BARRIERA FRANGIFLUTTO CON PRODUZIONE DI ENERGIA IDROELETTRICA

Brriera flangiflutto

1) PREMESSA

Lo sfruttamento del moto ondoso del mare è da tempo oggetto di studi e sperimentazioni volti alla trasformazione in energia elettrica del suo enorme potenziale.
A quanto risulta a chi scrive le esperienze e gli studi in corso riguardano esclusivamente sistemi che, pur agendo con modalità differenti, hanno il loro comune traguardo nella produzione di energia pulsante cioè caratterizzata da una continua variazione di intensità dovuta all’inevitabile altalenare delle onde del mare.
Un dispositivo poco ingombrante e ad elevata capacità di regolazione del sistema con eliminazione dei picchi e copertura dei punti di minima resa come quello che viene qui proposto, si ritiene possa essere di grande interesse in questi tempi di pressante necessità di produrre energia rinnovabile e lo è maggiormente nel caso svolga un vero e proprio ruolo di accumulazione di energia aumentando la sua producibilità tramite altre fonti secondo le modalità che saranno più avanti spiegate.
L’opera presenta ulteriori vantaggi alcuni, come ad esempio la protezione delle sponde dalla devastante azione delle onde che vi sbattono contro, comuni ai sistemi già realizzati ma altri che se ne distaccano totalmente per le possibilità aggiuntive di sistemazione dei lungomari.

FIGURA N. 1 = VISTA PROSPETTICA DELLA BARRIERA FRANGIFLUTTO

2) DESCRIZIONE DI MASSIMA DEL SISTEMA PROPOSTO

Viene descritta un’opera di marginamento fisso della costa con produzione di energia elettrica ottenuta essenzialmente dall’immissione in pressione dell’acqua del mare in un capace serbatoio interrato. Il serbatoio, di tipo idropneumatico cioè con la struttura del tutto particolare che sarà di seguito illustrata, è in grado di svolgere le seguenti funzioni principali:
– accogliere l’acqua immessavi naturalmente dalla forza d’urto dell’onda o da altri mezzi meccanici,
– conservarla fino al momento della sua utilizzazione,
– livellare, grazie alla grande capacità di invaso, la portata in uscita,
– consentire, con una diversificazione delle pressioni di esercizio, più regimi di funzionamento graduabili in funzione dell’intensità del fenomeno ondoso di per sé molto variabile.
– offrire la possibilità di accumulare l’energia in esubero per renderla disponibile nei successivi momenti di bisogno.

3) IDICAZIONI DI DETTAGLIO

Le opere proposte consistono, come illustrato nella Planimetria di fig. 2 e nella sezione trasversale della fig. 3, in una barriera frangiflutto che segue la linea di costa opportunamente fondata su una robusta palificata e che comprende le seguenti strutture principali.
1) Il dispositivo di captazione
2) Il serbatoio di accumulo
3) La centrale di produzione dell’energia elettrica con annessa sala quadri.

FIGURA 2 = PLANIMETRIA DELLA BARRIERA , DEL SERBATOIO IDROPNEUMATICO E DELLA CENTRALE IDROELEYTTRICA
FIGURA 3 = SEZIONE TRASVERSALE DELLA BARRIERA

L’ossatura principale del manufatto è costituita da un lungo muro di marginamento della sponda sul quale si innestano, lato mare, un numero imprecisato di setti trasversali mentre verso terra trova posto la grande vasca di accumulo denominata specificatamente serbatoio idropneumatico. I setti suddividono il frangiflutto in tante celle di captazione autonome e che immettono l’acqua in pressione nello stesso serbatoio di accumulo.

