LA ISSA

D’inverno era la “issa” a rappresentare uno dei più importanti passatempi.

 

 

Via Garibaldi ante prima guerra mondiale. Anche in quegli anni lungo questa ripida discesa si costruiva la issa

Come arrivava la prima neve veniva creata lungo la Via Garibaldi, che vi si prestava benissimo per la sua notevole pendenza, una pista di ghiaccio larga circa tre metri e delimitata da arginature di neve gelata, il tutto ottenuto portando a braccia e cospargendo secchi d’acqua prelevata dalla fontanella che si trovava in fondo alla via. Per scivolare velocemente sulla pista di ghiaccio era usata la “zeria”.
Era questo un attrezzo in legno massiccio, alto una ventina di centimetri ed adatto specificatamente per il ghiaccio. Era dotato di due ferri ricurvi dello spessore di due millimetri circa, veri e propri pattini del tutto simili a quelli usati dagli atleti per correre sulle piste di ghiaccio e che, come quelli, conferivano eccezionali doti in fatto di manovrabilità e di velocità. Il freno, molto efficace, era costituito dallo spigolo vivo con cui i pattini stessi terminavano posteriormente e che entrava in azione quando la slitta veniva inclinata verso l’alto.

 

La zeria vista da sopra

 

La zeria vista da sotto

 

Una vecchia zeria originale e gelosamente conservata. Immagine tratta dal volume “Lo slittino da ghiaccio bellun

 

La guida per l’uso singolo della zeria era fatta battendo piccoli colpi sul ghiaccio con i tacchi delle scarpe allo scopo di orientare la corsa nella direzione voluta oppure tramite un lungo bastone tenuto sotto l’ascella che, strisciando sul ghiaccio dietro la slitta, svolgeva la stessa funzione del timone di una barca. La discesa diventava molto più divertente quando era fatta in comune da più zerie allineate per costituire una specie di lungo treno ( il “galion”) e montate da altrettanti ragazzi ognuno dei quali, legato alla propria slitta, stringeva sotto le ascelle i piedi di quello posto dietro.
Per aumentare il peso e quindi la velocità, sulle gambe dei giovani sedevano le ragazze cui non era consentito, in quei tempi di imperante maschilismo, accedere alla guida della “zeria”. Due erano i personaggi dai quali dipendeva la buona riuscita di ogni corsa: il primo della fila cioè il guidatore cui spettava la scelta del percorso, e l’ultimo che, non appena la coda del “galion” cominciava ad oscillare alternativamente come un pendolo verso i due lati della pista, doveva intervenire con energiche frenate ottenute alzando la parte anteriore della zeria e facendo forza sulle proprie gambe trattenute da chi gli stava davanti. Lo spigolo vivo dei pattini, penetrando a fondo nel ghiaccio, esercitava allora una forte trazione all’indietro nella coda del lungo serpentone provocandone il riallineamento.
Il ruolo che più mi piaceva era quello alla guida del galion. Seduto sulla mia zeria e facendo forza sulle gambe di chi mi stava dietro, potevo farla girare a piacere proprio come si trattasse delle ruote di una vettura mosse dal volante. Era mia cura portare il treno su un percorso il più lineare possibile evitando ogni sia pur minima curva brusca ed il conseguente inizio delle pericolose oscillazioni laterali. A sua volta l’ultimo della fila doveva usare l’accortezza di annullare sul nascere dette oscillazioni agendo preventivamente con piccoli colpi di freno. In definitiva la conduzione del galion rappresentava un’arte vera e propria dalla quale dipendeva l’effettiva velocità di discesa.
Durante la veloce corsa i pattini in ferro, strisciando contro i sassi sporgenti dal ghiaccio, “battevano fuoco”, cioè emettevano delle lunghe e spettacolari scintille che risaltavano vivamente nel buio delle fredde serate invernali. Da tenere presente come la via Garibaldi fosse allora priva di pavimentazione asfaltata e, nonostante i molti secchi di acqua che i ragazzi vi spandevano perché si formasse il ghiaccio, c’era sempre qualche sasso che sporgeva dalla superficie gelata.
Le discese invernali di Via Garibaldi con la zeria costituivano un passatempo tradizionale. Mio padre mi raccontava spesso che quando lui era giovane, e quindi ancora prima della prima guerra mondiale, la issa di Via Garibaldi, una delle poche vie di Quero rimaste intatte attraverso gli anni, era oggetto della gara cosiddetta dei galli. Da una fune che attraversava ad una certa altezza la via, pendevano dei galli che i concorrenti potevano afferrare e quindi far propri in corsa stando in piedi sul galion o addirittura spiccandovi dei salti durante la discesa. Il balzo provocava dei divertenti ma pericolosi ruzzoloni dei concorrenti. La notevole velocità di discesa rendeva problematica la permanenza del giovane che doveva starsene in piedi appoggiato sulle instabili gambe del collega seduto sulla zeria. Il problema era spesso risolto con una diversa composizione del treno di slitte che rendeva l’intera operazione ancora più spettacolare. Il galion era infatti costituito da due file di slitte affiancate e, nella sua parte mediana, sosteneva, tramite le gambe di due giovani posti fianco a fianco, un’asse trasversale in legno costituente un buon piano di appoggio per l’atleta che stava in piedi. L’originalissimo galion iniziava con un elemento singolo (il pilota) che stringeva sotto ciascuna ascella due gambe di chi gli stava dietro.

