine saranno del tipo Kaplan a doppia regolazione e quindi delle pale e del distributore al fine di poter seguire la variabilità di energia disponibile.
Il manufatto della centrale è costituito da un parallelepipedo posto in continuazione del serbatoio e quindi avente la stessa sezione trasversale ed una lunghezza atta a contenere le apparecchiature elettromeccaniche ed elettroniche elencate. Il tutto come schematicamente indicato nelle fig. 2 e 6

4) VARIANTE CON PANNELLI SOLARI DI INTEGRAZIONE DELLA PRODUZIONE IDROELETTRICA

Come descritto nei precedenti capitoli una delle strutture innovative del presente progetto consiste nella presenza del serbatoio idropneumatico in quanto struttura atta ad accumulare per tempi più o meno lunghi l’energia in esubero per renderla disponibile quando sarà maggiore la richiesta. Una sua utilizzazione integrativa di quella descritta è quella rappresentata nei disegni schematici allegati e consistente nella installazione superiormente ai setti in cemento armato di una lunga serie di pannelli solari in grado di produrre energia elettrica in alternativa o in aggiunta a quella dovuta alle onde del mare, energia che potrebbe essere utilizzata direttamente oppure contribuire all’accumulo di acqua in pressione nel serbatoio idropneumatico tramite installazione di una serie di pompe sommerse. Da rilevare come il prevedibile alternarsi di periodi temporaleschi a forte vento ed onde impetuose del mare con periodi di bonaccia e sole splendente, garantisca comunque una buona produzione elettrica dovuta ai due diversificati sistemi .

5) LA COSTRUZIONE E L’ESERCIZIO DEGLI IMPIANTI

L’impianto di ammortizzazione dei flutti e di produzione di energia elettrica dovrà in anteprima essere dimensionato in funzione delle caratteristiche del moto ondoso che statisticamente si verificano nel luogo di impiego accuratamente studiate tramite una lunga campagna di rilievi ed esperienze.
Lo studio dovrà interessare ognuno dei componenti dell’impianto, nessuno escluso, tenendo presente che quanto al riguardo è riportato in questa breve relazione non rappresenta che una descrizione sommaria avente il solo scopo di tracciarne i concetti di base mentre la loro effettiva realizzazione potrebbe discostarsene notevolmente.
Le possibili diversificazioni potranno vertere su una cella di captazione di larghezza diversa di quella qui presunta in otto metri in quanto si sarà, ad esempio, definita una dimensione più adatta ad incanalare opportunamente il flusso delle onde. Il diaframma elastico potrà richiedere anch’esso quelle diverse dimensioni e forma che si riveleranno particolarmente atte a svolgere il grave compito che gli viene assegnato tenendo conto delle diverse tipologie di materiale elastico da adottare disponibile in commercio o che dovesse essere appositamente costruito ex novo.
Anche le quote altimetriche del fondo e della sommità della barriera, da studiare località per località, rivestono una importanza capitale nella progettazione così come anche la forma e le dimensioni da assegnare al serbatoio idropneumatico nonché tutte le sue possibili varianti di volume utile, di pressioni e di regime di funzionamento. Tutto questo senza parlare dei gruppi turbina-alternatore e delle loro innumerevoli modalità di costituzione, di regolazione delle pale e di esercizio.
Un breve accenno deve essere fatto anche nei riguardi delle modalità costruttive e di manutenzione delle opere e particolarmente del diaframma elastico che, essendo per buona parte costantemente immerso in acqua marina, impone, sia nella fase iniziale costruttiva e sia per eventuali successivi interventi di manutenzione, la messa all’asciutto della cella di captazione. Dovranno pertanto prevedersi le opere provvisionali, non indicate nei disegni allegati, come i gargami opportunamente inseriti nei setti ed atti a contenere i panconcelli di salvaguardia dalle acque del mare e di svuotamento della cella dal’acqua.
Si tratta in definitiva di un insieme di opere del tutto nuovo, da scoprire e da verificare con rilievi ed accertamenti preventivi e da mettere successivamente a punto durante l’esercizio. A quest’ultimo riguardo è da rilevare come, a fronte della complessità del compito da svolgere, sussista un fattore che senza dubbio gioca a favore di un risultato finale positivo e che è dato dalla presenza, assolutamente innovativa, del serbatoio idropneumatico il quale conferisce al sistema una notevole elasticità consentendo, anche ad opera ultimata, notevoli varianti di funzionamento e conseguenti adattamenti alla situazione reale quale risulta dalle esperienze che l’esercizio effettivo non mancherà di offrire.

6) NOTE SUL COMPORTAMENTO DEL SERBATOIO IDROPNEUMATICO

Le caratteristiche del serbatoio idropneumatico sono in dettaglio leggibili qui  oppure nel n 2/2003 Della rivista “L’Acqua”, organo della Associazione Idrotecnica Italiana, dove figurano il grafico delle sue condizioni generali di funzionamento ed anche una bibliografia con il titolo di memorie che riportano alcune realizzazioni effettivamente portate a termine, sia pure in settori diversi da quelli marini, del serbatoio idropneumatico in oggetto. Si ritiene utile riportarne una parte perchè specificatamente pertinente all’impiego qui previsto. In sintesi, se a serbatoio vuoto si avrà cura di immettere aria compressa fino ad una pressione di 0.2 atmosfere, nelle successive fasi di ingresso d’acqua in pressione il volume accumulato varierà secondo i dati della seguente tabella riportati anche nel grafico della fig. 7:

TABELLE DELLE ALTEZZE D’ACQUA IN SERBATOIO E DELLE CORRISPONDENTI PRESSIONI
Figura n. 7 = DIAGRAMMA PRESSIONE/RIEMPIMENTO DEL SEBATOIO IDROPNEUMATICO

La zona di funzionamento che qui interessa è quella rappresentata in segno marcato e che prevede con un riempimento minimo del 50% del volume utile cui corrisponde una pressione di 0.4 atm pari ad una colonna d’acqua di quattro metri, del 70% con sette metri e del 90% con venti metri. Da qui si comprende come il serbatoio possa adeguarsi ottimamente alle variazioni della energia trasmessa dal moto ondoso. Il suo grado di riempimento e la relativa pressione dipendono da due fattori contrapposti: da una parte la potenza delle onde che le fa crescere entrambi, dall’altro l’uso che se ne fa per produrre energia elettrica che le fa calare.
Senza entrare nei dettagli di funzionamento dei gruppi turbina-alternatore e delle relative regolazioni che richiedono una conoscenza specifica, al solo scopo di far capire le grandi possibilità del serbatoio idropneumatico, si può prevedere in linea di massima un esercizio a tre diversi regimi :
1^ regime = bassa portata , pressione m. 5 percentuale di riempimento = 60%
2^ regime = portata media, pressione 12 m, percentuale di riempimento =82%
3^ regime alta portata, pressione 20m. ,percentuale di riempimento =90%
Poiché il funzionamento ideale dell’impianto richiede di evitare un esercizio ad intervalli più o meno lunghi a favore di quello continuativo che fornisce energia elettrica più pregiata, si prevede di far funzionare sempre il gruppo di potenza inferiore rispetto a quella disponibile e di mantenerlo, anche in fase crescente del vento, in esercizio continuativo grazie alle sue possibilità di regolazione delle pale e del distributore e ciò finché le condizioni del serbatoio non abbiano raggiunto la fase superiore cui corrisponderà l’avviamento del gruppo anch’esso di classe superiore. In fase calante del vento si seguiranno, ovviamente, regole del tutto simili ma di segno opposto: come il serbatoio non è più in grado di mantenere le condizioni di portata e pressione relative ad una determinata fase, viene declassato il gruppo turbina che rimane in moto finché non si raggiunge la fase più bassa per passare nuovamente ad una classe inferiore di turbina qualora il vento continuasse a scemare.
Ovviamente la pressione rimane costante quando si riesce a far coincidere la portata della turbina con quella entrante in serbatoio.
Tutte le manovre vengono compiute in automatico grazie al sistema di comando e controllo che regola il funzionamento delle turbine in funzione dei livelli, della pressione in serbatoio e sulla base dei concetti ora enunciati.
Qualora la barriera sia dotata anche di pannelli solari e di pompe di immissione integrativa in serbatoio dell’acqua marina, il comportamento dell’insieme varia in funzione delle ulteriori disponibilità energetiche derivate dai pannello solari stessi.

