LO SBARRAMENTO MOBILE DI FOCE

Lo sbarramento di foce

1. PREMESSA

Sono ben note le difficoltà in fatto di approvvigionamento idrico dovute alla inevitabile e continua diminuzione di portata delle fonti tradizionali a fronte di fabbisogni idrici che aumentano di anno in anno.
Oltre al rifornimento idropotabile, la crisi investirà particolarmente l’agricoltura che abbisogna di quantitativi molto ingenti del prezioso elemento anche a seguito del progressivo aumento delle aree da assoggettare ad irrigazione.
Per farvi fronte si pensa di utilizzare tutti i mezzi possibili come ad esempio i laghi artificiali da costruire mediante dighe di ritenuta ed atti ad immagazzinare l’acqua dei periodi piovosi per utilizzarla nelle altre stagioni, la metodologia Asr (Acquifer storage and recharge) che prevede, allo stesso scopo, di accumulare forzatamente nel sottosuolo ingenti quantitativi d’acqua durante le stagioni piovose, il riutilizzo delle acque reflue ed infine l’ampliamento e la razionalizzazione degli impianti di captazione delle fonti tradizionali come sono, per l’acqua potabile, quelle di falda e di sorgente e di acqua superficiale potabilizzata, per quella irrigua le prese di acqua superficiali dai fiumi per lo più distribuita grezza.
A giudizio di chi scrive tali mezzi, per le obbiettive difficoltà di esercizio ed per i danni ambientali che ne impediranno in molti casi la realizzazione, non saranno comunque sufficienti per coprire gli aumentati fabbisogni. Uno dei modi per avere a disposizione ingenti quantitativi del prezioso elemento è, a giudizio di chi scrive, quello di utilizzare in maniera diversa da come fatto finora, l’acqua fluente dei grandi fiumi Italiani.
Nella presente nota si analizzano sommariamente le modalità proposte a tale scopo e con il solo intento di sottoporle a discussioni e verifiche di fattibilità per il loro rilevante impegno economico, impatto ambientale ed infine per i rischi di vario genere che, a fronte di indubbi vantaggi, sono però insiti nella loro complessa attuazione. D’altro canto, se mai non si tentassero vie nuove, i vari problemi non sarebbero mai risolti.

2. CARATTERISTICHE DELL’ACQUA FLUENTE NEI FIUMI

I fiumi sono i naturali ricsbarramento di foceettori di tutte le acque che scorrono in superficie e nei primi strati di terreno per tutta la superficie del bacino imbrifero che ognuno di essi sottende.
Vi si raccolgono tre tipi principali di acque:
– quelle naturali che provengono dalle sorgenti, dagli affluenti, dai vari compluvi di tutto il bacino imbrifero e che vi si raccolgono durante i periodi piovosi, quelle che provengono dai primi strati del sottosuolo permeabile cioè dalle acque di percolazione derivate da atmosfera o da corsi d’acqua che costituiscono la falda freatica ed infine quelle dovute allo scioglimento dei ghiacciai montani. In alcuni casi sussiste uno scambio alternato da stagione a stagione tra falda freatica e fiume e da fiume a falda;
– le acque degli scarichi reflui dei centri abitati e delle aree industriali situati all’interno del bacino imbrifero che vengono tutte scaricate nel fiume o nei suoi affluenti dopo aver subito tutte od in parte il trattamento di depurazione. Fanno eccezione i centri posti in prossimità del mare che scaricano direttamente in quest’ultimo;
– le acque di risulta dell’irrigazione delle campagne che finiscono nel fiume di solito cariche di materie inquinanti.

Per l’efficacia delle opere che qui vengono proposte è richiesta obbligatoriamente la depurazione preventiva delle acque di scarico degli impianti fognari di tutti gli abitati e delle zone industriali mentre per quelle dell’irrigazione agricola deve essere evitato ogni tipo di inquinamento delle falde o degli emissari.
In altri termini la condizione di base, in ogni caso necessaria per la salvaguardia ambientale e comunque imposta dalla norme di legge, è quella che vede già completata la realizzazione di tutti gli impianti di depurazione in modo da avere i fiumi percorsi da acque che abbiano riacquistato la purezza che avevano in origine e nelle quali vivano, come un tempo, i pesci. Se tali condizioni non fossero in futuro raggiunte ed i fiumi fossero invece costretti a ricevere grandi quantitativi di sostanze inquinanti, come accade ai nostri giorni, sorgerebbero problemi così gravi per l’ambiente che quello della scarsità d’acqua e del rimedio che qui viene proposto passerebbero in secondo ordine.
I fiumi che qui si considerano sono, in definitiva, esclusivamente quelli percorsi, nella parte finale del loro alveo che è quella che maggiormente interessa il presente lavoro, da grandi portate d’acqua dolce, priva di ogni tipo di materiale inquinante ed in quantitativi molto variabili nel tempo in funzione dell’andamento meteorologico del bacino tributario. Si possono distinguere tre regimi principali:
– regime di portata media e di morbida. E’ questa la situazione normale che non presenta problemi particolari;
– regime di magra durante il quale, a causa della siccità, la portata diminuisce in maniera sensibile fino a provocare, in alcuni casi, disagi nell’alimentazione dei vari servizi . Al verificarsi di siccità eccezionali il livello dell’acqua alla foce del fiume ed anche nella parte terminale del suo alveo, assume livelli inferiori di quelli della marea il chè provoca la risalita del cuneo salino lungo l’asta del fiume con tutti i maggiori problemi che ciò comporta nei riguardi degli utilizzatori.
– regime di piena conseguente a piogge particolarmente intense e prolungate che richiedono eccezionali misure per il convogliamento e lo scarico a mare di ingenti portate. In questo caso non è raro che l’acqua sia torbida per la presenza in sospensione di sabbie finissime o limi raccolti dalle copiose acque lungo il loro tragitto.

3. LO SBARRAMENTO MOBILE DI FOCE

L’opera che viene qui descritta è lo sbarramento di foce, finora realizzato solo in fiumi di secondaria importanza e, a quanto risulta allo scrivente, con il solo scopo di evitare la risalita del cuneo salino lungo l’asta nel mentre, con differenti modalità costruttive e di utilizzazione e previa esecuzione di lavori di sistemazione delle arginature, si ritiene possa svolgere funzioni ben più importanti.
E’ noto come i maggiori fiumi italiani siano muniti nella loro parte terminale di alte arginature costruite allo scopo di contenere le portate di piena. Spesso le arginature comprendono non solo l’alveo vero e proprio ma anche ampie aree golenali che normalmente sono asciutte ma che vengono utilizzate per aumentare notevolmente la portata che essi possono addurre e scaricare in mare e così far fronte anche alle piene eccezionali.
La costruzione dello sbarramento mobile di foce, che viene qui proposto, consiste nella realizzazione, in prossimità dello sbocco a mare, di una traversa di intercettazione di tutta la sezione del fiume con possibilità della sua apertura totale o parziale al fine di consentire lo scarico di portate regolabili in funzione delle disparate necessità che il sistema presenta. Lo sbarramento deve essere in primo luogo in grado, mediante opportuna manovra degli organi mobili, di scaricare a mare in caso di piena, tutta l’acqua in arrivo da monte ed in secondo luogo di trattenere, regolando la portata di transito, i volumi in eccesso rispetto a quelli da scaricare in ogni caso a mare, costituendo un invaso che, oltre all’alveo vero e proprio, comprenda anche i volumi delle golene fino alla sommità arginale e per uno sviluppo verso monte il più esteso possibile. Allo scopo gli argini, come accennato, devono essere sistemati ed adeguati alle nuove funzioni che sono chiamati a svolgere ovviando, in particolare, alla diminuzione di portata che la barriera mobile provoca inevitabilmente nella adduzione e nello scarico a mare ed assicurando il contenimento del massimo volume di invaso possibile.
In pratica la parte terminale dei fiumi, con le opere che qui si propongono, sarebbe trasformata in un lungo lago caratterizzato da ingenti portate sia in ingresso che in uscita e dal quale, grazie anche al grande volume di invaso che ne consente la compensazione, sarebbe possibile prelevare durante tutto il corso dell’anno e quindi anche nei periodi di magra del fiume, notevoli portate da utilizzare ai diversi fini.
Un secondo scopo, determinante ai fini dell’utilizzazione delle acque fluenti, è quello inerente la risalita del cuneo salino durante i periodi di grande siccità, che risulta impedita nella maniera più assoluta dalla presenza della barriera e da un livello di invaso notevolmente più elevato rispetto a quello di marea.
Infine l’entrata dell’acqua fluente nel lungo bacino di accumulo nel quale la velocità si riduce praticamente a zero, garantisce la decantazione di tutto il materiale in sospensione rendendo più facile il trattamento di potabilizzazione necessario per gli usi idropotabile e consentendo, per gli usi irrigui, industriali e vari, di distribuirla nello stato in cui si trova cioè senza alcun trattamento. Soltanto in caso di piene eccezionali del fiume può verificarsi il caso in cui l’acqua del bacini sia resa torbida dalla presenza di sabbie fini e limi in sospensione. Gli impianti di potabilizzazione e quelli di produzione di acqua per le industrie dovranno, allo scopo di farvi fronte, essere dotati di decantazione propria da mettere in servizio in tali casi, nel mentre nessun problema dovrebbe sussistere per i rifornimenti di acqua irrigua, che quantitativamente sono i più rilevanti, in quanto durante i periodi particolarmente piovosi come sono quelli in argomento, sono, generalmente, sospesi.
Si deve anche rilevare come l’utilizzazione dell’acqua fluente secondo le modalità che qui vengono propugnate, realizza indirettamente, ed in modo totalmente razionale, una delle condizioni che saranno in futuro essenziali per poter disporre dei quantitativi necessari ai diversi usi della popolazione, delle industrie e dell’agricoltura e cioè il riutilizzo delle acque reflue opportunamente trattate che tutte le attuali disposizioni di legge e le necessità obbiettive, richiedono.