3.1) IL DISPOSITIVO DI CAPTAZIONE

Essendo dimostrato che il materiale avente le migliori caratteristiche per assorbire ed annullare la forza d’urto delle acque, è, non già quello di tipo rigido e di notevole robustezza, bensì quello flessibile in grado di adattarsi al movimento del mezzo liquido che lo investe subendone danni relativamente meno gravi, sarà di materiale elastico anche la struttura che viene qui proposta per la captazione dell’energia propria delle onde. Si tratta in dettaglio di un diaframma di contenimento (chiamato anche gonna) curvo e a flessibilità controllata dalla pressione del serbatoio e che si estende orizzontalmente per otto metri cioè per tutta la larghezza di ogni nicchia di captazione essendo saldamente ancorato ad una piastra metallica che percorre tutto il perimetro di contatto con la parte fissa in cemento armato. Tale piastra metallica continua e che sporge a 90 gradi dalla superficie del calcestruzzo, è costituita da due elementi orizzontali lungo i due lati superiore ed inferiore mentre in quelli laterali ha un andamento ad arco conformato in base alla curvatura che deve assumere anche il diaframma. E’ infatti tra queste due piastre laterali cha và teso il diaframma in modo da obbligarlo ad assumere, quando è a riposo, il profilo curvo.
Nel lato superiore e nei due laterali, detta piastra metallica sporge dal calcestruzzo per una quarantina di centimetri sufficienti per fissare stabilmente il diaframma e realizzare la sua tenuta idraulica lungo tutto contorno mentre nel lato inferiore la piastra stessa sporge per 1.40 m in quanto, oltre a svolgere il medesimo compito di collegamento, è anche munita di alcune valvole a battente che consentono all’acqua di penetrare dal basso nella cella ma non di uscirne. Sarà una contropiastra metallica, anch’essa continua, che fisserà, tramite una lunga fila di bulloni, tutto il bordo del diaframma garantendone la perfetta tenuta idraulica. Tra contropiastra e diaframma verrà inserito un doppio rinforzo flessibile che ne segue tutto contorno sporgendo verso l’interno al fine di resistere al grande sforzo di taglio che le onde esercitano in tale punto sul diaframma stesso.
La cella è munita di fori di collegamento con la retrostante vasca di raccolta anch’essi dotati di valvola a battente che consente all’acqua l’ingresso in vasca nel mentre impedisce l’uscita di quella precedentemente accumulatavi e che invece vi permane in pressione e pronta ad azionare le turbine di produzione della corrente elettrica.
Ogni cella di captazione è superiormente chiusa a quota + 3.00 metri sul mare da un solaio che costituisce il piano viabile o la passeggiata lungomare.
In definitiva il dispositivo di captazione è composto da tante celle affiancate aventi un’altezza interna che va da –2.75 a + 3.00, ognuna delimitata superiormente dal solaio di copertura e verticalmente in tre lati da una parete in calcestruzzo ed invece, dal lato mare, da un diaframma o gonna elastica ad arco inclinato. La cella è collegata nella sua parte inferiore sia col mare aperto e sia con il retrostante serbatoio idropneumatico tramite aperture munite di valvole di non ritorno che vincolano la direzione dell’acqua del mare tassativamente secondo il percorso mare – cella – serbatoio idropneumatico.
Da rilevare come, prima dell’inizio della normale attività del dispositivo, sia necessario estrarre tramite la pompa a vuoto di cui è dotata la centrale tutta l’aria contenuta nella parte superiore della cella. Una volta completata questa operazione, sarà la pressione atmosferica a mantenere la cella stessa, per tutta la durata dell’ esercizio, totalmente piena d’acqua. Allo scopo il diaframma dovrà non solo possedere l’elasticità necessaria per cedere alla forza delle onde e quindi svolgere compiutamente la sua principale funzione che è l’immissione in serbatoio di cospicui volumi d’acqua, ma dovrà anche resistere alla depressione interna provocata da detta pompa a vuoto senza subirne eccessive modifiche, essendo teso tra le due piastre laterali curve. Il materiale da usare per il diaframma dovrà pertanto essere studiato e sperimentato visto che la sua duplice funzione è basilare per il funzionamento delle opere. Una possibile variante costruttiva del diaframma potrebbe anche riguardare la posa in opera di robuste funi o nastri elastici ben tesi ed in numero da definire, lungo la superficie interna del diaframma per rinforzarne la resistenza. Esiste anche la possibilità di fissare al diaframma dei pani di piombo che, durante la fase di arretramento dell’onda, contribuiscano a riportarlo nella posizione di riposo. E’ però da notare come la depressione da vincere nell’azione sussidiaria del diaframma sia assai modesta essendo pari ad una colonna d’acqua di soli tre metri.
In fase di normale esercizio l’automatismo terrà sotto controllo la cella di captazione provvedendo, tramite la pompa a vuoto, ad evacuare l’aria che vi si fosse accidentalmente accumulata.