7) UTILIZZAZIONE DEL SERBATOIO IDROPNEUMATICO PER ACCUMULAZIONE ENERGIA ELETTRICA IN ECCESSO

Essendo la barriera frangiflutto una struttura prevista per lunghezze notevoli di sponde da proteggere, in teoria anche il serbatoio idropneumatico che ne costituisce un elemento fondamentale potrà essere di lunghezza altrettanto cospicua e quindi cospicuo anche il volume dell’invaso. Questa caratteristica assai importante oltre che regolarizzare la produzione di energia elettrica che potrà essere costantemente prodotta  in funzione dei fabbisogni, il grande invaso potrebbe anche svolgere una importante azione sussidiaria come quella di servire da accumulo di energia elettrica di esubero in quanto prodotta nelle ore di mancati consumi. Si tratterebbe di contribuire ad una  mancanza di grandi  possibilità viste le difficoltà nella realizzazione  di grandi e preziosi accumuli di corrente elettrica  i quali, al momento attuale, sono esclusivamente costituiti da impianti idroelettrici detti reversibili in quanto hanno la possibilità di effettuare la  duplice funzione di produzione di energia elettrica ottenuta utilizzando l’acqua del lago superiore che viene fatta cadere in quello inferiore ed anche di accumulo dell’acqua del lago inferiore che viene ripompata nel lago superiore grazie all’uso alternativo delle apparecchiature reversibili ed in dettaglio delle turbine che diventano pompe e degli alternatori che, trasformati in motori elettrici, innalzano l’acqua  fino al lago superiore. Si tratta però di impianti in numero molto piccolo e quindi ij grado solo di sopperire in minima parte al fabbisogno. In questo senso sarebbe molto utile l’uso dei grandi serbatoi idropneumatici di cui al presente progetto, che sarebbero in grado di svolgere lo stesso compito utilizzando la corrente elettrica di supero per riempirli onde poter ricuperare corrente elettrica nelle ore di aumentato fabbisogno.

8) CONCLUSIONI

Si è descritto un sistema frangiflutto in grado di attuare anche lo sfruttamento della forza d’urto delle onde del mare per produrre energia elettrica. Si tratta di dispositivi del tutto simili a quelli in corso di sperimentazione da molto tempo ma dai quali si distinguono per la presenza di un componente essenziale per la regolarizzazione dei flussi e cioè per trasformare un’energia pulsante come quella delle onde in una che si mantiene costante per periodi di una durata compatibile con una sua utilizzazione ai fini idroelettrici. Il dispositivo in parola è il serbatoio idropneumatico finora mai utilizzato in applicazioni del genere ma che, ad avviso di chi scrive, è atto a svolgere nel migliore dei modi tale gravoso compito.
Un altro elemento notevole è dato dal diaframma elastico con cui si prevede di assorbire l’energia del moto ondoso per proteggere efficacemente la sponda e, al tempo stesso, produrre energia elettrica. In variante si è prevista la presenza di pannelli solari ed eventuale impianto di sollevamento atto ad incrementare il volume idrico nel serbatoio e quindi all’accumulo dell’energia in esubero.
Caratteristiche fondamentali del sistema sono la sua grande elasticità di esercizio che gli consente di modificare sostanzialmente le modalità di funzionamento al variare dell’intensità del moto ondoso, la possibilità di costituire un accumulo di energia utilizzabile in tempi diversi ed infine il modesto impatto ambientale essendo le opere per la gran parte sotterranee mentre quelle in vista sono del tutto simili alle normali opere di sistemazione del lungomare delle comuni centri balneari di cui possono costituire una efficace, utile sistemazione.

A chiusura della proposta qui riportata si fa rilevare un difetto fondamentale che contraddistingue negativamente tutte le modalità di produzione eoliche di energia per gli eccessivi costi di manutenzione ed esercizio. Si pensi ad esempio alle fonti eoliche o quelle fotovoltaiche disseminate in una miriade di eliche rotanti o di pannelli solari. La barriera frangiflutto qui descritta presenta il vantaggio notevolissimo di concentrare la produzione di un tratto di costa marina della lunghezza di parecchi chilometri in una unica centrale idroelettrica ottenendo il duplice vantaggio di compensare gli sbalzi di energia che vi si riscontrano ed al tempo stesso di facilitare l’esercizio essendo da gestire una singola centrale.

INDIETRO  AVANTI

UTILIZZARE LE ONDE DI MARE PER PRODURRE ENERGIA ELETTRICA

 

 

Le onde in oggetto , specialmente nei periodi di mare mosso oppure di bufera, possiedono una immensa potenzialità che già viene sfruttata  nei modi più disparati ma tutti molto efficaci nella produzione di energia ricambiabile e con problemi minimi di impatto ambientale .

In questa nota si descrive una modalità di nuovo tipo essendo basata sulla utilizzazione di una struttura innovativa e poco usata nonostante le sue grandi  possibilità: il serbatoio idropneumatico.

Veduta prospettica della barriera frangiflutto con produzione di energia elettrica

Il principio sul quale si basa il dispositivo consiste nel trasformare una potenza variabilissima come quella delle onde che sbattono violentemente contro la costa, in un carico idraulico la cui caratteristiche sia invece quella di possedere una potenza nominale assolutamente stabile. Descritto in modo facilmente comprensibile, il lavoro che si vuole compiere è sfruttare la potenza dell’onda per sollevare l’acqua del mare in un serbatoio sopraelevato rispetto al livello del mare stesso. Un’opera atta allo scopo potrebbe per esempio essere un serbatoio che segue per un lungo tratto il bordo mare  avendo un livello di invaso pari, ad esempio, a 5 metri. Quando arriva l’onda si tratterebbe di trasformarne la potenza in modo da sollevare un certo quantitativo d’acqua e farlo arrivare all’interno del serbatoio. Una volta completato l’invaso, l’acqua restituita al mare potrebbe sfruttare il salto disponibile e pari a 5 m, per produrre energia elettrica tramite i tradizionali gruppi turbina/alternatore.

Un’opera del genere oltre che irrealizzabile per il suo danno ambientale ha il difetto sostanziale di  definire in maniera fissa l’altezza  cui sollevare una tipologia d’acqua come quella del mare la cui caratteristica idraulica  è quella di essere spinta da forze continuamente variabili e quindi incompatibili con il livello fisso del descritto serbatoio.

Planimetria generale di insieme

Si noti nella seguente sezione  la guaina curva e flessibile che oltre a costituire il miglior mezzo per attenuare la potenza distruttrice delle onde,  arretrando rispetto al mare aperto riesce a spingere  nel serbatoio l’acqua precedentemente immagazzinata nel retrostante interspazio guaina – calcestruzzo tramite il gioco delle valvole di ritegno che le permettono il solo senso di moto da mare aperto a serbatoio impedendone in ogni caso l’arretramento. Il suo ritorno da serbatoio al  mare deve forzatamente avvenire attraverso le turbine visibili nella figura seguente e quindi con produzione di energia elettrica.

 

Sezione trasversale del serbatoio idropneumatico e della cella di cattura delle acque con guaina elastica curva

La soluzione qui proposta risolve questo problema utilizzando non già un serbatoio tradizionale bensì quello di tipo idropneumatico che ha la caratteristica di fungere da serbatoio sopraelevato con una notevole  diversificazione del carico dell’acqua contenuta  e dovuta alla presenza di un cuscino d’aria interposto tra il pelo libero dell’invaso ed il suo soffitto che deve essere a perfetta tenuta d’aria compressa.

In questa sede vengono fornite solo indicazioni di larga massima rinviando all’articolo “barriera frangiflutto con produzione di energia elettrica”  per poter leggere i particolari costruttivi e di esercizio della barriera frangiflutto.