Esempio schematico di territorio organizzato per ll completo riciclo delle acque

In pratica l’intero ciclo delle acque subisce, con le opere in argomento, una profonda trasformazione con grande semplificazione delle procedure. Le città poste all’interno del bacino imbrifero sotteso potranno immettere direttamente nel fiume le loro acque reflue di fognatura limitandosi a sottoporle soltanto al processo depurativo necessario per farle rientrare entro i imiti di accettazione allo scarico. La loro riutilizzazione, atta a realizzare il prescritto ciclo ripetitivo in base al quale nessun tipo di acqua proveniente dai vari acquedotti potrà essere scaricata a mare ma dovrà invece essere più e più volte utilizzata per soddisfare compiutamente i vari fabbisogni, avrà luogo, in maniera razionale, alla foce dove esse alla fine sono destinate a pervenire per essere riprese e riutilizzate. Nella figura è riportato lo schema di un territorio organizzato per il completo riciclo delle acque ottenuto tramite barriera di foce . Sono indicati diversificati centri urbani dotati di fognatura, segnata in colore rosso, che scarica la acque reflue nel fiume nel mentre i vari acquedotti (segnati con colore nero) sono alimentati dall’impianto di potabilizzazione del invaso di foce . Solo le città alimentate d’acqua potabile proveniente dagli impianti di foce in oggetto ma ubicate al di fuori del bacino imbrifero da essi sotteso dovranno prevedere la potabilizzazione delle loro acque reflue in quanto, solo in tale caso, detto ciclo ripetitivo sarebbe interrotto.
Da notare come vengano anche ad essere eliminati tutti gli inconvenienti dati dalla diversificata localizzazione degli eventi piovosi all’interno del bacino tributario poichè tutte le acque di pioggia, comunque dislocate, finiscono per arrivare al lago di foce. Al riguardo se si analizza la relazione esistente fra qualità delle acque in arrivo al bacino e la loro provenienza si può affermare che quelle di pioggia derivano per la maggior parte dalle zone montagnose che statisticamente hanno un indice di piovosità più elevato e quindi forniscono un importante contributo idrico anche durante i periodi estivi mentre quelle di depurazione delle acque reflue provengono per la gran parte dalle zone di pianura dove sono ubicati i maggiori centri urbani ed industriali rendendo possibile l’utilizzazione delle ingenti portate di fognatura, soprattutto estive, che li caratterizzano. Viene vieppiù confermata la validità delle opere proposte in quanto atte all’utilizzo di acque le cui diversificate qualità, provenienza e distribuzione temporale durante l’annata si integrano a vicenda. Non ultimo, tra tutti, il contributo acqueo offerto dallo scarico degli impianti di produzione idroelettrica situati nelle zone montane poste all’interno del bacino imbrifero, di solito muniti di laghi con invasi assai capaci, anch’esso destinato a pervenire a fiume.
E’ necessario, come già ripetuto, che tutte le acque scaricate, di qualunque provenienza esse siano, presentino caratteristiche chimico-fisiche e batteriologiche, rientranti entro i limiti di accettazione fissati dalla legge per lo scarico nel fiume, pena la necessità di complesse e inattuabili operazioni di depurazione finale. Si pensi ai diversi processi industriali che inquinerebbero in vario mondo il flusso d’acqua rendendone praticamente impossibile l’utilizzazione. E’ invece necessario che ogni industria provveda, prima dello scarico in fiume, alla depurazione fino a far rientrare le acque scaricate entro determinati limiti di accettabilità allo scarico.
La realizzazione della barriera mobile di foce comporta anche degli inconvenienti di più ordini.
Innanzitutto essa provoca una profonda trasformazione delle caratteristiche ambientali data dalla innovativa presenza di un lago in sostituzione di una parte del corso d’acqua. Ci si augura però che esso non costituisca un elemento negativo visto e considerato che per la sua costruzione si prevede di occupare aree per lo più abbandonate e di poco pregio come sono quelle dell’alveo del fiume quando è in magra o di aree agricole precarie come sono quelle golenali e, visto e considerato che la presenza del lago può essere positiva nei riguardi del turismo, della fauna ittica e di quella acquatica in genere. Sarà quindi necessario uno studio ed una progettazione accurata delle opere in modo da diminuirne l’impatto ambientale ottenendone, alla fine, risultati nettamente positivi.
In secondo luogo la presenza delle paratoie di regolazione ed in genere della barriera attraversante l’asta del fiume provoca delle perdite di carico concentrate con inevitabile aumento nel livello di monte assolutamente intollerabile durante le piene eccezionali del corso d’acqua. Diventa quindi della massima importanza il corretto dimensionamento degli organi mobili ed un rialzo degli argini atto a ripristinarne la piena funzionalità. Questi ultimi, la cui funzione era un tempo limitata allo scorrimento delle acque di piena nel loro moto continuo verso valle, cambiano destinazione e devono invece contenere acque aventi una velocità praticamente nulla per tutta l’estesa dell’invaso. Si rende quindi necessaria una loro revisione con adattamento della quota di sommità al nuovo regime cercando di dare al bacino di accumulo quella maggior lunghezza verso monte che le condizioni locali consentono.
Per mantenere la continuità idrica tra bacino e mare aperto, utile anche per l’interscambio della fauna ittica da mare a fiume e viceversa, lo scarico finale non dovrà aver luogo tramite lame d’acqua sfioranti superiormente alla barriera che, di fatto provocherebbero una interruzione, bensì tramite scarico sotto battente e quindi direttamente nel fondo dell’invaso mediante movimento verso l’alto di ogni paratoia con apertura della luce di scarico nella parte inferiore a contatto con la platea di base e con altezze libere che variano da zero alla quota di massimo invaso del bacino in funzione delle portate che vi debbono transitare. Ciò, oltre al citato transito dei pesci, agevolerà lo scarico a mare di eventuali materiali solidi depositati in bacino e di quelli in sospensione nell’acqua che, per il maggior peso specifico, tenderanno a portarsi alle massime profondità.
Onde evitare l’interramento del bacino dovuto al deposito di sabbie fini e limi che, in occasione delle piene, si accumulano soprattutto nella parte di monte dell’invaso ed inoltre per non privare la costa del mare dei continui apporti di sabbie che normalmente le arrivano da monte, si dovrà prevedere la svuotatura dell’invaso con manovre atte ad assicurare, ad intervalli regolari e senza provocare conseguenze negative nei prelievi, lo scarico a mare di tutti i materiali di depositati in bacino.
I filtri di presa delle acque dovranno essere ubicati il più a valle possibile e posti, essendo montati su zattere flottanti, a qualche metro al di sotto del pelo libero in modo da garantire che la captazione abbia luogo anche nelle condizioni di livello minimo garantendo al tempo stesso le migliori caratteristiche fisiche ed organolettiche essendo le eventuali materie estranee in sospensione nell’acqua normalmente situate nella parte più profonda.
Un ulteriore inconveniente derivante dalla presenza dello sbarramento è quello inerente la navigazione da diporto, pesca o di altro genere. Per ovviarvi dovranno essere prese importanti cautele e, in certi casi, realizzate imponenti opere. Se alla foce del fiume esistono porti o canali per la navigazione, l’attracco o la sosta di imbarcazioni per turismo, pesca od altro, sarà sufficiente spostare lo sbarramento più a monte in modo da non interferire con l’attività nautica. Quando invece è tutta l’asta del fiume ad essere navigabile ed accessibile da mezzi natanti provenienti o diretti al mare aperto, sarà necessario affiancare allo sbarramento una conca di navigazione di adatte dimensioni. La conca, durante i periodi di piena eccezionale, potrà contribuire efficacemente allo scarico a mare delle portate del fiume.

4. L’UTILIZZAZIONE DEL LA BARRIERA PER LA PRODUZIONE DI ENERGIA ELETTRICA

Quando la barriera viene inserita in fiumi importanti caratterizzati da rilevanti portate continue da scaricare in mare, può rivelarsi interessante la produzione di energia elettrica. In questo caso il carico idraulico esistente in corrispondenza della barriera e dato dal dislivello sempre presente tra massimo invaso e marea, anzicchè essere dissipato dalle paratoie durante lo scarico finale in mare delle acque residue, può essere sfruttato inserendo direttamente nella barriera oppure su apposito condotto di derivazione di grande sezione, delle turbine funzionanti a bassa prevalenza ma con grandi portate come sono quelle in gioco. Si tratta di ricavare dalle opere che vengono qui proposte un ulteriore vantaggio da prendere in seria considerazione in questi tempi caratterizzati da una grande carestia di energia elettrica. Esiste una ulteriore possibilità, per la cui utilità occorrono però analisi molto approfondite, ed è quella di prevedere l’installazione di macchine reversibili cioè di turbine che possono essere usate come pompe e di alternatori che, all’occorrenza, diventano motori elettrici. Si tratta di una modalità spesso attuata in negli impianti idroelettrici cosiddetti di accumulo nei quali si recupera durante la notte l’energia elettrica in esubero. Tali impianti in altri termini di giorno utilizzano nelle ore diurne il salto idrico per produrre energia, la notte consumano energia elettrica di basso costo per sollevare l’acqua nel bacino superiore. Nel nostro caso la presenza di macchine reversibili cioè atte a funzionare anche come pompe di sollevamento, potrebbe contribuire durante le piene eccezionali, ad aumentare la portata finale scaricabile a mare dalle opere di sbarramento. La cosa presenta una certa incertezza data dal fatto che le portate in gioco, in caso di piena eccezionale del fiume, assumono valori così elevati che l’apporto dato dalle pompe potrebbe diventare irrisorio. Altri interrogativi sono posti dalla velocità di rotazione che deve assumere la pompa per riuscire ad aumentare la portata, di per sé già molto rilevante, che attraversa il canale di derivazione durante le piene. Si tratta comunque di una possibilità che in sede di progettazione delle opere dovrebbe essere comunque verificata sulla base dei dati reali di funzionamento.