i deve però tener presente che la cella, posta tra diaframma e parete del serbatoio, comunica con  l’esterno soltanto tramite il foro inferiore  sotto il livello del mare e  munito di valvola di ritegno. Non esiste quindi  nessun collegamento tra cella ed atmosfera per cui, una volta eseguito con  la pompa a vuoto la prima estrazione di tutta l’aria, da quel momento in  poi nella cella potrà entrare solo l’acqua del mare appunto tramite il foro sempre immerso nell’acqua del mare.
Ed ecco il dinamismo di captazione ed immissione dell’acqua in serbatoio.
E’ noto come in mare aperto sia solo l’onda che si sposta mentre ogni singola particella d’acqua che la compone descrive, in verticale, una traiettoria circolare rimanendo sempre nella stessa zona. In riva al mare ha luogo, invece, lo spostamento, in direzione perpendicolare alla costa, di una grande massa d’acqua che, con moto alterno, va a sbattervi violentemente contro. Sono queste masse d’acqua che, opportunamente orientate dai due setti laterali di ciascuna cella, premono con violenza contro il diaframma elastico e, vintane la resistenza elastica, lo forzano ritrarsi verso terra e ad assorbire interamente l’energia senza che abbiano origine onde riflesse di ritorno.
La barriera ha così svolto il suo compito di protezione della riva dai danni dovuti al moto ondoso nel mentre il forzato arretramento del diaframma ha ridotto il volume interno della cella causando l’immissione in serbatoio di un quantitativo d’acqua più o meno consistente e ad una pressione variabile a seconda dell’ampiezza e della forza dell’onda del momento. La caratteristica di incomprimibilità dell’acqua quando, come detto, sia evitata la presenza anche minima dell’aria, assicura che ad ogni movimento del diaframma corrisponda un trasferimento d’acqua dalla cella al serbatoio riuscendo a vincere la pressione interna del serbatoio stesso.
Finita la sua fase attiva, l’onda si ritira verso il mare aperto e il diaframma, spinto dalla sua elasticità ed eventualmente da quella esercitata dalle funi elastiche di rinforzo o dai pani di piombo, tende a riportarsi nella sua posizione di riposo provocando l’immissione nella cella di nuova acqua spinta dalla pressione atmosferica ad attraversare le valvole di cui è munita la piastra inferiore.
Da rilevare come ogni cella, pur immettendo acqua in pressione in uno stesso serbatoio, eserciti la sua azione indipendentemente da quella delle altre con un duplice vantaggio. Innanzitutto viene scongiurato il pericolo che contro il diaframma avessero ad esercitarsi in coincidenza, come accadrebbe se essa fosse ininterrotta per l’intera lunghezza del marginamento, una pressione positiva e una negativa, e quindi di risultato nullo, dovute alla presenza contemporanea di due onde di direzione opposta .
In secondo luogo l’azione autonoma ed assolutamente alterna delle varie celle costituisce una sequenza ininterrotta di immissioni elementari in serbatoio che si susseguono a brevissimi e casuali intervalli di tempo il ché provoca una prima importante continuazione dell’entrata d’acqua nel serbatoio, data dalla somma di dette immissioni elementari.
Sarà poi il serbatoio con il suo notevole volume idrico e con quello del cuscinetto d’aria a completare l’opera di normalizzazione del flusso che, al momento della sua uscita finale per giungere alla turbina, risulterà assolutamente uniforme e quindi senza più risentire dell’altalenare delle onde.
Una ultima, importante, osservazione sul diaframma elastico. Ad avviso di chi scrive il contrapporre alla forza d’urto delle onde una gonna elastica presumibilmente rinforzata da funi anch’esse elastiche, rappresenta quanto di meglio si possa prevedere sia per le caratteristiche proprie di tale struttura che, proprio grazie alle sue doti di flessibilità, è in grado di adeguarsi alle variabilissime onde del mare seguendone la forma ed i ritmi grazie anche alla tecnica costruttiva che ai nostri giorni ha raggiunto, anche in tale settore, traguardi ambiti. Ne fanno fede, in campo idraulico, le molte applicazioni di apparecchiature un tempo basate su strutture metalliche a battente ed oggi vantaggiosamente sostituite da guaine elastiche che ad una ottima funzionalità aggiungono una lunga durata ed una totale assenza di colpi d’ariete e rumori fastidiosi.
L’impiego del diaframma elastico è tutt’altro che nuovo anche in lavori marittimi essendo usato con soddisfacenti risultati per la costruzione di barriere mobili gonfiabili o fisse dando prova, anche in tale campo, di ottima flessibilità, funzionalità e durata.
In ogni caso quando anche si nutrissero dei dubbi sulla efficacia e resistenza della descritta gonna elastica sarebbe possibile dotare la cella di captazione, in alternativa al diaframma, di un portellone mobile metallico munito di guarnizioni di tenuta come illustrato nella fig. 4 e di robuste molle atte a farlo ritornare nella posizione di riposo, ferme restando tutte le altre modalità di esercizio dell’impianto.
Una ulteriore variante rispetto al progetto riguarda la possibilità di eliminare del tutto il diaframma per prevedere che sia la pressione d’urto delle onde a far entrare direttamente l’acqua del mare nel serbatoio idropneumatico tramite delle bocche di presa tronco coniche appositamente studiate. Si tratterebbe di una notevole semplificazione delle opere di captazione ma, a giudizio di chi scrive, meno efficace di quella in progetto nella captazione della potenza d’urto delle onde e, sopratutto, non in grado di eliminare, come il diaframma elastico, le onde di riflessione.

