BERTO E LA TECLA

Berto al Piave

 

Berto con la moglie e gli amici queresi

 

La Tecla con Gianni, il marito, e con i figli Gabriele e Renato . Gabriele farà carriera ecclesiastica, Renato sarà Sindaco di Quero

 

Berto è un personaggio che merita una descrizione particolare per le sue straordinarie qualità e per il ruolo di uomo tuttofare che rivestì nei riguardi del cinema Prealpi.
E’ una persona simpaticissima che nella sua vita ne ha combinato di tutti i colori, senza che la sua onestà di fondo sia mai messa in discussione. Berto viveva a Quero con sua madre. Oltre a partecipare in pieno alla vita della locale gioventù, Berto aveva uno spiccato senso di avventura che lo portava ad inventare le cose più strane e grandi che si possano immaginare. Per tratteggiarne la figura anticiperò un episodio accaduto più tardi, nel periodo finale della nostra storia, ma che è molto significativo. Per farlo devo descrivere sua zia Tecla altro personaggio degno di nota e da tutti conosciuto ed ammirato a Quero.

 

La Tecla con figli e parenti davanti alla Fiat 501 che sarà trasformata in camioncino asportando la parte posteriore della carrozzeria

 

La Tecla con Gianni, il marito, e con i figli Gabriele e Renato .ad una festa di cresima

 

La Tecla era una specie di istituzione. Religiosissima e benestante era un donnone che esercitava, tra l’altro, la professione di venditrice ambulante di stoffe. Per questo lavoro usava un camioncino col quale si recava ai vari mercati di Valdobbiadene il lunedì, Feltre di martedì, Montebelluna mercoledì, Belluno il sabato. Il camioncino era stato ricavato, come si usava un tempo, da una normale vettura da viaggio, la Fiat 501, alla quale era stata tagliata la parte posteriore e, tolti i sedili dietro, aggiunto il cassone di legno con copertura in tela.

 

Una Fiat 501 dei tempi andati

 

La Tecla con i figli Gabriele e Renato ambedue seminaristi

 

La famiglia della Tecla. L’ultimo a destra è Renato che sarà Sindaco di Quero, il penultimo è Gigi, sarto a Quero

 

La Tecla al matrimonio del figlio Renato

 

La Tecla con famigliari ed il figlio Renato cha porta in braccio il suo primogenenito

 