5. L’ESERCIZIO DELLA BARRIERA MOBILE

Gli scopi da raggiungere con una corretta gestione delle opere qui descritte ed in particolare con la regolazione delle paratoie di scarico finale sono i seguenti:

1) mantenere l’invaso ad una quota il più elevata possibile onde consentire il prelievo di tutte le portate che necessitano per il soddisfacimento dei fabbisogni idropotabili, irrigui ed industriali dell’utenza, senza provocare danni all’ambiente e quindi mantenendo, grazie alla ottima compensazione possibile, le portate scaricate a mare entro il limite minimo necessario per l’ambiente. Lo svaso parziale o totale del bacino avrà luogo soltanto al verificarsi di siccità eccezionali. Sarà in tali occasioni che il sistema darà i frutti migliori rendendo possibili cospicui prelievi utili soprattutto per l’irrigazione agricola che è quella che necessita, in tali periodi, dei maggiori quantitativi del prezioso elemento liquido. Per il successivo ripristino dei livelli di invaso, il bacino potrà usufruire di tutti gli eventi piovosi comunque ubicati all’interno dell’ampio bacino imbrifero sotteso ed inoltre di tutti i volumi scaricati dagli impianti fognari dell’intero bacino.

2) assicurare lo scarico delle portate di piena senza danni. Lo scopo sarà raggiunto con un accurato dimensionamento degli organi mobili e con adeguato rialzo degli argini. Lungo tutta l’asta del fiume ed anche in quella degli affluenti principali, e quindi anche a notevole distanza dalla foce, saranno installate le apparecchiature di rilievo e trasmissione automatica ed in tempo reale dei livelli in modo da poter programmare, in anticipo rispetto alle portate realmente in arrivo al bacino, la regolazione delle paratoie di foce in funzione anche delle previsioni meteorologiche e di quelle di richiesta idrica dell’utenza. Dovranno essere in particolare previste in anticipo le ondate di piena e predisposta la svuotatura parziale o totale del bacino in modo da poterle accogliere e smaltire senza danni di sorta. In regime di piena eccezionale e quindi con paratoie totalmente aperte il fiume dovrà possedere una capacità di trasporto e scarico non inferiore a quella che aveva prima della costruzione dello sbarramento di foce. Ancora più accurata e difficoltosa risulterebbe la programmazione degli invasi e degli svasi qualora lo sbarramento fosse dotato anche di centrali per la produzione di energia elettrica in quanto sarebbero in tal caso da contemperare le esigenze di derivazione d’acqua per i vari scopi con quelle della produzione di energia elettrica.

3) Evitare nella maniera più assoluta la risalita del cuneo salino nell’invaso e quindi in tutta l’asta del fiume.

4) assicurare lo sgombero dei materiali sabbiosi e dei limi che si depositano nel bacino tramite apertura totale delle paratoie ad intervalli regolari.

5) Consentire, se necessario tramite conche di navigazione che consentano ai natanti di superare il dislivello tra mare e invaso, la navigazione fluviale e di collegamento con il mare aperto.

6) Eventuale produzione di energia elettrica

L’ipotesi qui esaminata si riferisce allo sfruttamento massimo del bacino di foce ma, ovviamente, può presentare un certo interesse anche una sua utilizzazione parziale ottenuta limitando il livello di invaso ad una quota inferiore a quella massima prima indicata come pure avere necessità di lasciare la barriera completamente aperta ripristinando per un determinato periodo il corso originario del fiume. Ne deriverebbe un minor impatto ambientale sia continuativo come pure per periodi più o meno brevi in funzione delle effettive necessità idriche.

6. ESEMPIO DI BACINO DI FOCE

La risalita del cuneo salino nell’Adige. Notare le pile per sbarramento

Uno dei fiumi italiani che meglio si prestano alla costruzione dello sbarramento di foce, per i notevoli vantaggi che se ne potrebbero ricavare, è senz’altro l’Adige.
E’, per importanza, il secondo fiume d’Italia, con la sua lunghezza di 410 Km, un bacino imbrifero di ben 12200 Kmq assicura una portata media annua di ben 214 mc/sec. Lungo il suo corso e in quello dei suoi affluenti, sono molte le opere esistenti per l’utilizzazione del suo imponente volume idrico: impianti idroelettrici, irrigui e per alimentazione idropotabile di importanti centri abitati. Lungo il suo corso è stata costruita anche un’opera eccezionale quale è la galleria che lo collega al lago di Garda allo scopo di potervi deviare, in caso di necessità, grandi portate. Anche questo fiume soffre dell’inconveniente della risalita del cuneo salino lungo la parte terminale dell’asta che impedisce, in periodi estivi particolarmente siccitosi, la sua utilizzazione ai fini irrigui ed idropotabili.

Vengono qui indicati alcuni elementi di larga massima ma che possono dare un’idea dei grandi vantaggi che potrebbero aversi con la costruzione dello sbarramento di foce. I dati principali approssimati sono riportati nell’allegato profilo schematico. In esso sono tracciati, con scala delle altezze maggiorata mille volte rispetto a quella delle lunghezze, l’andamento degli argini attuali e del pelo libero in regime di portata media aventi una pendenza media dello 0,25 per mille e quello di magra, presunto con una minor quota idrica di 2 m, avente la parte terminale rigurgitata dal livello di marea. Sono indicati anche un rialzo degli argini per una estesa di circa 5 Km variabile da zero a m. 1.50 presso la foce e necessario per quanto detto in precedenza ed al fine di valutarne i benefici in termini di maggior invaso. Si tratta chiaramente di ipotesi di larga massima formulate al solo scopo di fornire una indicazione sommaria delle opere che vengono proposte.
Si può notare come, considerando gli argini allo stato attuale ed in regime di portata media, il volume invasabile è stimato in circa 6.400.000 mc dato dal cuneo a profilo triangolare compreso tra il pelo libero avente, come già detto una pendenza media dello 0.25 per mille e quello rigurgitato e praticamente orizzontale dovuto alla presenza della barriera di foce. Con la sopraelevazione prima indicata di soltanto 1.5 m degli argini per 4.5 Km nella parte terminale potrebbero aversi altri 4.600.000 utili.
Se si esamina invece il fiume in magra cioè nelle condizioni in cui statisticamente si ha un maggiore prelievo dal fiume per scopi irrigui, idropotabili o per usi vari, si hanno altri 4.200.000 mc con gli argini attuali che aumentano di altri 1.600.000 mc con il loro rialzo.
In definitiva i volumi totali di accumulo utilizzabili nelle varie condizioni sono io seguenti:
In regime di portata media:
– con gli argini attuali : mc 6.400.000
– con gli argini sistemati : mc 11.000.000
In regime di magra ( 2 m. sotto il livello normale)
– con gli argini attuali : mc 15.200.000
– con gli argini sistemati : mc 16.800.000

 

Profilo schematico dello sbarramento alla foce del fiume Adige

Considerato che il fiume Adige ha una portata media annua di 214 mc/sec. e con un volume di invaso di 16.800.000 di mc stimato come sopra per un regime di magra, si potrebbe prevedere, in prima ipotesi, di prelevare una portata media di ben 100 mc/sec , restando garantita una compensazione delle portate approssimativamente valida per almeno una quindicina di giorni il che significherebbe poter colmare il divario esistente tra prelievi istantanei ed apporti liquidi con la pregiudiziale che nel frattempo avessero a verificarsi apporti liquidi di piogge comunque ubicate all’interno del vastissimo bacino imbrifero, scarichi vari come sono quelli degli impianti idroelettrici esistenti nelle aree montagnose od apporti dei sistemi fognanti delle grandi città site più a valle, atti a coprire i prelievi. In seconda ipotesi si può prevedere il prelievo di una portata media di 50 mc/sec. Il periodo passerebbe da 15 ad un mese. Per una compensazione trimestrale il prelievo si riduce a circa 20 mc/sec. Si tratta in ogni caso di prelievi notevolissimi.
Come già spiegato i dati sono molto approssimati e sono riportati solo per dare una indicazione di larga massima. Per una migliore determinazione occorrerebbe tener conto di numerosi fattori tra i quali di primaria importanza le portate reali del fiume quali risultano dagli annali idrografici di un lungo periodo.
Da notare come l’alveo dell’Adige sia costituito dalla sola asta del fiume avente un larghezza quasi costante per tutto la parte terminale e pari a circa 150 m, in quanto non sono presenti aree golenali. Altri fiumi come il Piave o il Tagliamento ne possiedono invece alcune molto vaste, normalmente asciutte, e che vengono utilizzate solo durante le piene eccezionali. La costruzione della barriera di foce in tali fiumi darebbe come risultato immediato la costituzione di un volume di invaso molto superiore, in rapporto con la più modesta portata del fiume, a quello esaminato per l’Adige e quindi con risultati proporzionalmente ancora migliori di quelli prima descritti. Il Tagliamento è provvisto di uno scaricatore di piena denominato Cavrato, avente un’area enorme attualmente adoperata solo per scaricare le piene eccezionali area che, se munita anch’essa di barriera alla foce, presenterebbe una enorme capacità di invaso da aggiungersi a quella ricavata dall’asta del fiume vera e propria con le modalità prima indicate per l’Adige.

7. LONDRA: UN ESEMPIO SIGNIFICATIVO

Viene citato, non solo per le sue originali e funzionali caratteristiche costruttive ma anche e soprattutto per la diversa loro utilizzazione decisa in tempi recenti, un’opera imponente come lo sbarramento del Tamigi realizzato vicino a Londra. Come risulta dal disegno indicativo e dalle foto allegati, il manufatto, ultimato nel 1984, comprende una serie di paratoie a settore cilindrico ciascuna lunga una sessantina di metri ed alta una ventina ed aventi in origine lo scopo di proteggere Londra dagli allagamenti provocati dalle alte maree. A tale scopo, durante il trascorso ventennio, la barriera è rimasta sempre aperta con la eccezione di sole quattro o cinque volte l’anno in cui, a seguito di previsioni di marea particolarmente alta, la sua manovra preventiva ha salvaguardato Londra dagli allagamenti. Ovviamente per tutta la durata di chiusura, le acque del Tamigi, trattenute dalla barriera, sono state accumulate all’interno degli argini del fiume, per essere poi scaricate a mare alla fine del periodo di alta marea.