FIGURA N. 4 = SEZIONE DELLA BARRIERA CON PARATOIA METALLICA
3.2) IL SERBATOIO DI ACCUMULO E REGOLARIZZAZIONE DEL FLUSSO

Un serbatoio di accumulo destinato ad alimentare una centrale di produzione di energia elettrica come quello in oggetto è normalmente costituito da una vasca sopraelevata rispetto al punto di restituzione, in questo caso costituito dal mare. Chiaramente la realizzazione lungo il bordo marino di una struttura di questo tipo, oltre ad alcuni inconvenienti riguardanti l’esercizio, presenterebbe dei problemi di impatto ambientale assolutamente insormontabili per cui non potrebbe nemmeno essere presa in considerazione.
Si prevede invece di sostituirla con il serbatoio idropneumatico cioè con una struttura che, oltre a trovare la sua collocazione ideale nel sottosuolo e a ridosso delle celle di captazione di cui al capitolo precedente, presenta delle favorevolissime caratteristiche di funzionamento.
La struttura, che segue in tutta la sua lunghezza la barriera frangiflutto integrandosi perfettamente con l’ambiente, costituisce una notevole capacità di invaso destinata ad essere alimentata da una lunga serie di immissioni elementari operate dalle singole celle di captazione, eventualmente integrate da altre fonti energetiche come sarà proposto nella variante di cui al cap. 4, nel mentre il flusso in uscita verso le turbine è unico, uniforme e con possibilità di esercizio diversificate in quanto è consentito cambiare la pressione e quindi il salto utile dell’acqua per la produzione dell’energia elettrica. Per continuare nella similitudine con il serbatoio dell’ipotesi precedente si può affermare che quello in argomento è equiparabile ad una serie di vasche sovrapposte con possibilità di utilizzazione dell’una o dell’altra a seconda delle necessità. In un giorno di tempesta quando si hanno onde di estrema potenza e quindi in grado di spingere l’acqua a 10 e più metri di altezza si apre la vasca superiore, se la potenza diminuisce si passa a quella intermedia per finire a quella di soli 3 m di quota quando il mare è meno mosso. Tutto questo può essere molto più facilmente attuato dal serbatoio idropneumatico.
Tale struttura, i cui dettagli saranno riportati nel seguente cap. 3.2) = “Il serbatoio di accumulo e regolarizzazione del flusso”, è costituito da un grande contenitore a tenuta ermetica caratterizzato dalla presenza nella sua parte superiore di un capace cuscinetto d’aria la cui pressione può essere variata a seconda delle necessità aprendo delle valvole di scarico o immettendo nuova aria con i compressori. Una volta stabilito un determinato regime di esercizio dato dalla pressione iniziale dell’aria, il serbatoio si regola da solo senza alcun intervento dei compressori e funzionando in maniera del tutto analoga ad un serbatoio sopraelevato posto di volta in volta a quote variabili e corrispondenti alle pressioni prescelte. Si intuisce quali sono le grandi possibilità di una struttura così versatile ed utilizzata per catturare una energia così saltuaria e variabile come sono le onde del mare. Significa non solo adeguare di ora in ora la capacità di captazione alle occasioni del momento ottenendo il risultato di poter accumulare nello stesso spazio sia grandi quantitativi di energia quali sono quelli del mare in tempesta e contemporaneamente di contrapporre alla forza d’urto delle onde una barriera mobile in grado di resistervi grazie alla maggior pressione del serbatoio come pure, nel caso di mare più calmo, di raccoglierne la diminuita forza con un diaframma più arrendevole alla più debole spinta dell’onda ed ad un diminuito sforzo di ingresso dell’acqua.
Siamo infatti in presenza di un diaframma a flessibilità controllata in grado di contrastare razionalmente la violenza delle onde.