 

 

Sezione trasversale della sala turbine /alternatori.

Come conclusione della nota si può affermare, riassumendo quanto è dettagliatamente spiegato nel progetto citato, che la soluzione proposta oltre ad assolvere al suo compito principale di proteggere la sponda dalle devastazioni che un’onda libera potrebbe apportare, ne sfrutta la potenza per produrre utilissima corrente elettrica di tipo rinnovabile.

LO SBARRAMENTO MOBILE DI FOCE

Lo sbarramento di foce

1. PREMESSA

Sono ben note le difficoltà in fatto di approvvigionamento idrico dovute alla inevitabile e continua diminuzione di portata delle fonti tradizionali a fronte di fabbisogni idrici che aumentano di anno in anno.
Oltre al rifornimento idropotabile, la crisi investirà particolarmente l’agricoltura che abbisogna di quantitativi molto ingenti del prezioso elemento anche a seguito del progressivo aumento delle aree da assoggettare ad irrigazione.
Per farvi fronte si pensa di utilizzare tutti i mezzi possibili come ad esempio i laghi artificiali da costruire mediante dighe di ritenuta ed atti ad immagazzinare l’acqua dei periodi piovosi per utilizzarla nelle altre stagioni, la metodologia Asr (Acquifer storage and recharge) che prevede, allo stesso scopo, di accumulare forzatamente nel sottosuolo ingenti quantitativi d’acqua durante le stagioni piovose, il riutilizzo delle acque reflue ed infine l’ampliamento e la razionalizzazione degli impianti di captazione delle fonti tradizionali come sono, per l’acqua potabile, quelle di falda e di sorgente e di acqua superficiale potabilizzata, per quella irrigua le prese di acqua superficiali dai fiumi per lo più distribuita grezza.
A giudizio di chi scrive tali mezzi, per le obbiettive difficoltà di esercizio ed per i danni ambientali che ne impediranno in molti casi la realizzazione, non saranno comunque sufficienti per coprire gli aumentati fabbisogni. Uno dei modi per avere a disposizione ingenti quantitativi del prezioso elemento è, a giudizio di chi scrive, quello di utilizzare in maniera diversa da come fatto finora, l’acqua fluente dei grandi fiumi Italiani.
Nella presente nota si analizzano sommariamente le modalità proposte a tale scopo e con il solo intento di sottoporle a discussioni e verifiche di fattibilità per il loro rilevante impegno economico, impatto ambientale ed infine per i rischi di vario genere che, a fronte di indubbi vantaggi, sono però insiti nella loro complessa attuazione. D’altro canto, se mai non si tentassero vie nuove, i vari problemi non sarebbero mai risolti.

2. CARATTERISTICHE DELL’ACQUA FLUENTE NEI FIUMI

I fiumi sono i naturali ricsbarramento di foceettori di tutte le acque che scorrono in superficie e nei primi strati di terreno per tutta la superficie del bacino imbrifero che ognuno di essi sottende.
Vi si raccolgono tre tipi principali di acque:
– quelle naturali che provengono dalle sorgenti, dagli affluenti, dai vari compluvi di tutto il bacino imbrifero e che vi si raccolgono durante i periodi piovosi, quelle che provengono dai primi strati del sottosuolo permeabile cioè dalle acque di percolazione derivate da atmosfera o da corsi d’acqua che costituiscono la falda freatica ed infine quelle dovute allo scioglimento dei ghiacciai montani. In alcuni casi sussiste uno scambio alternato da stagione a stagione tra falda freatica e fiume e da fiume a falda;
– le acque degli scarichi reflui dei centri abitati e delle aree industriali situati all’interno del bacino imbrifero che vengono tutte scaricate nel fiume o nei suoi affluenti dopo aver subito tutte od in parte il trattamento di depurazione. Fanno eccezione i centri posti in prossimità del mare che scaricano direttamente in quest’ultimo;
– le acque di risulta dell’irrigazione delle campagne che finiscono nel fiume di solito cariche di materie inquinanti.

Per l’efficacia delle opere che qui vengono proposte è richiesta obbligatoriamente la depurazione preventiva delle acque di scarico degli impianti fognari di tutti gli abitati e delle zone industriali mentre per quelle dell’irrigazione agricola deve essere evitato ogni tipo di inquinamento delle falde o degli emissari.
In altri termini la condizione di base, in ogni caso necessaria per la salvaguardia ambientale e comunque imposta dalla norme di legge, è quella che vede già completata la realizzazione di tutti gli impianti di depurazione in modo da avere i fiumi percorsi da acque che abbiano riacquistato la purezza che avevano in origine e nelle quali vivano, come un tempo, i pesci. Se tali condizioni non fossero in futuro raggiunte ed i fiumi fossero invece costretti a ricevere grandi quantitativi di sostanze inquinanti, come accade ai nostri giorni, sorgerebbero problemi così gravi per l’ambiente che quello della scarsità d’acqua e del rimedio che qui viene proposto passerebbero in secondo ordine.
I fiumi che qui si considerano sono, in definitiva, esclusivamente quelli percorsi, nella parte finale del loro alveo che è quella che maggiormente interessa il presente lavoro, da grandi portate d’acqua dolce, priva di ogni tipo di materiale inquinante ed in quantitativi molto variabili nel tempo in funzione dell’andamento meteorologico del bacino tributario. Si possono distinguere tre regimi principali:
– regime di portata media e di morbida. E’ questa la situazione normale che non presenta problemi particolari;
– regime di magra durante il quale, a causa della siccità, la portata diminuisce in maniera sensibile fino a provocare, in alcuni casi, disagi nell’alimentazione dei vari servizi . Al verificarsi di siccità eccezionali il livello dell’acqua alla foce del fiume ed anche nella parte terminale del suo alveo, assume livelli inferiori di quelli della marea il chè provoca la risalita del cuneo salino lungo l’asta del fiume con tutti i maggiori problemi che ciò comporta nei riguardi degli utilizzatori.
– regime di piena conseguente a piogge particolarmente intense e prolungate che richiedono eccezionali misure per il convogliamento e lo scarico a mare di ingenti portate. In questo caso non è raro che l’acqua sia torbida per la presenza in sospensione di sabbie finissime o limi raccolti dalle copiose acque lungo il loro tragitto.