Sezioni schematiche dello sbarramento di Londra

La crisi idrica che ai nostri giorni interessa tutte le nazioni, Inghilterra compresa, ha negli ultimi anni indotto i responsabili del servizio idrico di Londra a cambiare radicalmente, almeno nelle intenzioni, l’uso della barriera e, senza nulla togliere alla sua funzione principale che resta quella di proteggere la città dagli allagamenti, poter anche sfruttare ai fini idropotabili il grande volume d’acqua dolce dell’invaso che tramite di essa è sempre possibile accumulare. Allo scopo è sufficiente modificare l’esercizio della barriera e, invece di lasciare un’opera così imponente sempre aperta e quindi inutilizzata per la quasi totalità dell’anno, mantenerla parzialmente chiusa e regolata in modo da avere a monte un livello idrico più elevato che impedisca la risalita del cuneo salino e, al tempo stesso, accumulare un grande volume d’acqua dolce.
E’ facile constatare come quella descritta sia esattamente la stessa funzione svolta dalle barriere mobili che nel presente capitolo è stata solo ipotizzata mentre invece a Londra è stata suggerita da uno stato di fatto reale come la presenza della barriera e degli invasi che tramite la stessa vengono di fatto realizzati.
E’ quindi confermata da una circostanza reale l’opportunità di estendere l’uso della barriera mobile di foce in altri fiumi secondo le regole prima indicate. Viene qui di seguito riportata letteralmente una parte dell’articolo pubblicato sul n. 2 del marzo-aprile 1995 della rivista “IDROTECNICA” sull’argomento e che documenta il momento di passaggio dall’una all’altra modalità di gestione dell’opera.
“In questi ultimi anni sono stati approfonditi studi per un utilizzo permanente dello sbarramento come opera di regolazione, oltreché di difesa. L’opera potrebbe garantire una variazione dei livelli di marea intorno ai 2 m riducendo gli inconvenienti delle forti velocità idriche (fino a 6-7 m/s) nel tratto metropolitano. Ciò comporterebbe inoltre vantaggi di natura ricreativa per la città, ma, soprattutto, di approvvigionamento idrico, potendosi prevedere, con la drastica riduzione della salinità, la formazione di un serbatoio strategico nel centro di Londra che risolverebbe la domanda idrica nella bassa valle del Tamigi. “

 

8. CONCLUSIONI

E’ stata indicata una modalità di utilizzazione dell’acqua fluente nei fiumi principali diversa da quella in uso e tesa alla risoluzione dei gravi problemi di carenza idrica che attanaglieranno la futura società.
Dalla ricerche fatte da chi scrive non risulta ancora attuata alcuna opera del genere: probabilmente la motivazione và ricercata nelle difficoltà obbiettive che essa presenta

Lo sbarramento di Londra

nei riguardi dell’ambiente, nella difficoltà che presenterebbe la regolazione delle portate di piena dei fiumi ed infine nell’esercizio essendo, in definitiva, una proposta di grande impatto e di grande impegno economico.
Si ritiene però che sia utile affrontarne la discussione per l’indubbio interesse che, a giudizio di chi scrive, essa, opportunamente verificata e corretta, presenterebbe. Sarebbero pertanto oltremodo graditi interventi critici dei lettori volti a mettere in luce gli aspetti sia negativi che positivi della soluzione oppure volti a modificarla e a migliorarla.

INDIETRO

AVANTI

PERDITE OCCULTE DEGLI ACQUEDOTTI: SCARSA CONOSCENZA E CATTIVA INFORMAZIONE

1) PREMESSA

punto escamativoLa stampa tecnica specializzata ed anche quella di tipo divulgativo, si occupano spesso del problema delle perdite occulte degli acquedotti enfatizzando le disastrose conseguenze che derivano alla società intera dal notevole volume d’acqua che viene a mancare nei bilanci idrici degli acquedotti. Sono frequenti dichiarazioni di questo tipo: in Italia il 50% dell’acqua captata dalle fonti non arriva all’utente ma viene perduta.
Si vuole qui dimostrare come i dati diffusi dalla stampa e, ahimè anche quelli in possesso agli Enti gestori degli acquedotti, siano in gran parte affetti da errori così macroscopici da metterne in dubbio la validità. Si vuole altresì dimostrare come, in relazione all’argomento qui trattato, siano totalmente sconosciuti anche altri elementi di vitale importanza.

2) LA DETERMINAZIONE DEL VOLUME TOTALE D’ACQUA PRODOTTA

Quello in oggetto è Il secondo dato base da considerare nei calcoli. E’ nella sua determinazione che vengono commessi gli errori maggiori.
Il volume di cui si discute viene normalmente ricavato dalle registrazioni contabili redatte dall’Ente gestore per la riscossione delle bollette d’acqua e quindi per scopi e con modalità diverse da quelli qui trattati.
Non è da escludere il caso in cui venga messo in conto “sic et sempliciter” il volume totale d’acqua fatturato senza tener conto che esso comprende anche volumi non consumati ma che vengono addebitati all’utenza per consumi mensili inferiori al quantitativo minimo prefissato. Quando anche si sia tenuto conto dei minimi fissi grazie ad un sistema che conteggia anche i volumi d’acqua realmente consumati dall’utenza oppure mediante calcoli empirici più o meno esatti, permangono altri gravi errori dovuti alle caratteristiche meccaniche del contatore privato d’utenza. Da rilevare, innanzitutto, la sua inerzia di base che fà si che le piccole portate come sono lo stillicidio di un rubinetto o la sua apertura parziale, non vengano affatto misurate essendo inferiori al quantitativo minimo necessario per vincere l’attrito iniziale del contatore medesimo. Sembrerà un’inezia, ma la somma di tante piccole mancate registrazioni come quella indicata costituisce invece un sensibile errore nella stima totale dei consumi.
Un altro fattore da tener presente è l’invecchiamento dei contatori degli utenti. Non è raro constatare come molti di loro siano muniti dello stesso apparecchio da più decenni, il che significa misure assolutamente non veritiere. Un tempo si ovviava a questo inconveniente, provvedendo, su richiesta dell’utente o a intervalli regolari, alla verifica del contatore tramite l’apposito cassone di misura e alla sua regolazione con la vite di taratura di cui erano muniti i contatori stessi. Ai nostri giorni si preferisce sostituire frequentemente gli strumenti di misura ma, nella realtà, questa ottima pratica è spesso disattesa ed il parco contatori è sistematicamente troppo vecchio per fornire dati esatti.
Ulteriori difetti nella determinazione dei volumi realmente consumati nel periodo in esame sono dovuti alle modalità normalmente seguite nella lettura dei contatori d’utenza la quale non è, ovviamente, eseguita contemporaneamente per tutti gli utenti ma è invece distribuita lungo tutto un periodo di lettura più o meno lungo. Si tratta pertanto di dati che temporalmente non coincidono affatto con quelli dei misuratori della portata totale immessa in rete di cui al capitolo 2 provocando una evidente disomogeneità tra gli elementi messi a confronto e quindi un ulteriore motivo di errore nei calcoli.
Un altro elemento da non trascurare è la mancata registrazione di notevoli consumi relativi agli edifici pubblici o enti di beneficenza che non pagano l’acqua, alle fontanelle pubbliche, alle vasche di cacciata delle fognature pubbliche, agli idranti o alle prese per bagnare i giardini pubblici e le strade, i lavaggi o gli scarichi d’acqua per interventi di normale manutenzione dell’acquedotto, gli sfiori dei serbatoi, gli allacciamenti abusivi o comunque esenti da fatturazione. Si tratta di ingenti quantitativi d’acqua che sfuggono da ogni tipo di controllo o misura.
Infine nel caso di presenza di aria emulsionata nell’acqua a causa di eventuali anomalie degli impianti, oltre alle imprecisioni nella determinazione dei volumi immessi in rete di cui si è detto al capitolo 2, si verificano errori anche in quelli consegnati all’utenza. Infatti, se non precedentemente eliminata tramite sfiati o vasche di carico, l’aria presente nei tubi della rete viene eliminata attraverso gli allacciamenti di utenza le cui cravatte di presa sono tutte posizionate sulla generatrice superiore delle tubazioni stradali proprio allo scopo di raccogliere ed evacuare le sacche d’aria. Ebbene anche in questo caso si provocano degli errori nella misura perché nessuno sa come si comporti il contatore privato, che è stato tarato per misurare acqua, quando è invece percorso dall’aria. Certamente il volume misurato non ha alcuna attinenza con il bilancio idrico di cui di parla trattandosi di aria che passa a gran velocità attraverso le pale del mulinello del contatore!