La Tecla, che a quanto mi risulta era titolare della prima patente di guida rilasciata ad un cittadino di Quero essendo quella di Giacomo oggi ultranovantenne ma ancora accanito pilota solo seconda in ordine di tempo, quando partiva col suo camion era tutta presa. Alla guida, non fidandosi di alcuno, si metteva lei stessa e non voleva nessuno vicino che la potesse distrarre dall’importante impegno della conduzione del mezzo. Gianni, il marito che l’aiutava nelle vendite, durante il viaggio stava dietro nel cassone seduto su una sedia di legno e riparato dalla copertura in tela. Il viaggio era assolutamente privo di rischi non solo perché le strade erano deserte ma anche perché la Tecla, che pur aveva un mezzo con quattro marce, per prudenza viaggiava al massimo in terza ed inoltre, altro particolare degno di nota, dovendo partire presto col buio non accendeva mai i fari abbaglianti ma solo, per non fare confusione, quelli anabbaglianti. Se qualcuno la criticava per questa guida del tutto particolare lei obbiettava: “voi potete dire tutto quello che volete ma c’è un fatto incontrovertibile: io guido da trenta anni e non ho mai avuto un incidente”. Tutto questo per descrivere il personaggio che in paese era molto stimato. Chiunque avesse bisogno di aiuto o di un consiglio andava dalla Tecla. L’episodio, come detto, è postumo rispetto all’epoca della vicenda principale. Ci trovavamo, infatti, nel 52 ed io avevo iniziato da poco la professione di geometra. La Tecla venne da mè tutta preoccupata e mi disse che suo nipote Berto, allora di 18 anni, ne aveva combinata una di più grossa del solito e, onde evitargli di finire in prigione, occorreva procurare il denaro necessario per pagare le spese di processo e l’avvocato che lo difendesse. L’unica possibilità consisteva nel trovare da vendere una casa che la mamma di Berto possedeva ma che, al momento, non abitava. Mi sono dato da fare ed in poco tempo ho venduto la casa, necessariamente ad un prezzo basso, vista l’urgenza, e consegnato il ricavato alla Tecla affinché sistemasse la grave situazione in cui si era venuto a trovare Berto. La sorpresa fu grande quando vedemmo Berto sfoggiare una bellissima moto Parilla nuova comprata con quel denaro, essendo riuscito ancora una volta a ingannare, con l’avallo nientemeno che della Tecla, sua madre. Quel monumento alla integrità morale e all’arguzia che rispondeva al nome di Tecla non riusciva però a darsi pace per essere stato così scalfito. In epoca successiva ebbi occasione di incontrarla più volte ma da quella bocca non uscì mai il benchè minimo accenno alla cosa. Erano gli occhi a mandare verso di mè, nonostante tutto suo complice nella preparazione del delitto, un lampo improvviso che la diceva lunga sulla rabbia, e sulla delusione che covavano in lei. Un giorno, senza dire nè il nome della persona nè l’argomento cui intendeva far riferimento, quasi tra di noi ci fosse stato un quotidiano e continuativo commento dell’accaduto che lo manteneva in evidenza, mi disse: “eppure in lui non c’era né c’è cattiveria!”.
Un’altra volta Berto comprò al bar della Prima, in Piazza Marconi, un’intera confezione di Boeri, un particolare cioccolatino con il manico che prometteva dei premi agli acquirenti. La confezione consisteva in una specie di albero fatto in modo che ci si potesse servire da soli e scegliere il cioccolatino vincente. Portata, di nascosto della Prima, la confezione nel suo alloggio sito al soprastante primo piano e fatto con la pazienza del caso un invisibile foro dal basso, Berto introdusse in ciascun cioccolatino dei potenti lassativi che mio cugino Nino aveva, d’accordo con Berto, sottratto nella farmacia di suo padre. La confezione di boeri rimessa al suo posto sopra il banco del bar a disposizione gratuita di tutti, in breve tempo fu esaurita ed iniziò immediatamente a far effetto sui malcapitati che ne avevano fatto uso. Sono facilmente immaginabili le scene dovute alla improvvisa e violenta dissenteria generalizzata che nessuno sapeva spiegare ad eccezione di Berto che ne traeva motivo di grandi risate.
Tornando all’epoca della nostra storia, era Berto che, invece di andare come il solito in bicicletta, riusciva spesso a farsi accompagnare da Gigi, il figlio del locale veterinario, nel giro di tutti i paesi per affiggere i manifesti del cinema, con la macchina che Gigi riusciva ad usare, pur essendo privo di patente di guida e all’insaputa del padre che mai gli avrebbe dato il proprio consenso. Si trattava di una vettura bianca a due soli posti decappottabile e con due sedili aggiuntivi accessibili posteriormente e al di fuori della capote di tela previa apertura di un apposito portellone. Accadeva allora di vedere Berto seduto tutto tronfio in questa specie di bagagliaio esterno all’abitacolo con colla, manifesti e pennelli girare di paese in paese e Gigi che ostentava un mezzo così ambito com’era l’automobile. Le scorribande di Gigi cessarono del tutto e, per la distribuzione della reclame si dovette tornare alla bicicletta, poco tempo dopo quando Gigi pensò di far provare la guida a mio zio Mario col quale era in grande amicizia. Per evitare di farsi notare in tale pericoloso esperimento, essi scelsero una strada fuori mano com’era la Via Cimitero sennonché mio zio, nella sua scarsa pratica, giunto al bivio che porta dal Cimitero all’ossario tedesco, non riuscì ad imboccare con precisione la rampa discendente della strada in quel punto molto stretta e la vettura, con le due ruote destre posizionate sulla pianeggiante via Cimitero e quelle sinistre sulla rampa di discesa per l’ossario, finì per capovolgersi, fortunatamente senza alcun danno ai due occupanti. Si trattò di uno di quegli avvenimenti che riuscivano a rompere la monotonia del paese contribuendo a far adirare ancora di più il veterinario di per sè molto collerico. Lo spettacolo per i molti curiosi accorsi prontamente era dato non solo dalla visione, assolutamente inusitata, di una vettura capovolta, ma sopratutto dal veterinario che, per dar maggior peso alla sua violenta collera, urlava stando inginocchiato per terra.

 

Il bivio dove si è capovolta l’auto di Gigi. Allora non esisteva la palizzata in legno e la strada non era asfaltata. Le ruote destre viaggiarono in piano verso il Cimitero e quelle sinistre in basso verso l’Ossario provocando il capovolgimento dell’auto

 

Gigi passeggia in Via Dante con il padre, veterinario di Quero. Ambedue portano il lutto per la recente morte della mamma e consorte. L’edificio che si intravede sullo sfondo al centro è il futuro cinema Prealpi

 

SEGUE AL PROSSIMO ARTICOLO

 

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