3. LO SBARRAMENTO MOBILE DI FOCE

L’opera che viene qui descritta è lo sbarramento di foce, finora realizzato solo in fiumi di secondaria importanza e, a quanto risulta allo scrivente, con il solo scopo di evitare la risalita del cuneo salino lungo l’asta nel mentre, con differenti modalità costruttive e di utilizzazione e previa esecuzione di lavori di sistemazione delle arginature, si ritiene possa svolgere funzioni ben più importanti.
E’ noto come i maggiori fiumi italiani siano muniti nella loro parte terminale di alte arginature costruite allo scopo di contenere le portate di piena. Spesso le arginature comprendono non solo l’alveo vero e proprio ma anche ampie aree golenali che normalmente sono asciutte ma che vengono utilizzate per aumentare notevolmente la portata che essi possono addurre e scaricare in mare e così far fronte anche alle piene eccezionali.
La costruzione dello sbarramento mobile di foce, che viene qui proposto, consiste nella realizzazione, in prossimità dello sbocco a mare, di una traversa di intercettazione di tutta la sezione del fiume con possibilità della sua apertura totale o parziale al fine di consentire lo scarico di portate regolabili in funzione delle disparate necessità che il sistema presenta. Lo sbarramento deve essere in primo luogo in grado, mediante opportuna manovra degli organi mobili, di scaricare a mare in caso di piena, tutta l’acqua in arrivo da monte ed in secondo luogo di trattenere, regolando la portata di transito, i volumi in eccesso rispetto a quelli da scaricare in ogni caso a mare, costituendo un invaso che, oltre all’alveo vero e proprio, comprenda anche i volumi delle golene fino alla sommità arginale e per uno sviluppo verso monte il più esteso possibile. Allo scopo gli argini, come accennato, devono essere sistemati ed adeguati alle nuove funzioni che sono chiamati a svolgere ovviando, in particolare, alla diminuzione di portata che la barriera mobile provoca inevitabilmente nella adduzione e nello scarico a mare ed assicurando il contenimento del massimo volume di invaso possibile.
In pratica la parte terminale dei fiumi, con le opere che qui si propongono, sarebbe trasformata in un lungo lago caratterizzato da ingenti portate sia in ingresso che in uscita e dal quale, grazie anche al grande volume di invaso che ne consente la compensazione, sarebbe possibile prelevare durante tutto il corso dell’anno e quindi anche nei periodi di magra del fiume, notevoli portate da utilizzare ai diversi fini.
Un secondo scopo, determinante ai fini dell’utilizzazione delle acque fluenti, è quello inerente la risalita del cuneo salino durante i periodi di grande siccità, che risulta impedita nella maniera più assoluta dalla presenza della barriera e da un livello di invaso notevolmente più elevato rispetto a quello di marea.
Infine l’entrata dell’acqua fluente nel lungo bacino di accumulo nel quale la velocità si riduce praticamente a zero, garantisce la decantazione di tutto il materiale in sospensione rendendo più facile il trattamento di potabilizzazione necessario per gli usi idropotabile e consentendo, per gli usi irrigui, industriali e vari, di distribuirla nello stato in cui si trova cioè senza alcun trattamento. Soltanto in caso di piene eccezionali del fiume può verificarsi il caso in cui l’acqua del bacini sia resa torbida dalla presenza di sabbie fini e limi in sospensione. Gli impianti di potabilizzazione e quelli di produzione di acqua per le industrie dovranno, allo scopo di farvi fronte, essere dotati di decantazione propria da mettere in servizio in tali casi, nel mentre nessun problema dovrebbe sussistere per i rifornimenti di acqua irrigua, che quantitativamente sono i più rilevanti, in quanto durante i periodi particolarmente piovosi come sono quelli in argomento, sono, generalmente, sospesi.
Si deve anche rilevare come l’utilizzazione dell’acqua fluente secondo le modalità che qui vengono propugnate, realizza indirettamente, ed in modo totalmente razionale, una delle condizioni che saranno in futuro essenziali per poter disporre dei quantitativi necessari ai diversi usi della popolazione, delle industrie e dell’agricoltura e cioè il riutilizzo delle acque reflue opportunamente trattate che tutte le attuali disposizioni di legge e le necessità obbiettive, richiedono.

Esempio schematico di territorio organizzato per ll completo riciclo delle acque

In pratica l’intero ciclo delle acque subisce, con le opere in argomento, una profonda trasformazione con grande semplificazione delle procedure. Le città poste all’interno del bacino imbrifero sotteso potranno immettere direttamente nel fiume le loro acque reflue di fognatura limitandosi a sottoporle soltanto al processo depurativo necessario per farle rientrare entro i imiti di accettazione allo scarico. La loro riutilizzazione, atta a realizzare il prescritto ciclo ripetitivo in base al quale nessun tipo di acqua proveniente dai vari acquedotti potrà essere scaricata a mare ma dovrà invece essere più e più volte utilizzata per soddisfare compiutamente i vari fabbisogni, avrà luogo, in maniera razionale, alla foce dove esse alla fine sono destinate a pervenire per essere riprese e riutilizzate. Nella figura è riportato lo schema di un territorio organizzato per il completo riciclo delle acque ottenuto tramite barriera di foce . Sono indicati diversificati centri urbani dotati di fognatura, segnata in colore rosso, che scarica la acque reflue nel fiume nel mentre i vari acquedotti (segnati con colore nero) sono alimentati dall’impianto di potabilizzazione del invaso di foce . Solo le città alimentate d’acqua potabile proveniente dagli impianti di foce in oggetto ma ubicate al di fuori del bacino imbrifero da essi sotteso dovranno prevedere la potabilizzazione delle loro acque reflue in quanto, solo in tale caso, detto ciclo ripetitivo sarebbe interrotto.
Da notare come vengano anche ad essere eliminati tutti gli inconvenienti dati dalla diversificata localizzazione degli eventi piovosi all’interno del bacino tributario poichè tutte le acque di pioggia, comunque dislocate, finiscono per arrivare al lago di foce. Al riguardo se si analizza la relazione esistente fra qualità delle acque in arrivo al bacino e la loro provenienza si può affermare che quelle di pioggia derivano per la maggior parte dalle zone montagnose che statisticamente hanno un indice di piovosità più elevato e quindi forniscono un importante contributo idrico anche durante i periodi estivi mentre quelle di depurazione delle acque reflue provengono per la gran parte dalle zone di pianura dove sono ubicati i maggiori centri urbani ed industriali rendendo possibile l’utilizzazione delle ingenti portate di fognatura, soprattutto estive, che li caratterizzano. Viene vieppiù confermata la validità delle opere proposte in quanto atte all’utilizzo di acque le cui diversificate qualità, provenienza e distribuzione temporale durante l’annata si integrano a vicenda. Non ultimo, tra tutti, il contributo acqueo offerto dallo scarico degli impianti di produzione idroelettrica situati nelle zone montane poste all’interno del bacino imbrifero, di solito muniti di laghi con invasi assai capaci, anch’esso destinato a pervenire a fiume.
E’ necessario, come già ripetuto, che tutte le acque scaricate, di qualunque provenienza esse siano, presentino caratteristiche chimico-fisiche e batteriologiche, rientranti entro i limiti di accettazione fissati dalla legge per lo scarico nel fiume, pena la necessità di complesse e inattuabili operazioni di depurazione finale. Si pensi ai diversi processi industriali che inquinerebbero in vario mondo il flusso d’acqua rendendone praticamente impossibile l’utilizzazione. E’ invece necessario che ogni industria provveda, prima dello scarico in fiume, alla depurazione fino a far rientrare le acque scaricate entro determinati limiti di accettabilità allo scarico.
La realizzazione della barriera mobile di foce comporta anche degli inconvenienti di più ordini.
Innanzitutto essa provoca una profonda trasformazione delle caratteristiche ambientali data dalla innovativa presenza di un lago in sostituzione di una parte del corso d’acqua. Ci si augura però che esso non costituisca un elemento negativo visto e considerato che per la sua costruzione si prevede di occupare aree per lo più abbandonate e di poco pregio come sono quelle dell’alveo del fiume quando è in magra o di aree agricole precarie come sono quelle golenali e, visto e considerato che la presenza del lago può essere positiva nei riguardi del turismo, della fauna ittica e di quella acquatica in genere. Sarà quindi necessario uno studio ed una progettazione accurata delle opere in modo da diminuirne l’impatto ambientale ottenendone, alla fine, risultati nettamente positivi.
In secondo luogo la presenza delle paratoie di regolazione ed in genere della barriera attraversante l’asta del fiume provoca delle perdite di carico concentrate con inevitabile aumento nel livello di monte assolutamente intollerabile durante le piene eccezionali del corso d’acqua. Diventa quindi della massima importanza il corretto dimensionamento degli organi mobili ed un rialzo degli argini atto a ripristinarne la piena funzionalità. Questi ultimi, la cui funzione era un tempo limitata allo scorrimento delle acque di piena nel loro moto continuo verso valle, cambiano destinazione e devono invece contenere acque aventi una velocità praticamente nulla per tutta l’estesa dell’invaso. Si rende quindi necessaria una loro revisione con adattamento della quota di sommità al nuovo regime cercando di dare al bacino di accumulo quella maggior lunghezza verso monte che le condizioni locali consentono.
Per mantenere la continuità idrica tra bacino e mare aperto, utile anche per l’interscambio della fauna ittica da mare a fiume e viceversa, lo scarico finale non dovrà aver luogo tramite lame d’acqua sfioranti superiormente alla barriera che, di fatto provocherebbero una interruzione, bensì tramite scarico sotto battente e quindi direttamente nel fondo dell’invaso mediante movimento verso l’alto di ogni paratoia con apertura della luce di scarico nella parte inferiore a contatto con la platea di base e con altezze libere che variano da zero alla quota di massimo invaso del bacino in funzione delle portate che vi debbono transitare. Ciò, oltre al citato transito dei pesci, agevolerà lo scarico a mare di eventuali materiali solidi depositati in bacino e di quelli in sospensione nell’acqua che, per il maggior peso specifico, tenderanno a portarsi alle massime profondità.
Onde evitare l’interramento del bacino dovuto al deposito di sabbie fini e limi che, in occasione delle piene, si accumulano soprattutto nella parte di monte dell’invaso ed inoltre per non privare la costa del mare dei continui apporti di sabbie che normalmente le arrivano da monte, si dovrà prevedere la svuotatura dell’invaso con manovre atte ad assicurare, ad intervalli regolari e senza provocare conseguenze negative nei prelievi, lo scarico a mare di tutti i materiali di depositati in bacino.
I filtri di presa delle acque dovranno essere ubicati il più a valle possibile e posti, essendo montati su zattere flottanti, a qualche metro al di sotto del pelo libero in modo da garantire che la captazione abbia luogo anche nelle condizioni di livello minimo garantendo al tempo stesso le migliori caratteristiche fisiche ed organolettiche essendo le eventuali materie estranee in sospensione nell’acqua normalmente situate nella parte più profonda.
Un ulteriore inconveniente derivante dalla presenza dello sbarramento è quello inerente la navigazione da diporto, pesca o di altro genere. Per ovviarvi dovranno essere prese importanti cautele e, in certi casi, realizzate imponenti opere. Se alla foce del fiume esistono porti o canali per la navigazione, l’attracco o la sosta di imbarcazioni per turismo, pesca od altro, sarà sufficiente spostare lo sbarramento più a monte in modo da non interferire con l’attività nautica. Quando invece è tutta l’asta del fiume ad essere navigabile ed accessibile da mezzi natanti provenienti o diretti al mare aperto, sarà necessario affiancare allo sbarramento una conca di navigazione di adatte dimensioni. La conca, durante i periodi di piena eccezionale, potrà contribuire efficacemente allo scarico a mare delle portate del fiume.