 

 

3) LA DETERMINAZIONE DEI VOLUMI D’ACQUA FORNITA ALL’UTENZA

Questi contatori non sono in grado di misurare con esattezza i volumi d’acqua consumati dall’utenza. Devono essere sostituiti quanto prima da contatori di nuovo tipo e multifunzione

Quello in oggetto è Il secondo dato base da considerare nei calcoli. E’ nella sua determinazione che vengono commessi gli errori maggiori.
Il volume di cui si discute viene normalmente ricavato dalle registrazioni contabili redatte dall’Ente gestore per la riscossione delle bollette d’acqua e quindi per scopi e con modalità diverse da quelli qui trattati.
Non è da escludere il caso in cui venga messo in conto “sic et sempliciter” il volume totale d’acqua fatturato senza tener conto che esso comprende anche volumi non consumati ma che vengono addebitati all’utenza per consumi mensili inferiori al quantitativo minimo prefissato. Quando anche si sia tenuto conto dei minimi fissi grazie ad un sistema che conteggia anche i volumi d’acqua realmente consumati dall’utenza oppure mediante calcoli empirici più o meno esatti, permangono altri gravi errori dovuti alle caratteristiche meccaniche del contatore privato d’utenza. Da rilevare, innanzitutto, la sua inerzia di base che fà si che le piccole portate come sono lo stillicidio di un rubinetto o la sua apertura parziale, non vengano affatto misurate essendo inferiori al quantitativo minimo necessario per vincere l’attrito iniziale del contatore medesimo. Sembrerà un’inezia, ma la somma di tante piccole mancate registrazioni come quella indicata costituisce invece un sensibile errore nella stima totale dei consumi.
Un altro fattore da tener presente è l’invecchiamento dei contatori degli utenti. Non è raro constatare come molti di loro siano muniti dello stesso apparecchio da più decenni, il che significa misure assolutamente non veritiere. Un tempo si ovviava a questo inconveniente, provvedendo, su richiesta dell’utente o a intervalli regolari, alla verifica del contatore tramite l’apposito cassone di misura e alla sua regolazione con la vite di taratura di cui erano muniti i contatori stessi. Ai nostri giorni si preferisce sostituire frequentemente gli strumenti di misura ma, nella realtà, questa ottima pratica è spesso disattesa ed il parco contatori è sistematicamente troppo vecchio per fornire dati esatti.
Ulteriori difetti nella determinazione dei volumi realmente consumati nel periodo in esame sono dovuti alle modalità normalmente seguite nella lettura dei contatori d’utenza la quale non è, ovviamente, eseguita contemporaneamente per tutti gli utenti ma è invece distribuita lungo tutto un periodo di lettura più o meno lungo. Si tratta pertanto di dati che temporalmente non coincidono affatto con quelli dei misuratori della portata totale immessa in rete di cui al capitolo 2 provocando una evidente disomogeneità tra gli elementi messi a confronto e quindi un ulteriore motivo di errore nei calcoli.
Un altro elemento da non trascurare è la mancata registrazione di notevoli consumi relativi agli edifici pubblici o enti di beneficenza che non pagano l’acqua, alle fontanelle pubbliche, alle vasche di cacciata delle fognature pubbliche, agli idranti o alle prese per bagnare i giardini pubblici e le strade, i lavaggi o gli scarichi d’acqua per interventi di normale manutenzione dell’acquedotto, gli sfiori dei serbatoi, gli allacciamenti abusivi o comunque esenti da fatturazione. Si tratta di ingenti quantitativi d’acqua che sfuggono da ogni tipo di controllo o misura.
Infine nel caso di presenza di aria emulsionata nell’acqua a causa di eventuali anomalie degli impianti, oltre alle imprecisioni nella determinazione dei volumi immessi in rete di cui si è detto al capitolo 2, si verificano errori anche in quelli consegnati all’utenza. Infatti, se non precedentemente eliminata tramite sfiati o vasche di carico, l’aria presente nei tubi della rete viene eliminata attraverso gli allacciamenti di utenza le cui cravatte di presa sono tutte posizionate sulla generatrice superiore delle tubazioni stradali proprio allo scopo di raccogliere ed evacuare le sacche d’aria. Ebbene anche in questo caso si provocano degli errori nella misura perché nessuno sa come si comporti il contatore privato, che è stato tarato per misurare acqua, quando è invece percorso dall’aria. Certamente il volume misurato non ha alcuna attinenza con il bilancio idrico di cui di parla trattandosi di aria che passa a gran velocità attraverso le pale del mulinello del contatore!

 

4) AFFIDABILITA’ DEL RISULTATO E AZIONI DA INTRAPRENDERE

Dalle indicazioni fornite si arriva a capire come i dati di perdita degli acquedotti sui quali si sono versati e si continuino a versare fiumi di inchiostro non siano che dati fortemente approssimati.
Non é ovviamente possibile stimare il grado di imprecisione che li caratterizza: quella che emerge è solo una sensazione di grande precarietà e quindi difficoltà a formulare analisi approfondite. Si possono citare solo elementi di larga massima. Ad esempio se la percentuale di errore in più o in meno fosse pari, come sembra plausibile, al 20%, ciò starebbe ad indicare che un acquedotto cui è attribuita una percentuale di perdita del 50% nella realtà potrebbe avere percentuali del 70% e quindi da considerare catastrofiche come pure quelle, di tutta tranquillità, pari al 30%!

Un altro elemento che dà da pensare è la mancanza di elementi circa l’interdipendenza che sicuramente esiste tra perdite occulte e pressione di funzionamento delle condotte acquedottistiche.

Si arriva a concludere che, rappresentando le perdite occulte degli acquedotti un fenomeno praticamente incognito, è tempo di approfondirne la conoscenza effettuando accertamenti diversi da quelli attualmente usati di cui si è prima parlato, e che siano atti a dare le necessario informazioni. In questo senso un provvedimento ad avviso di che scrive essenziale, sarebbe l’esecuzione di una serie di prove condotte secondo le seguenti regole.
Scelta all’interno di una rete acquedottistica un’area ben delimitata i cui utenti rappresentino l’utenza media cittadina, applicare in serie con il contatore di tutti gli utenti di detta zona un misuratore-registratore di portata e della pressione di consegna dell’acqua. Applicare nei punti di immissione dell’acqua nella zona prescelta dei misuratori in grado di rilevare e registrare con continuità portata totale e pressione dell’acqua fornita alla zona stessa. La strumentazione fatta funzionare per un periodo di più bollettazioni permetterebbe di chiarire i molti interrogativi prima indicati e suggerire le soluzioni dei vari problemi.

 

5) CONCLUSIONI

Dimostrato, tramite una elencazione dei possibili errori, che l’ammontare delle perdite occulte degli acquedotti è praticamente incognito, viene affermata l’infondatezza delle conclusioni cui la stampa tecnica perviene nello specifico settore.
Sono proposti gli accertamenti da eseguire nella rete acquedottistica per ottenere la conoscenza vera dei fenomeni connessi alla distribuzione dell’acqua potabile all’utenza in relazione allo scottante tema delle perdite in oggetto.

aggiornato novembre 2005

 

NB.: Gli argomenti di questa sezione continuano  nella parte seguente.

PERDITE OCCULTE DELLE RETI DI DISTRIBUZIONE DEGLI ACQUEDOTTI MONTANI: UN MALE NECESSARIO?

1) PREMESSA

Una delle caratteristiche delle reti di distribuzione d’acqua potabile nei territori montani e funzionanti con pressione di esercizio elevate è quella di accusare notevoli perdite occulte. Non sono rari i casi in cui l’acqua dispersa nel terreno supera il 50% di quella totale immessa in rete. Si tratta di un fenomeno molto diffuso e che, oltre alla citata dispersione di quel bene prezioso che è l’acqua potabile, comporta anche un sensibile danno economico di gestione.
Nella nota si dimostra come la presenza delle perdite in quantità così rilevante presenti, paradossalmente, un aspetto positivo e come sia impossibile e comunque non consigliabile, a meno di una radicale modifica dell’assetto acquedottistico, la loro eliminazione.

 

2) DESCRIZIONE DEL PROBLEMA

Un funzionamento regolare della rete di distribuzione d’acqua potabile richiede una piezometrica il più possibile parallela al suolo e con valori di pressione relativa compresi tra un minimo di 20 ed un massimo di 50 metri di colonna d’acqua rispetto al terreno.
Nel mentre tale risultato è facilmente raggiungibile nei territori di pianura, non può dirsi altrettanto in presenza di notevoli dislivelli altimetrici del suolo come accade nei centri abitati posti in collina o in montagna. Le modalità da seguire in quest’ultimo caso, in dettaglio spiegate nell’articolo “LA RETE DI DISTRIBUZIONE D’ACQUA POTABILE DEI TERRITORI CON NOTEVOLI DISLIVELLI TOPOGRAFICI”  con suddivisione nei relativi sottocapitoli,  richiedono  particolari accorgimenti come la suddivisione della rete in tante sottoreti altimetricamente omogenee e di altezza contenuta entro determinati limiti, ognuna funzionante con pressioni opportunamente regolate.. Tali modalità, da considerarsi ottimali ed atte, esse sole, a garantire una piezometrica sempre parallela al suolo e di valore adeguato, sono però raramente adottate essendo piuttosto gli Enti Gestori degli acquedotti orientati verso reti unificate, indipendentemente dalla conformazione altimetrica del territorio, in tutto il comprensorio da alimentare. Ne risulta un servizio idrico semplificato sia nella costruzione degli impianti e sia nella loro gestione che presenta però i difetti indicati ed in particolare una pressione nelle condotte assolutamente inadeguata ed estremamente variabile durante la giornata. Essa assume valori normali soltanto durante le ore di maggior consumo in quanto è allora che diventa parallela al suolo. Man mano che la richiesta idrica diminuisce la pressione aumenta fino ad avvicinarsi al livello statico. Si hanno allora in condotta valori di pressione così elevati da causare vari inconveniente come sarà dimostrato.
Immaginiamo una rete unitaria alimentante un centro abitato posto su un pendio con 300 m di dislivello. La pressione, contenuta entro normali valori quando i consumi sono elevati, per consumi prossimi allo zero assume, nella parte bassa del territorio, valori di circa 300 m sul suolo, valori quindi assolutamente inaccettabili. Suddividendo la rete in 5 sottoreti dell’altezza media di circa 50 m. si otterrebbe invece una pressione sempre parallela al suolo , sia durante le ore di forte consumo e sia nei periodi di bassi consumi. Nel mentre quanto descritto per quest’ultima rete è da ritenersi realistico in quanto essa è, in tal caso, atta a mantenere le pressioni citate, sia pur con un andamento a gradini, diventa pura teoria se si parla di rete unificata. In tal caso, infatti, viene a prendere corpo una tendenza di autocorrezione della pressione dovuta ad una miriade di piccole perdite occulte che, aumentando a dismisura la portata d’acqua dispersa nel terreno, fanno diventare il funzionamento a consumo zero e quindi il livello statico della piezometrica di rete soltanto un irraggiungibile miraggio: in sede di reale esercizio la portata di perdita si modula in continuazione e del tutto automaticamente e, ai valori minimi durante i periodi di forte consumo, diventa preponderante durante la notte e i rimanenti periodi di consumo nullo dell’utenza provocando perdite di carico così importanti da far rientrare la pressione di rete entro valori tollerabili.