 


Anche la coda era composta da un elemento singolo le cui gambe erano sostenute, una per ciascuno di loro, dai due elementi che gli stavano davanti. A lui era affidato, come al solito, il compito di controllo delle oscillazioni laterali del treno. I due elementi singoli, quello di testa e quello di coda, garantivano, tra l’altro, l’unità delle due file impedendo nella maniera più assoluta che, durante l’intera procedura di discesa, di sostegno dell’elemento in piedi, del suo salto verso l’alto per la presa del gallo, della sua ricaduta sull’asse di legno ed infine dell’alloggiamento dello stesso, le due file di zerie non avessero da divaricare.
L’ottima funzionalità della zeria è dimostrata da ulteriori sue particolarità. Essa era munita di due manici posteriori e di una maniglia in asse sul davanti che permettevano a chi la usava di tenersi alla zeria stringendo con una mano uno dei due manici posteriori e con l’altra la maniglia anteriore. I vantaggi erano evidenti. Nel caso di corsa singola, oltre ad avere realizzata una vera e propria simbiosi tra attrezzo e passeggero, quest’ultimo poteva scendere completamente sdraiato all’indietro e quindi alla maggior velocità possibile data dal minor attrito con l’aria, e, nel caso del galion, facilitare e rendere più efficace la frenata. Due erano gli effetti, contrapposti e molto efficaci, che, in questo caso, ne derivavano. Da un lato il sollevamento della parte anteriore della zeria operato agendo sulla maniglia centrale con una mano, dall’altra la spinta verso il basso della zeria con l’altra mano stretta al manico posteriore. Ne risultava una posizione forzata a 45 gradi della slitta e quindi un frenata molto efficace.
Ai nostri giorni della zeria, tradizionale attrezzo di eccezionale qualità estetica, funzionalità e velocità, si sono ormai perse le ultime tracce, vera e propria razza in via di estinzione. Per scivolare su neve e ghiaccio si usano anche a Quero le ben note alte ed anonime slitte con pattini rivestiti da una piattina di ferro larga tre centimetri la cui funzionalità su ghiaccio non è nemmeno lontanamente paragonabile con quella della zeria.
Nel dopoguerra con la nascita del Cinema Prealpi, la via Garibaldi, diventò teatro della storia qui raccontata. Ai nostri giorni, ovviamente senza che ad alcuno baleni l’idea di costruirvi piste di ghiaccio, tale via è una normale strada urbana fiancheggiata esclusivamente da case di abitazione dove la popolazione querese integrata dai numerosi forestieri che vi hanno fissato residenza fissa, trascorre la sua quieta vita paesana.

 

Vecchie immagini del “Galion”. Immagine a destra tratta dal volume “Lo slittino da ghiaccio bellunese” di Thomas Pellegrini, pag. 23 edito da Istituto Bellunese di Ricerche Sociali e Culturali, Belluno 2009″

 

Lo slittino da neve si differenziava nettamente dalla “Zeria”

SEGUE AL PROSSIMO ARTICOLO

 

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