4. L’UTILIZZAZIONE DEL LA BARRIERA PER LA PRODUZIONE DI ENERGIA ELETTRICA

Quando la barriera viene inserita in fiumi importanti caratterizzati da rilevanti portate continue da scaricare in mare, può rivelarsi interessante la produzione di energia elettrica. In questo caso il carico idraulico esistente in corrispondenza della barriera e dato dal dislivello sempre presente tra massimo invaso e marea, anzicchè essere dissipato dalle paratoie durante lo scarico finale in mare delle acque residue, può essere sfruttato inserendo direttamente nella barriera oppure su apposito condotto di derivazione di grande sezione, delle turbine funzionanti a bassa prevalenza ma con grandi portate come sono quelle in gioco. Si tratta di ricavare dalle opere che vengono qui proposte un ulteriore vantaggio da prendere in seria considerazione in questi tempi caratterizzati da una grande carestia di energia elettrica. Esiste una ulteriore possibilità, per la cui utilità occorrono però analisi molto approfondite, ed è quella di prevedere l’installazione di macchine reversibili cioè di turbine che possono essere usate come pompe e di alternatori che, all’occorrenza, diventano motori elettrici. Si tratta di una modalità spesso attuata in negli impianti idroelettrici cosiddetti di accumulo nei quali si recupera durante la notte l’energia elettrica in esubero. Tali impianti in altri termini di giorno utilizzano nelle ore diurne il salto idrico per produrre energia, la notte consumano energia elettrica di basso costo per sollevare l’acqua nel bacino superiore. Nel nostro caso la presenza di macchine reversibili cioè atte a funzionare anche come pompe di sollevamento, potrebbe contribuire durante le piene eccezionali, ad aumentare la portata finale scaricabile a mare dalle opere di sbarramento. La cosa presenta una certa incertezza data dal fatto che le portate in gioco, in caso di piena eccezionale del fiume, assumono valori così elevati che l’apporto dato dalle pompe potrebbe diventare irrisorio. Altri interrogativi sono posti dalla velocità di rotazione che deve assumere la pompa per riuscire ad aumentare la portata, di per sé già molto rilevante, che attraversa il canale di derivazione durante le piene. Si tratta comunque di una possibilità che in sede di progettazione delle opere dovrebbe essere comunque verificata sulla base dei dati reali di funzionamento.

5. L’ESERCIZIO DELLA BARRIERA MOBILE

Gli scopi da raggiungere con una corretta gestione delle opere qui descritte ed in particolare con la regolazione delle paratoie di scarico finale sono i seguenti:

1) mantenere l’invaso ad una quota il più elevata possibile onde consentire il prelievo di tutte le portate che necessitano per il soddisfacimento dei fabbisogni idropotabili, irrigui ed industriali dell’utenza, senza provocare danni all’ambiente e quindi mantenendo, grazie alla ottima compensazione possibile, le portate scaricate a mare entro il limite minimo necessario per l’ambiente. Lo svaso parziale o totale del bacino avrà luogo soltanto al verificarsi di siccità eccezionali. Sarà in tali occasioni che il sistema darà i frutti migliori rendendo possibili cospicui prelievi utili soprattutto per l’irrigazione agricola che è quella che necessita, in tali periodi, dei maggiori quantitativi del prezioso elemento liquido. Per il successivo ripristino dei livelli di invaso, il bacino potrà usufruire di tutti gli eventi piovosi comunque ubicati all’interno dell’ampio bacino imbrifero sotteso ed inoltre di tutti i volumi scaricati dagli impianti fognari dell’intero bacino.

2) assicurare lo scarico delle portate di piena senza danni. Lo scopo sarà raggiunto con un accurato dimensionamento degli organi mobili e con adeguato rialzo degli argini. Lungo tutta l’asta del fiume ed anche in quella degli affluenti principali, e quindi anche a notevole distanza dalla foce, saranno installate le apparecchiature di rilievo e trasmissione automatica ed in tempo reale dei livelli in modo da poter programmare, in anticipo rispetto alle portate realmente in arrivo al bacino, la regolazione delle paratoie di foce in funzione anche delle previsioni meteorologiche e di quelle di richiesta idrica dell’utenza. Dovranno essere in particolare previste in anticipo le ondate di piena e predisposta la svuotatura parziale o totale del bacino in modo da poterle accogliere e smaltire senza danni di sorta. In regime di piena eccezionale e quindi con paratoie totalmente aperte il fiume dovrà possedere una capacità di trasporto e scarico non inferiore a quella che aveva prima della costruzione dello sbarramento di foce. Ancora più accurata e difficoltosa risulterebbe la programmazione degli invasi e degli svasi qualora lo sbarramento fosse dotato anche di centrali per la produzione di energia elettrica in quanto sarebbero in tal caso da contemperare le esigenze di derivazione d’acqua per i vari scopi con quelle della produzione di energia elettrica.

3) Evitare nella maniera più assoluta la risalita del cuneo salino nell’invaso e quindi in tutta l’asta del fiume.

4) assicurare lo sgombero dei materiali sabbiosi e dei limi che si depositano nel bacino tramite apertura totale delle paratoie ad intervalli regolari.

5) Consentire, se necessario tramite conche di navigazione che consentano ai natanti di superare il dislivello tra mare e invaso, la navigazione fluviale e di collegamento con il mare aperto.

6) Eventuale produzione di energia elettrica

L’ipotesi qui esaminata si riferisce allo sfruttamento massimo del bacino di foce ma, ovviamente, può presentare un certo interesse anche una sua utilizzazione parziale ottenuta limitando il livello di invaso ad una quota inferiore a quella massima prima indicata come pure avere necessità di lasciare la barriera completamente aperta ripristinando per un determinato periodo il corso originario del fiume. Ne deriverebbe un minor impatto ambientale sia continuativo come pure per periodi più o meno brevi in funzione delle effettive necessità idriche.