Le conclusioni cui si perviene possono essere così sintetizzate:

1. La portata delle perdite occulte nelle reti montane di tipo unificato, anche se sottoposte a continua ricerca ed eliminazione delle falle, sono variabilissime a seconda del periodo che si considera e cioè sono minime durante le ore di grande richiesta idrica dell’utenza per diventare preponderanti durante le ore di consumo minimo e particolarmente durante la notte;
2. Le perdite occulte della rete di cui al precedente punto 1, nel mentre costituiscono un grave danno per la dispersione di preziosa acqua, costituiscono un irrinunciabile fattore di regolazione della pressione che, senza le perdite, sarebbe assolutamente inaccettabile.
3. L’eliminazione delle perdite occulte in una rete come quella in argomento è impossibile da attuarsi. Nella reale gestione degli acquedotti ci si deve, paradossalmente, limitare alla riparazione delle grosse rotture delle tubazioni nel mentre quelle derivanti da falle di piccola entità, sempre presenti ed essendo molto sensibili alla variazione di pressione, effettuano la regolazione automatica della pressione di esercizio contribuendo in maniera determinante a riportarla entro valori corretti;

4. Il funzionamento di una rete montana unitaria come quella in argomento può considerarsi, come già indicato, paradossale in quanto si arriva a concludere che le perdite occulte sono utili.

Una riserva deve essere formulata per l’alimentazione di piccoli e piccolissimi centri urbani per i quali non si giustifica la costruzione di reti complesse dovendo invece preferire l’adozione di reti unificate le quali, pur se soggette a tutti i difetti descritti, costituiscono alla fin fine ìla soluzione più razionale ed economica.

Nell’articolo ” la rete acquedottistica integrata nel territorio ”  è descritta una rete di distribuzione del tutto particolare ed atta a superare i problemi descritti grazie alla sua conformazione ed alla presenza di serbatoi idropneumatici

 

C) CONCLUSIONI

L’esame critico del funzionamento idraulico delle reti di distribuzione d’acqua potabile di cui sono normalmente dotate le aree urbane site in montagna o in collina ed aventi quindi forti dislivelli del suolo, pur in assenza di dati reali di funzionamento come la misura delle perdite durante le varie ore della giornata, ha portato alla conclusione che la presenza di rilevanti perdite occulte che le caratterizza presenta un duplice e contraddittorio aspetto. Da un lato rappresentano un notevole danno dato dalla eccessiva dispersione d’acqua nel terreno e dall’altro un vantaggio in quanto svolgono una importante azione di regolazione della pressione che, in caso contrario assumerebbero valori insostenibili.
Si è anche arrivati a concludere che l’eliminazione totale delle perdite dalle reti in argomento è praticamente un traguardo irraggiungibile se non con una diversa costituzione del servizio acquedottistico. E’ stata anche formulata una riserva per i centri urbani di piccola e piccolissima estensioni per i quali è tollerabile la presenza di una rete unificata. Nella parte finaleè citata una particolatre conformazione della rete atta a superare razionlmente molti dei difetti citati.

 

 

CARENZA IDRICA ED ALIMENTAZIONE IDROPOTABILE A TURNI ALTERNATI

1. PREMESSA


Un grave inconveniente derivato da prolungati periodi di siccità è quello delle crisi alle fonti che alimentano gli acquedotti e della conseguente necessità di razionamento delle insufficienti risorse idriche allora disponibili. Sono descritti nella nota i frequenti problemi igienici che sorgono ed indicata una loro possibile soluzione.

 

2. EFFETTI DELLA CRISI IDRICA

I provvedimenti che si adottano in caso di grave e temporanea crisi idrica sono nell’ordine:

· In prima fase la sospensione della fornitura d’acqua durante i periodi notturni;
· In seconda fase, da attuare in caso di insuccesso della prima ed in aggiunta ad essa, la sospensione diurna praticata a turni orari alternati mediante chiusura delle saracinesche stradali zona per zona e per periodi più o meno lunghi in funzione della residua disponibilità d’acqua.

Oltre a provocare gravi disagi alla popolazione che si vede privata del rifornimento idrico per molte ore del giorno e per tutta la notte, un servizio turnario del genere comporta anche gravi rischi igienici. E’ infatti ben noto come in ogni realtà acquedottistica siano presenti piccole fessurazioni o rotture delle tubazioni interrate che provocano, durante il normale esercizio, perdite d’acqua per quantitativi pari, in acquedotti in ottimo stato di manutenzione e funzionanti a pressione normale, a circa il 20% del volume totale d’acqua prodotta per arrivare, negli acquedotti vetusti o funzionanti a pressione elevata, fino al 50% di esso ed anche oltre. Fortunatamente la fuoriuscita d’acqua attraverso le piccole fessure, esercita una azione igienicamente protettiva in quanto la forte pressione e velocità che la caratterizza, inibisce ogni immissione all’interno delle tubazioni di liquidi, insetti o altre sostanze inquinanti sempre presenti nei terreni attraversati, azione protettiva che però viene totalmente a mancare quando, per un qualsivoglia motivo, il flusso d’acqua in condotta viene interrotto. Ha luogo, in tal caso, un’azione contraria di aspirazione verso l’interno delle condotte stesse che tendono a svuotarsi per alimentare utenze o perdite poste nelle zone altimetricamente depresse. In definitiva ogni interruzione di funzionamento delle condotte stradali costituisce una probabile fonte di inquinamento che impone, prima della messa in pristino, un accurato lavaggio e disinfezione di tutti i tronchi di tubazione interessati dal disservizio.
Sono evidenti i rischi igienici che si corrono quando l’alimentazione idropotabile di un’intera città viene effettuata, come indicato all’inizio, a turni alternati comportanti ripetute sospensioni e rimesse in servizio dell’intera rete di distribuzione dell’acqua potabile senza che vengano rispettate le regole citate in tema di lavaggio e disinfezione.

 

3. REGOLAZIONE  IDROPOTABILE CORRETTA

La soluzione di molti dei problemi ricorrenti nel rifornimento idropotabile può essere trovata adottando, nella costruzione ed esercizio dei complessi acquedottistici, concetti diversi da quelli tradizionali classici e che presentano, rispetto a questi ultimi, evidenti vantaggi quali economia nelle spese energetiche, minori perdite occulte, corretta consegna dell’acqua all’utenza ed infine una grande elasticità di esercizio che consente di affrontare efficacemente eventuali situazioni di emergenza. Si tratta di una rete di distribuzione, a buon titolo chiamata rete ideale, funzionante a pressione di partenza variabile e che può validamente sostituire quella tradizionale caratterizzata, invece, da vasche di carico poste in testa ad essa con lo scopo di assicurare una pressione costante dell’acqua immessa in rete. L’elemento posto sotto controllo nella rete ideale è invece la pressione finale di consegna dell’acqua all’utenza ritenuta, a ragione, determinante per una corretto esercizio. Per raggiungere tale scopo la vasca di carico, prima descritta per la rete classica, deve essere sostituita da un dispositivo idraulico che, tramite l’impianto di telecontrollo e telecomando dell’acquedotto, varia in continuazione e del tutto automaticamente la pressione con cui l’acqua viene immessa in rete e ciò sulla base di precise modalità di definizione di detta pressione finale costantemente tenuta sotto controllo dal sistema. Quest’ultima dovrà infatti, in ogni giornata, essere elevata nelle ore in cui si verificano le richieste maggiori (ad esempio m. 35 sul tubo), media al pomeriggio quando non si hanno consumi di punta (m.25) ed infine molto bassa (m.15) alla notte quando i consumi sono prossimi a zero. Il dispositivo idraulico, costituito nella rete a sollevamento meccanico da pompe a velocità variabile con immissione diretta in rete ed in quella funzionante a gravità da una o più valvole di riduzione della pressione dotate di servocomando meccanico azionato dall’impianto di telecontrollo, provvede alla regolazione continuativa ed automatica della pressione di testa della rete in modo da riportare quella finale rilevata ai punti caratteristici della rete e trasmessa in continuazione al centro, entro i valori prefissati ora per ora.
Una rete del genere, le cui caratteristiche generali sono meglio spiegate nella memoria ” La razionalizzazione delle reti di distribuzione d’acqua potabile a sollevamento meccanico” visibile in questo stesso sito, presenta, tra l’altro, il vantaggio di fornire una adeguata soluzione del problema inerente la crisi delle fonti che forma specificatamente l’oggetto della presente memoria. Essa consente infatti di limitare durante prefissati intervalli temporali, i volumi d’acqua da distribuire all’utenza, non già, come si usa fare con troppa disinvoltura chiudendo sic et sempliciter l’acqua zona per zona ma invece abbassando ad arte la pressione di esercizio fino al raggiungimento delle necessarie economie idriche e tutto ciò mantenendo comunque una pressione finale in condotta sempre sufficiente per evitare ogni immissione di sostanze dall’esterno dei tubi.
Si dimostra come anche in regime di funzionamento normale ad una riduzione della pressione di esercizio contenuta comunque entro valori atti ad una corretta alimentazione di tutta l’utenza, corrisponda una sensibile diminuzione del consumo idrico totale che si riscontra non soltanto nelle perdite occulte, molto sensibili alla variazione in oggetto, ma anche nelle richieste dell’utenza (tale fenomeno è spiegato nella memoria “Fabbisogno, consumi, portate e perdite nella pratica di esercizio delle reti di distribuzione d’acqua potabile a sollevamento meccanico” . Quando poi, come accade durante il razionamento turnario che qui si vuole propugnare, la pressione viene ridotta molto al di sotto del limite minimo di esercizio (ad esempio portandola ad un valore di soli 5 m di colonna d’acqua sull’asse tubo), allora si riscontrano anche economie idriche conseguenti al mancato rifornimento di gran parte dell’utenza per cui i volumi totali d’acqua consumati durante l’orario di turno sono prossimi allo zero.
In definitiva un possibile razionamento d’acqua della “rete ideale” è quello che si ottiene abbassando la pressione di consegna, per un numero di ore giornaliero definito in funzione delle reali disponibilità d’acqua, fino a portarla al valore minimo ma sufficiente per evitare che le condotte vadano in depressione. Allora la maggior parte dell’utenza è priva del rifornimento idrico ma viene tutelato l’igiene del servizio assicurando, al tempo stesso, una alimentazione minimale ai rubinetti posti ai piani bassi delle case cui gli utenti possono ricorrere in caso di estrema necessità. La metodologia, consentendo anche il ripristino immediato del normale servizio allo scadere dell’orario prestabilito senza dover ricorrere a straordinari lavaggi e alla disinfezione della rete, possiede tutte le caratteristiche per una risoluzione ottimale del problema “Razionamento idrico mediante turnazione”.
Da rilevare infine una interessante caratteristica della “rete ideale” : quella di poter far fronte alle crisi idriche di modesta entità senza togliere del tutto il rifornimento dell’utenza ma semplicemente abbassando la pressione di funzionamento entro valori compatibili con un normale servizio e con la producibilità reale delle fonti. Ad esempio si dimostra come, in una rete funzionante a 35 m di colonna d’acqua rispetto al suolo, una riduzione spinta fino a 20 m., ancora sufficienti per una corretta alimentazione idropotabile, assicura una economia nei consumi totali dell’utenza di ben il 25%.