6. ESEMPIO DI BACINO DI FOCE

La risalita del cuneo salino nell’Adige. Notare le pile per sbarramento

Uno dei fiumi italiani che meglio si prestano alla costruzione dello sbarramento di foce, per i notevoli vantaggi che se ne potrebbero ricavare, è senz’altro l’Adige.
E’, per importanza, il secondo fiume d’Italia, con la sua lunghezza di 410 Km, un bacino imbrifero di ben 12200 Kmq assicura una portata media annua di ben 214 mc/sec. Lungo il suo corso e in quello dei suoi affluenti, sono molte le opere esistenti per l’utilizzazione del suo imponente volume idrico: impianti idroelettrici, irrigui e per alimentazione idropotabile di importanti centri abitati. Lungo il suo corso è stata costruita anche un’opera eccezionale quale è la galleria che lo collega al lago di Garda allo scopo di potervi deviare, in caso di necessità, grandi portate. Anche questo fiume soffre dell’inconveniente della risalita del cuneo salino lungo la parte terminale dell’asta che impedisce, in periodi estivi particolarmente siccitosi, la sua utilizzazione ai fini irrigui ed idropotabili.

Vengono qui indicati alcuni elementi di larga massima ma che possono dare un’idea dei grandi vantaggi che potrebbero aversi con la costruzione dello sbarramento di foce. I dati principali approssimati sono riportati nell’allegato profilo schematico. In esso sono tracciati, con scala delle altezze maggiorata mille volte rispetto a quella delle lunghezze, l’andamento degli argini attuali e del pelo libero in regime di portata media aventi una pendenza media dello 0,25 per mille e quello di magra, presunto con una minor quota idrica di 2 m, avente la parte terminale rigurgitata dal livello di marea. Sono indicati anche un rialzo degli argini per una estesa di circa 5 Km variabile da zero a m. 1.50 presso la foce e necessario per quanto detto in precedenza ed al fine di valutarne i benefici in termini di maggior invaso. Si tratta chiaramente di ipotesi di larga massima formulate al solo scopo di fornire una indicazione sommaria delle opere che vengono proposte.
Si può notare come, considerando gli argini allo stato attuale ed in regime di portata media, il volume invasabile è stimato in circa 6.400.000 mc dato dal cuneo a profilo triangolare compreso tra il pelo libero avente, come già detto una pendenza media dello 0.25 per mille e quello rigurgitato e praticamente orizzontale dovuto alla presenza della barriera di foce. Con la sopraelevazione prima indicata di soltanto 1.5 m degli argini per 4.5 Km nella parte terminale potrebbero aversi altri 4.600.000 utili.
Se si esamina invece il fiume in magra cioè nelle condizioni in cui statisticamente si ha un maggiore prelievo dal fiume per scopi irrigui, idropotabili o per usi vari, si hanno altri 4.200.000 mc con gli argini attuali che aumentano di altri 1.600.000 mc con il loro rialzo.
In definitiva i volumi totali di accumulo utilizzabili nelle varie condizioni sono io seguenti:
In regime di portata media:
– con gli argini attuali : mc 6.400.000
– con gli argini sistemati : mc 11.000.000
In regime di magra ( 2 m. sotto il livello normale)
– con gli argini attuali : mc 15.200.000
– con gli argini sistemati : mc 16.800.000

 

Profilo schematico dello sbarramento alla foce del fiume Adige

Considerato che il fiume Adige ha una portata media annua di 214 mc/sec. e con un volume di invaso di 16.800.000 di mc stimato come sopra per un regime di magra, si potrebbe prevedere, in prima ipotesi, di prelevare una portata media di ben 100 mc/sec , restando garantita una compensazione delle portate approssimativamente valida per almeno una quindicina di giorni il che significherebbe poter colmare il divario esistente tra prelievi istantanei ed apporti liquidi con la pregiudiziale che nel frattempo avessero a verificarsi apporti liquidi di piogge comunque ubicate all’interno del vastissimo bacino imbrifero, scarichi vari come sono quelli degli impianti idroelettrici esistenti nelle aree montagnose od apporti dei sistemi fognanti delle grandi città site più a valle, atti a coprire i prelievi. In seconda ipotesi si può prevedere il prelievo di una portata media di 50 mc/sec. Il periodo passerebbe da 15 ad un mese. Per una compensazione trimestrale il prelievo si riduce a circa 20 mc/sec. Si tratta in ogni caso di prelievi notevolissimi.
Come già spiegato i dati sono molto approssimati e sono riportati solo per dare una indicazione di larga massima. Per una migliore determinazione occorrerebbe tener conto di numerosi fattori tra i quali di primaria importanza le portate reali del fiume quali risultano dagli annali idrografici di un lungo periodo.
Da notare come l’alveo dell’Adige sia costituito dalla sola asta del fiume avente un larghezza quasi costante per tutto la parte terminale e pari a circa 150 m, in quanto non sono presenti aree golenali. Altri fiumi come il Piave o il Tagliamento ne possiedono invece alcune molto vaste, normalmente asciutte, e che vengono utilizzate solo durante le piene eccezionali. La costruzione della barriera di foce in tali fiumi darebbe come risultato immediato la costituzione di un volume di invaso molto superiore, in rapporto con la più modesta portata del fiume, a quello esaminato per l’Adige e quindi con risultati proporzionalmente ancora migliori di quelli prima descritti. Il Tagliamento è provvisto di uno scaricatore di piena denominato Cavrato, avente un’area enorme attualmente adoperata solo per scaricare le piene eccezionali area che, se munita anch’essa di barriera alla foce, presenterebbe una enorme capacità di invaso da aggiungersi a quella ricavata dall’asta del fiume vera e propria con le modalità prima indicate per l’Adige.

7. LONDRA: UN ESEMPIO SIGNIFICATIVO

Viene citato, non solo per le sue originali e funzionali caratteristiche costruttive ma anche e soprattutto per la diversa loro utilizzazione decisa in tempi recenti, un’opera imponente come lo sbarramento del Tamigi realizzato vicino a Londra. Come risulta dal disegno indicativo e dalle foto allegati, il manufatto, ultimato nel 1984, comprende una serie di paratoie a settore cilindrico ciascuna lunga una sessantina di metri ed alta una ventina ed aventi in origine lo scopo di proteggere Londra dagli allagamenti provocati dalle alte maree. A tale scopo, durante il trascorso ventennio, la barriera è rimasta sempre aperta con la eccezione di sole quattro o cinque volte l’anno in cui, a seguito di previsioni di marea particolarmente alta, la sua manovra preventiva ha salvaguardato Londra dagli allagamenti. Ovviamente per tutta la durata di chiusura, le acque del Tamigi, trattenute dalla barriera, sono state accumulate all’interno degli argini del fiume, per essere poi scaricate a mare alla fine del periodo di alta marea.

Sezioni schematiche dello sbarramento di Londra

La crisi idrica che ai nostri giorni interessa tutte le nazioni, Inghilterra compresa, ha negli ultimi anni indotto i responsabili del servizio idrico di Londra a cambiare radicalmente, almeno nelle intenzioni, l’uso della barriera e, senza nulla togliere alla sua funzione principale che resta quella di proteggere la città dagli allagamenti, poter anche sfruttare ai fini idropotabili il grande volume d’acqua dolce dell’invaso che tramite di essa è sempre possibile accumulare. Allo scopo è sufficiente modificare l’esercizio della barriera e, invece di lasciare un’opera così imponente sempre aperta e quindi inutilizzata per la quasi totalità dell’anno, mantenerla parzialmente chiusa e regolata in modo da avere a monte un livello idrico più elevato che impedisca la risalita del cuneo salino e, al tempo stesso, accumulare un grande volume d’acqua dolce.
E’ facile constatare come quella descritta sia esattamente la stessa funzione svolta dalle barriere mobili che nel presente capitolo è stata solo ipotizzata mentre invece a Londra è stata suggerita da uno stato di fatto reale come la presenza della barriera e degli invasi che tramite la stessa vengono di fatto realizzati.
E’ quindi confermata da una circostanza reale l’opportunità di estendere l’uso della barriera mobile di foce in altri fiumi secondo le regole prima indicate. Viene qui di seguito riportata letteralmente una parte dell’articolo pubblicato sul n. 2 del marzo-aprile 1995 della rivista “IDROTECNICA” sull’argomento e che documenta il momento di passaggio dall’una all’altra modalità di gestione dell’opera.
“In questi ultimi anni sono stati approfonditi studi per un utilizzo permanente dello sbarramento come opera di regolazione, oltreché di difesa. L’opera potrebbe garantire una variazione dei livelli di marea intorno ai 2 m riducendo gli inconvenienti delle forti velocità idriche (fino a 6-7 m/s) nel tratto metropolitano. Ciò comporterebbe inoltre vantaggi di natura ricreativa per la città, ma, soprattutto, di approvvigionamento idrico, potendosi prevedere, con la drastica riduzione della salinità, la formazione di un serbatoio strategico nel centro di Londra che risolverebbe la domanda idrica nella bassa valle del Tamigi. “

 

8. CONCLUSIONI

E’ stata indicata una modalità di utilizzazione dell’acqua fluente nei fiumi principali diversa da quella in uso e tesa alla risoluzione dei gravi problemi di carenza idrica che attanaglieranno la futura società.
Dalla ricerche fatte da chi scrive non risulta ancora attuata alcuna opera del genere: probabilmente la motivazione và ricercata nelle difficoltà obbiettive che essa presenta

Lo sbarramento di Londra

nei riguardi dell’ambiente, nella difficoltà che presenterebbe la regolazione delle portate di piena dei fiumi ed infine nell’esercizio essendo, in definitiva, una proposta di grande impatto e di grande impegno economico.
Si ritiene però che sia utile affrontarne la discussione per l’indubbio interesse che, a giudizio di chi scrive, essa, opportunamente verificata e corretta, presenterebbe. Sarebbero pertanto oltremodo graditi interventi critici dei lettori volti a mettere in luce gli aspetti sia negativi che positivi della soluzione oppure volti a modificarla e a migliorarla.

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AVANTI

RETE DI DISTRIBUZIONE CON PRODUZIONE DI ENERGIA ELETTRICA

 

Viene qui ripresa in esame la rete di distribuzione nell’articolo “LA RETE DI DISTRIBUZIONE D’ACQUA POTABILE DEI TERRITORI DI NOTEVOLE DISLIVELLO TOPOGRAFICO CON SERBATOI DI COMPENSAZIONE GIORNALIERA DIFFUSI” la quale, essendo alimentata da una fonte sita a quota elevata, può funzionare interamente a gravità e si presta a interessanti considerazioni sulla possibilità produrre energia elettrica.

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Fig 1 = Schema idraulico della soluzione originale di rete con serbatoi diffusi 

Per promemoria ne viene riprodotto nella fig. 1 lo schema idraulico.La prima deduzione logica è quella di prevedere che le valvole che in detto articolo sono previste per regolare i livelli dei serbatoi di compensazione giornaliera siano sostituite da turbine-alternatori del tipo di quelli precedentemente descritti ottenendo il vantaggio di trasformare, come già indicato, la dissipazione del carico in produzione di energia.
Viene ora proposta una variante in grado di offrire, in alcuni casi, diversi vantaggi ed in particolare una notevole semplificazione nella costituzione e nell’esercizio della rete, un miglioramento della pressione generale di esercizio ed infine una buona produzione di energia elettrica ottenuta dallo sfruttamento dell’eccesso di carico idraulico che spesso vi sussiste.
E’ ben noto come nelle reti montane o comunque in grado di alimentare l’utenza direttamente a gravità, risulti difficoltoso mantenere una piezometrica parallela al suolo in tutte le condizioni di esercizio. Si tratta di strutture dimensionate per un funzionamento ottimale nel periodo critico e cioè durante i consumi di punta e che pertanto nelle restanti situazioni denunciano una piezometrica che tende tanto più ad avvicinarsi alla linea idrostatica quanto più diminuiscono i consumi. Ne derivano un eccessivo aumento della pressione di funzionamento delle condotte, una anomala consegna del’acqua all’utenza e dannose perdite occulte d’acqua. In altri termini il funzionamento ottimale degli acquedotti di cui si discute sarebbe quello a portata pressoché costante che fosse in grado quindi di escludere le piccole portate. In questo senso è altresì noto il provvedimento, provvidenziale per il miglioramento della pressione di esercizio ma che sarebbe assolutamente da evitare per i danni che ne derivano, attuato da madre natura in molte reti e cioè il notevole aumento delle perdite occulte che si viene ad avere tutte le volte che la pressione aumenta e che attua l’imperativo citato di portata comunque elevata in condotta (vedi articolo “PERDITE OCCULTE  DELLE RETI DI DISTRIBUZIONE DEGLI ACQUEDOTTI MONTANI: UN MALE NECESSARIUO?“. Si arriva alla conclusione paradossale in base alla quale le perdite occulte degli acquedotti sarebbero del tutto vantaggiose. Essendo evidente la necessità di raggiungere il risultato in altro modo, si illustra una soluzione che ha origine proprio dal concetto appena esposto e cioè dalla opportunità di mantenere in condotta una portata pressoché costante.

Le condizioni di base qui considerate consistono in fonti naturali che si presumono a portata costante e poste in posizione sopraelevata rispetto all’utenza rendendo realistiche due condizioni necessarie per attuare la nominata costanza di portata e cioè poter disporre di:
1) acqua in quantità esuberante rispetto al fabbisogno;
2) carico idraulico in eccesso rispetto alle necessità per il suo trasporto fino all’utente.

Per poter evitare ogni diminuzione nella portata addotta al verificarsi di un minor fabbisogno dell’utenza, è qui previsto di destinare tutta l’eccedenza d’acqua alla produzione di energia elettrica ottenuta tramite le turbine-alternatori di cui si è parlato nel capitoli precedenti.
Un esempio di rete relativa alla alimentazione dello stesso territorio di cui all’articolo prima citato che si ritiene atta a rendere più evidenti le varianti da apportare e più facili i confronti dei risultati, viene illustrata nella fig. 2 allegata.

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Fig 2 = Schema idraulico della rete con serbatoi diffusi modificata

Si può notare come il nuovo schema idrico sia anch’esso composto da una rete di adduzione munita di serbatoi diffusi e da altrettante valvole di regolazione ognuna delle quali, inserita a valle del punto di alimentazione del serbatoio annesso, è asservita alla curva di riempimento-svuotamento del serbatoio medesimo. Nel punto più basso del territorio si trova la centrale di produzione della corrente elettrica tramite turbine alternatori dello stesso tipo di quelli già descritti e quindi in grado di modulare la portata in arrivo sulla base delle necessità di pressione che bisogna conservare minuto per minuto in rete. Ogni valvola (in figura ubicate nei punti B,C,D,E,F), ovviamente comandata dall’impianto di telecontrollo centrale, chiude di più l’adduttrice quando il livello del suo serbatoio deve crescere e la apre in caso contrario. Ad esempio quando un serbatoio si trova ad un livello inferiore di quello stabilito per l’orario del momento, la valvola strozza un po’ l’adduttrice in modo da aumentare l’immissione d’acqua, quando invece il serbatoio ha raggiunto il livello prestabilito la valvola si apre completamente facendo defluire tutta la portata verso valle. Una modulazione delle valvole così concepita è atta ad alimentare minuto per minuto i vari serbatoi secondo la curva giornaliera di livello preimpostata, senza ridurre minimamente la portata totale addotta e con il risultato essenziale di una pressione generale dell’adduzione parallela al suolo per tutta la gamma di possibili consumi dell’utenza a partire da quelli massimi dell’ora di punta in cui tutta la portata viene consegnata all’utenza assieme a quella precedentemente invasata dai serbatoi, passando per quelli minimi notturni con serbatoi in fase di riempimento in cui la portata è equamente divisa tra serbatoi e turbina e per finire a quella minima notturna con utenti a consumo prossimo allo zero e con serbatoi già pieni, in cui tutta la portata prodotta dalle fonti viene deviata nella turbina per produrre energia elettrica. Al soddisfacimento dello scopo di partenza così raggiunto deve aggiungersi un ulteriore importante risultato e cioè la possibilità di eliminare ogni altra regolazione della rete di distribuzione secondaria la quale, essendo costituita da condotte ad andamento pressoché orizzontale a partire dai punti di allacciamento con le condotte adduttrici fino ad arrivare all’utenza, può usufruirne senza bisogno delle valvole di regolazione e delle apparecchiature di misura e trasmissione delle pressioni condotta per condotta che erano prescritte nella soluzione originale dell’articolo prima citato. Si tratta quindi di una notevole semplificazione costruttiva e di esercizio che rende la soluzione in argomento particolarmente interessante.