 

4. CONCLUSIONI

Si sono descritti i pericoli che, nei riguardi dell’igiene, incombono sul servizio idropotabile quando viene attuata l’alimentazione turnaria per far fronte ad eccezionali carenze delle fonti di alimentazione.
La soluzione prospettata del problema consiste nel sostituire alla chiusura delle condotte stradali che si usa effettuare anche se è causa di probabile inquinamento della rete acquedottistica, la riduzione della pressione di esercizio fino a portarla a valori minimi compatibili con la salvaguardia igienica del servizio. Sono indicate anche le caratteristiche da assegnare alla moderna rete di distribuzione per ottenere, assieme a molti altri vantaggi, già noti, anche la possibilità di attuazione di tali provvedimenti.

La soluzione prospettata si riferisce agli acquedotti che alimentano territori pianeggianti ma. in linea di principio. resta valida anche per quelli aventi territori ad altimetria diversificata salvo adottare una specifica  metodologia di regolazione della pressione come sarà indicato in altri articoli del presente sito.

 

LA CRISI 2011 NEL SERVIZIO IDRICO DELL’ISOLA D’ELBA

PROGRAMMA LAVORI ASA – UNA POSSIBILE VARIANTE


 

Serbatoio Isola d’Elba.

La stampa ha riportato ampi resoconti sulla mole di lavori che ASA ha in programma per fronteggiare la carenza idrica dell’Isola dimostratasi particolarmente critica inell’estate 2011 di predominante tempo secco.
Questo uno dei resoconti:


PORTOFERRAIO. Oltre un milione e 400mila euro per intervenire su riparazioni e sostituzioni di tratti di tubature. Altri tre milioni e 600mila per invasi, nuovi pozzi, interventi sulle così dette prese di superficie. Questo il volume degli investimenti che Asa, la società che si occupa del servizio idrico integrato all’Elba, ha intenzione di attivare nell’arco del 2011 per dissetare l’isola.
Risorse che si aggiungono a quelle previste in Val di Cornia e finalizzate a migliorare, entro il 2012, la qualità dell’acqua proveniente dal continente e ancora oggi problematica a causa di una presenza di boro e arsenico sopra i limiti di legge, fino ad oggi autorizzata con la concessione di deroghe che, tuttavia, non porranno più essere rilasciate come disposto dall’Unione Europea.


Trovo interessante presentare un’ampia discussione motivata solo dalla passione che chi scrive nutre per l’argomento acquedotto e per quello dell’Isola d’Elba in particolare, ed ovviamente condizionata dalle mie opinioni personali sempre suscettibili di critica e di correzione.
Suddividerei le opere che ASA ha in mente di realizzare , e di cui fanno parte anche quelle del programma sopra riportato, in sei categorie: il miglioramento delle fonti della Val di Cornia, la ricerca di nuove fonti locali, la riduzione di materie inquinanti (boro, arsenico) presenti nell’acqua distribuita, la nuova condotta di collegamento con la terraferma, la riduzione delle perdite,  la costruzione nell’Isola di un invaso atto a coprire le punte di consumo estivo ed in futuro destinato ad assicurare l’autonomia ed autosufficienza idrica dell’Elba ed infine l’installazione di impianti di desalinizzazione dell’acqua marina-
Preciso subito che non si può che essere d’accordo sulla quasi totalità dell’elenco con una unica eccezione di cui si parlerà alla fine della nota per proporne una variante.
Quello che mi preme è approfondire alcuni punti che conosco bene sorvolando sugli altri che tratterei brevemente come segue.


Totale assenso per molti dei provvedimenti decisi come ad esempio il miglioramento qualitativo e quantitativo della produzione della Val di Cornia facendo però notare come sia un grave errore, di cui è perfettamente cosciente anche l’Ente gestore e cioè l’ASA, la dipendenza idrica, la subordinazione dell’Isola alla Val di Cornia oggi in atto. La disponibilità effettiva di quest’ultima non può e non dovrebbe, a causa della grande portata necessaria, degli onerosi costi di trasporto e del pericolo di rotture, far fronte stabilmente alla maggior parte del fabbisogno dell’Isola, così come avviene al giorno d’oggi. Il collegamento idrico con il continente dovrebbe invece costituire solo una importante alimentazione di riserva. In questo senso anche la nuova condotta che si prevede di realizzare approfittando dei lavori del tutto analoghi che sono in programma per il gas, deve essere vista come una importante possibilità di interscambio nelle due direzioni, una volta che l’Isola avrà raggiunto l’autosufficienza tenendo presente che l’Elba per la maggior parte delle stagioni. esclusa solo quella estiva, potrebbe disporre di grandi portate idriche eccedenti il proprio fabbisogno reale. Sono pienamente condivisibili con l’ASA gli interventi già nei suoi programmi a lunga scadenza sia la necessità di rendere autonoma ed idraulicamente autosufficiente l’Isola e, in maniera del tutto analoga, il già previsto miglioramento della captazione di acqua potabile dalla falda e dalle sorgenti da effettuarsi all’interno dell”Isola. Si tratta di opere estremamente importanti in quanto renderanno disponibili nuovi volumi idrici di ottima acqua potabile ed a costi limitati. Un altro intervento che mi trova assolutamente contrario è l’uso di apparecchiature estremamente costose e quindi adatte solo per territori privi d’acqua come sono quelli desertici, è  l’impiego all’Elba di desalinizzatori.