Da rilevare come nelle ore diurne tutta la portata eventualmente in eccesso rispetto alla richiesta idrica dell’utenza rimanga nella rete di adduzione e possa quindi essere interamente sfruttata nel punto G per l’azionamento della turbina-alternatore nel mentre in tutti i periodi notturni dell’anno tipo ed allorché i serbatoi hanno raggiunto il livello di massimo invaso, tutte le valvole siano completamente aperte e l’intera portata delle fonti resti disponibile per l’azionamento della turbina. E’ altrettanto evidente che, essendo le punte di consumo statisticamente poco frequenti durante un’intera annata, si avranno molteplici e prolungate occasioni di grande disponibilità di acqua ai fini idroelettrici.
Per quanto riguarda l’esercizio delle turbine alternatori restano validi i concetti già spiegati e cioè che deve trattarsi di turbine con possibilità di regolazione tramite il sistema centralizzato di telecontrollo e telecomando della rete il quale deve modularne il funzionamento in funzione dei carichi idraulici che si rendono via via disponibili e garantendo una pressione sufficiente per l’alimentazione dei vari serbatoi a loro volta muniti di valvola di regolazione della portata immessa in funzione della curva giornaliera dei livelli da mantenere minuto per minuto.

Per far risaltare i vantaggi della innovativa soluzione qui proposta , e per rendere più chiari i concetti di base viene descritta un’applicazione della metodologia su una rete semplice e che nella realtà si riscontra frequentemente.

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Fig. 3 = Profilo schematico di una rete tradizionale funzionante a gravità e con serbatoio di carico della rete di distribuzione regolato tramite valvola di efflusso a galleggiante

Come risulta dalla figura n. 3 allegata si tratta di una rete di distribuzione alimentata da un serbatoio di compensazione e carico cui perviene, tramite una lunga condotta di adduzione, l’acqua di una fonte posta molto in alto. La regolazione classica normalmente adottata consiste esclusivamente in una valvola di efflusso a galleggiante che si chiude quando il serbatoio raggiunge il massimo livello di invaso. Ne risultano le piezometriche schematicamente indicate nel profilo di fig. 3 da cui si rileva per la distribuzione una funzionalità da ritenersi valida mentre invece per l’adduzione si riscontra gran parte dei difetti precedentemente descritti e cioè una piezometrica corretta solo quando viene addotta la portata massima. Non appena la valvola di efflusso si chiude avendo il livello in serbatoio raggiunto quello di massimo invaso, la piezometrica tende ad avvicinarsi alla linea idrostatica provocando i ben noti inconvenienti.

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Fig. 4 = Profilo schematico di una rete modificata funzionante a gravità e con serbatoio di carico della rete di distribuzione regolato tramite turbina alternatore

Nella figura n. 4 allegata è rappresentata la stessa rete modificata per adeguarla alle modalità che si vogliono propugnare. Si notino la valvola di regolazione della adduttrice, posta a valle del serbatoio ed asservita alla curva giornaliera dei livelli che deve osservare l’invaso e le linee piezometriche di funzionamento. Interessante il particolare della condotta adduttrice che ha una pressione costante e sempre parallela al suolo e quindi, qualora vi fossero delle derivazioni, esse sarebbero alimentate con un carico idraulico sempre corretto. A sua volta la centrale di produzione idroelettrica svolge il duplice ruolo di regolazione della pressione ottenuta derivando tutta la portata in eccedenza rispetto ai consumi dell’utenza ed inoltre quello secondario di sfruttamento di tutta la portata disponibile per produrre energia elettrica.

Da ultimo si fa rilevare come lo schema idrico descritto ed i risultati che se ne possono avere siano validi anche per reti diverse da quelle prese come esempio. Saranno quindi pienamente compatibili reti magliate anche complesse come pure quelle ramificate, munite di uno o più serbatoi e funzionanti, come raccomandato in questo lavoro, a curva giornaliera imposta ed altresì, seguendo modalità molto diffuse tra gli enti gestori, con invaso sempre al suo massimo livello.

Una critica da farsi al sistema qui proposto riguarda la destinazione finale di una quota parte dell’acqua delle fonti che in realtà viene sottratta al rifornimento idropotabile dell’utenza per essere destinata a tutt’altro scopo come è quello della produzione idroelettrica. Si deve infatti rilevare che soltanto nel giorno di massimo consumo, peraltro a frequenza molto rara durante l’anno tipo, tutta la produzione viene consumata dall’utenza essendo le valvole di regolazione poste a valle dei serbatoi sempre chiuse onde poter trattenere in rete tutta l’acqua disponibile e consentire che i serbatoi compiano il loro compito di compensazione delle portate. Negli altri giorni, e soprattutto in quelli di minor consumo, non viene praticata nessuna economia d’acqua né diminuendo la produzione delle fonti né provvedendo ad immagazzinare quella prodotta in più ma sono invece le turbine ad esplicare in pieno la loro azione sfruttando tutta l’acqua che le fonti riescono a produrre in eccedenza rispetto al fabbisogno.
Sussiste quindi una differenza sostanziale rispetto ai sistemi acquedottistici propugnati nei vari capitoli di questo sito dove viene ripetutamente raccomandata la massima economia nelle fonti ottenuta, tra l’altro, tramite accumulo d’acqua e un razionale sfruttamento dei serbatoi con riduzione della produzione diurna a favore di quella notturna. Invece nella concezione acquedottistica di cui si tratta, l’effetto è diametralmente opposto essendo rivolto verso il totale sfruttamento delle fonti qualunque sia la richiesta idrica dell’utenza. La conclusione è evidente : l’uso qui indicato delle turbine va riservato solo ai casi particolari e caratterizzati da una esuberante captazione d’acqua all’origine. Un valido esempio è rappresentato da una sorgente di acqua naturalmente potabile che scaturisce dalla roccia con portate sempre rilevanti e che aumentano ulteriormente in periodi di piogge intense e prolungate nel tempo. In un acquedotto del genere tutto ciò che viene prodotto in più della richiesta dovrebbe necessariamente essere mandato a rifiuto fin dall’origine qualora non esistessero le turbine di cui si tratta e che, pertanto, svolgono un ruolo determinante. Diverso il caso, invece, di acqua potabile che, pur se posta a quota molto elevata rispetto all’utenza, provenisse da un rio previo trattamento di potabilizzazione oppure da una falda povera. Alla installazione e uso delle turbine sarebbe allora da preferire una produzione limitata allo stretto necessario ed una regolazione della pressione di funzionamento della rete di tutt’altro genere.
Resta in ogni caso confermata la regola generale in base alla quale in tutti gli acquedotti comunque costituiti, ma che siano funzionanti a gravità e che possano essere alimentati da fonti poste a quote particolarmente elevate rispetto ai punti di consegna dell’acqua all’utenza, è conveniente esaminare se esiste o meno la possibilità di produzione energetica di cui si sono proposte alcune varianti. Da tenere in evidenza la funzione assegnata in questo capitolo alla turbina-alternatore di compiere la regolazione della pressione della rete di adduzione declassando ad un ruolo secondario ma ugualmente utile la produzione di energia elettrica.