Un punto sul quale vorrei soffermarmi compiutamente è quello delle grandi perdite occulte che accusano l’adduzione e la distribuzione idrica elbana premettendo fin da ora che, anche in questo settore, le conclusioni alle quali potrò pervenire coincidono perfettamente con l’operato ASA. E’ interessante far rilevare le caratteristiche delle perdite attuali ed in particolare di due loro elementi essenziali.
Il primo consiste nella reale appartenenza delle maggiori perdite e cioè di quelle che determinano in maniera predominante l’elevatissimo tasso medio annuo di perdita (che sembra ammontare al 70% del totale prodotto) ai periodi di scarso consumo dell’utenza e cioè alla gran parte delle giornate annue. In altre parole se si potesse conoscere il volume disperso nel periodo estivo di grandi consumi ci si accorgerebbe che esso rappresenta una piccolissima frazione di quell’enormità di acqua dispersa annualmente nel terreno.
Un secondo importante dettaglio è quello della pressione di esercizio di molte condotte, pressione che all’Elba raggiunge, soprattutto nei citati e lunghi periodi di basso consumo dell’utenza, valori cosi elevati da rendere praticamente impossibile il contenimento delle perdite entro valori accettabili. Arrivo a sostenere che, anche se si potessero ricostruire tutte le condotte colabrodo, l’Elba accuserebbe comunque perdite esagerate. Il motivo è molteplice. Tante perdite hanno luogo negli allacciamenti privati che sono difficilmente ricostruibili a causa della loro ubicazione all’interno delle abitazioni o dei terreni privati e poi perché i relativi oneri gravano sui privati che sono restii a sostenerli. In secondo luogo bisogna tenere ben presenti le normali modalità della eventuale ricostruzione delle condotte stradali che, stante l’impossibilità di interessare con unico intervento tutta l’intera rete ammalorata, hanno luogo per gradi iniziando dal punto di partenza della rete per estendersi mano a mano verso valle fino a coprire attraverso gli anni l’intero territorio. Ebbene questa progressione di miglioramento della rete provoca via via una pressione più elevata nell’area ancora ammalorata posta più a valle e che in questo modo viene assoggettata ad una notevole intensificazione delle relative perdite. In altri termini quando si sostituisce un tronco di condotta se ne eliminano effettivamente le perdite ma si intensificano quelle della rete alimentata dalla condotta appena rifatta. Il beneficio vero lo si raggiunge solo a rete completamente ricostruita ivi compresi gli allacciamenti privati. Inutile dire che  si concretizza soltanto dopo un lungo periodo di tempo e che nel frattempo la troppo elevata pressione avrebbe già provocato numerose rotture nella parte di rete appena ricostruita. In conclusione risultati sicuramente positivi ma assolutamente non corrispondenti alle aspettative.
Il ragionamento appena fatto ha portato al diffondersi ovunque di una importante conclusione: è urgente e necessario attuare una buona regolazione della pressione di esercizio degli acquedotti se si vuole ottenere una immediata e sostanziale riduzione delle perdite anche in una rete colabrodo come quella elbana. A questo punto occorre però esaminare bene le caratteristiche del territorio dell’Isola e rendersi conto delle enormi difficoltà che presenterebbe un intervento di questo genere e degli elevati costi che ne deriverebbero. Si rendono pertanto necessarie valutazioni tecnico-economiche molto complesse che vanno al di là delle considerazioni fatte in questa sede. Io personalmente concluderei l’argomento perdite in questo modo. L’Elba perde durante un intero anno una percentuale elevatissima di acqua ma in valore assoluto si tratta di un volume tutto sommato modesto. Per studiare e soprattutto per realizzare uno dei rimedi basilari, e cioè la regolazione della pressione, occorrerebbe un impegno economico notevole e probabilmente sproporzionato anche nei riguardi del risultato finale. Non posso quindi che concordare con la soluzione decisa da ASA e che si basa sulla ricostruzione delle condotte limitatamente a quelle più obsolete e malmesse, sulla riparazione sollecita delle rotture maggiori man mano che si formano e soprattutto nel migliorare l’approvvigionamento d’acqua in modo da poter disporre di portate atte coprire anche le rilevanti perdite che è necessario tollerare. ASA ha anche provveduto a qualche miglioramento della pressione di esercizio delle reti. In questo senso sussistono sicuramente ulteriori possibilità pur senza raggiungere un livello elevato di regolazione e senza adottare un provvedimento oggi molto auspicato chiamato distrettualizzazione anch’esso difficilmente attuabile all’Elba. Si vedrà più avanti come un buon risultato sia comunque possibile.
Si capisce dalle considerazioni su riportate come la cosa fondamentale per l’Elba sia sempre la stessa e cioè il riuscire a reperirvi la maggior portata d’acqua possibile. Bisogna tenere in debito conto la caratteristica fondamentale dei consumi idrici elbani che provocano sistematicamente crisi limitate ad un periodo massimo pari a solo una quarantina di giornate estive mentre per il restante lungo periodo la attuale disponibilità d’acqua potabile supera il fabbisogno ed ancor più lo supererà quando saranno portati a termine i lavori previsti nel programma ASA di breve termine sopra indicato che riguardano sia le fonti locali, sia il rifacimento di condotte colabrodo e sia infine il miglioramento della distribuzione idrica e della pressione di esercizio.
E’ questo un argomento importantissimo da tenere sempre in mente e che pertanto ritengo opportuno ribadire: per 320 giorni all’anno l’Elba dispone di molta acqua potabile! La conclusione cui si perviene è ovvia. L’acqua che prima di tutte le altre acque deve essere conservata per far fronte ai 40 giorni di crisi, deve per forza essere questa e non quella di qualsiasi altro tipo. Sarebbe di una assurdità intollerabile se per 320 giorni l’anno si lasciasse perdere acqua potabile come quella indicata e ci si preoccupasse invece di raccogliere quella piovana. Ne discende immediatamente che gli invasi da costruire sono senza alcuna possibile alternativa, serbatoi d’acqua potabile! Quanto esposto costituisce la prova inconfutabile che prevedere come ha fatto ASA di realizzare il necessario invaso tramite una ventina di laghetti posti in superficie ed alimentati prevalentemente dalle acque di pioggia costituisce un errore pur non essendo il solo in quanto il progetto dei laghetti agisce negativamente in molteplici direzioni che vanno dal degrado di tutta l’acqua potabile che si prevede dovervi accumulare per arrivare ad una vera e propria prolificazione di impianti di potabilizzazione nel mentre è da ritenersi che il territorio elbano, di estensione relativamente modesta, possa giustificare come massimo un solo impianto di potabilizzazione. Vista la natura delle acque piovane che è facile captare dai fossi e dalle vallette subito dopo la pioggia, si pensa debbano al massimo prevedersi impianti di filtrazione e disinfezione che sono una cosa ben diversa dal tipo di impianti necessari per rendere potabili le acque rimaste a marcire per mesi e mesi nei laghetti.
Anche volendo esaminare la questione dal punto di vista della tecnica acquedottistica classica, l’operazione descritta di immagazzinare l’acqua potabile nei momenti di esubero per poterla utilizzare un quelli di scarsità ha un termine tecnico ben preciso. Viene infatti definita “compensazione delle portate” e come tale deve necessariamente essere eseguita mediante serbatoi di adeguata capacità ma sempre di tipo atto a contenere acqua potabile e non mai acqua grezza!
Per giustificare in toto questa necessità primaria di possedere grandi capacità di accumulo di acqua esclusivamente di tipo potabile si accenna alla ulteriore futura necessità di dover integrare la disponibilità idrica dell’Isola con l’acqua di mare sottoposta al complessi trattamenti di desalinizzazione, ebbene anche in questa eventualità poco probabile ma comunque da non escludere a priori, è la presenza di grandi invasi per acqua potabile che consentirebbe di evitare l’installazione di desalinizzatori di grande producibilità aventi un funzionamento limitato ai quaranta giorni estivi di crisi ed optare invece per la costituzione di impianti piccoli ma funzionanti tutto l’anno visto che la loro produzione di acqua pulita può essere accumulata nel grande serbatoio durante i 365 giorni dell’annata.
Ed ora, senza entrare in merito alle caratteristiche generali del serbatoio-galleria che sono visibili in internet ( Un maxi serbatoio per spegnere la grande sete dell’isola d’Elba ) si descrive un possibile esercizio di un primo breve tronco di un serbatoio scavato nella roccia del M. Capanne, a sezione circolare, rivestito internamente in calcestruzzo e verniciato con strati epossidici e quindi perfettamente impermeabile.


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Nella figura, in basso si nota la vasca destinata a prelevare dalla rete acquedottistica il surplus di portata rispetto al fabbisogno e dotata di impianto di pompaggio per immettere l’acqua nel soprastante serbatoio-galleria tramite apposita condotta di adduzione.


Nella sua prima fase risulta sufficiente una capacità complessiva di soli 100000 mc di acqua potabile la quale, secondo quanto prima indicato, sarebbe direttamente ed esclusivamente prelevabile dalla rete acquedottistica. In tal modo e senza bisogno di filtri, di depuratori ecc. ecc. ma eventualmente con un solo apparecchio di disinfezione atto a garantire nel tempo la salubrità dell’acqua, si potrebbe coprire ampiamente i maggiori consumi dei famosi 40 giorni estivi e quindi ovviare alle attuali gravi crisi. Interessante notare le modalità di esercizio. In dettaglio durante tutto l’anno la valvola automatica di collegamento della rete acquedottistica con la vasca di prelievo e quindi con il serbatoio-galleria si aprirà solo quando la pressione di rete supera un determinato valore ottenendo il duplice vantaggio di accumulare tutto e solo il surplus di portata ed inoltre di contribuire efficacemente ad abbassare la pressione di rete tutte le volte che questa tende ad assumere valori troppo elevati. Ciò significherebbe aver realizzato in buona parte quella regolazione automatica della pressione di rete di cui si è parlato all’inizio della presente nota e che determina una diminuzione razionale delle perdite occulte di rete. In conclusione un duplice vantaggio: regolarizzare sia la portata che la pressione di esercizio dell’intero acquedotto elbano con immediata riduzione delle perdite occulte di rete ed al tempo stesso raccogliere ed accumulare tutta l’acqua, assolutamente potabile, necessaria e sufficiente per aver ragione dei disservizi che oggi affliggono il servizio idrico d’Elba
Dopo qualche anno, quando le disponibilità economiche lo renderanno possibile, si potrà procedere sulla via del completamento graduale dell’opera come da progetto generale costruendo un secondo tronco di galleria-serbatoio posto in continuazione con il primo e quindi pronto immediatamente a lavorare in parallelo con esso. Il maggior quantitativo d’acqua da immettervi richiederà che si ricorra allora anche alle acque piovane. Si potrà ad esempio scegliere uno dei fossi che per lunghi periodi dell’anno sono percorsi da grandi volumi di ottima acqua piovana la quale, per assumere le caratteristiche di potabilità necessarie per poterla immettere in serbatoio, dovrà essere assoggettata soltanto a trattamento di filtrazione e di disinfezione.
Si ritiene che le indicazioni riportate diano una chiara idea della funzionalità e dell’economia di esercizio delle opere descritte basate sulla costruzione dei primi due tronchi di serbatoio-galleria ricavato nella roccia del M. Capanne.

Totalmente diverso sarebbe l’esercizio di un sistema acquedottistico elbano che si suppone già dotato dei primi due laghetti superficiali compresi nel programma ASA di imminente attuazione. Con tale conformazione impiantistica si constaterebbe che nelle stagioni autunno invernali i due laghetti sarebbero sistematicamente riempiti da acqua di pioggia rendendo inutile l’utilizzazione dell’acqua potabile resa disponibile dagli acquedotti. Venendo a mancare la maggior richiesta d’acqua dalla rete, vi si manterrebbe quella esuberante pressione da cui derivano, almeno in parte, le fortissime e ben note perdite occulte ed un maggior numero di rotture delle tubazioni di cui si è ampiamente parlato in questa nota.

Le ragioni ampiamente esposte conducono ad una proposta in base alla quale, nel mentre si conferma la validità della stragarnde parte delle opere progettate dall’ASA per la sistemazione iniziale e definitiva del sistema di approvvigionamento idrico elbano ivi compresa la necessità di costituire in Isola una grande invaso, si propone una variante che riguarda solo le modalità di realizzazione del citato invaso da ricavare in Isola e che dovrebbe passare da accumulo di acqua grezza ad accumulo di acqua potabile.
Per concludere di ribadisce come una soluzione da giudicarsi ottimale sia per la risoluzione dei problemi idrici attuali e sia per rendere in un futuro più o meno lontano totalmente autonoma ed idricamente autosufficiente l’Isola d’Elba sia rappresentata dalla costruzione, necessariamente da svolgere pe attraverso gli anni, di un serbatoio-galleria scavato in roccia ed in grado di raccogliere e conservare al buio ed al riparo dai raggi solari e da ogni altro tipo di inconveniente o attentato, acqua potabile in quantitativi via via sufficienti attraverso gli anni per risolvere compiutamente il problema idropotabile dell’Isola.

 

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