FIGURA N. 5 = VEDUTA PROSPETTICA DELLA BARRIERA

Da ribadire inoltre la prerogativa nettamente favorevole che ha il serbatoio con il suo grande cuscinetto d’aria di livellare le spinte delle onde eliminandone totalmente i picchi e colmando ogni sia pur minimo punto di flesso. Inoltre si può affermare che il serbatoio risolve almeno in parte, uno dei problemi basilari della moderna società e cioè l’accumulo di energia, problema che si è tentato in più modi di risolvere senza risultati di rilievo. Tra di questi vanno ricordati gli impianti idroelettrici reversibili cioè dotati di macchine a doppio uso e di lago di accumulo a monte ed a valle. In tali casi, se durante determinati periodi le turbine ed alternatori producono la richiesta energia elettrica, in quelli successivi si trasformano rispettivamente in pompe e motori elettrici per risollevare l’acqua nel bacino superiore e realizzare in tal modo l’accumulo dell’energia di supero momentaneo. Si tratta però di impianti molto costosi e con rilevanti perdite di rendimento. Altre modalità di accumulo sono costituite dagli accumulatori elettrici ricaricabili che presentano però l’inconveniente di consentire risultati di entità molto piccola. Infine le moderne ricerche sono orientate verso sistemi ad idrogeno il quale, una volta prodotto tramite energia elettrica di supero, consentirebbe una utilizzazione dilazionata nel tempo e dislocata ovunque. La funzione di accumulo che può svolgere il serbatoio idropneumatico di grandissime dimensioni che fa parte delle opere qui descritte, si affianca efficacemente a tali sistemi potendo accumulare energia principalmente prodotta dalla violenza delle onde ma anche di qualsiasi altro tipo come ad esempio quella prodotta da pannelli solari (vedi variante del cap. 4) oppure di supero delle rete Enel.

3.3) LA CENTRALE DI PRODUZIONE DELL’ENERGIA ELETTRICA

La centrale di produzione, anch’essa ubicata nel sottosuolo ed a ridosso delle celle di captazione e del serbatoio idropneumatico, sarà munita delle seguenti apparecchiature:
A) Le pompe a vuoto in grado di svuotare le celle di captazione delle sacche d’aria che avessero da formarvisi,
B) le turbine atte, con possibilità di regolazione oppure con una serie diversificata di macchine, a sfruttare i diversi regimi di funzionamento dell’insieme in oggetto in uno con gli annessi alternatori di produzione della corrente
C) le apparecchiature di regolazione del cuscino d’aria e cioè i compressori e le valvole di scarico,
D) Le apparecchiature di comando e controllo automatico e manuale degli impianti da installare in apposita sala quadri. Esse dovranno provvedere alla impostazione dei regimi di funzionamento in funzione della potenza di immissione reale d’acqua e del livello e della pressione del serbatoio di ora in ora, alla messa in moto alla regolazione delle pale e all’arresto delle turbine, al mantenimento del cuscino d’aria nonché alla misura e al controllo generale di funzionamento emettendo, se necessario, gli opportuni allarmi.

FIGURA N. 6 = SEZIONE DELLA SALA TURBINE-ALTERNATORI

Visti i modesti salti disponibili, presumibilmente da 2 a 20 metri, si presume che le turbine saranno del tipo Kaplan a doppia regolazione e quindi delle pale e del distributore al fine di poter seguire la variabilità di energia disponibile.
Il manufatto della centrale è costituito da un parallelepipedo posto in continuazione del serbatoio e quindi avente la stessa sezione trasversale ed una lunghezza atta a contenere le apparecchiature elettromeccaniche ed elettroniche elencate. Il tutto come schematicamente indicato nelle fig. 2 e 6

4) VARIANTE CON PANNELLI SOLARI DI INTEGRAZIONE DELLA PRODUZIONE IDROELETTRICA

Come descritto nei precedenti capitoli una delle strutture innovative del presente progetto consiste nella presenza del serbatoio idropneumatico in quanto struttura atta ad accumulare per tempi più o meno lunghi l’energia in esubero per renderla disponibile quando sarà maggiore la richiesta. Una sua utilizzazione integrativa di quella descritta è quella rappresentata nei disegni schematici allegati e consistente nella installazione superiormente ai setti in cemento armato di una lunga serie di pannelli solari in grado di produrre energia elettrica in alternativa o in aggiunta a quella dovuta alle onde del mare, energia che potrebbe essere utilizzata direttamente oppure contribuire all’accumulo di acqua in pressione nel serbatoio idropneumatico tramite installazione di una serie di pompe sommerse. Da rilevare come il prevedibile alternarsi di periodi temporaleschi a forte vento ed onde impetuose del mare con periodi di bonaccia e sole splendente, garantisca comunque una buona produzione elettrica dovuta ai due diversificati sistemi .

5) LA COSTRUZIONE E L’ESERCIZIO DEGLI IMPIANTI

L’impianto di ammortizzazione dei flutti e di produzione di energia elettrica dovrà in anteprima essere dimensionato in funzione delle caratteristiche del moto ondoso che statisticamente si verificano nel luogo di impiego accuratamente studiate tramite una lunga campagna di rilievi ed esperienze.
Lo studio dovrà interessare ognuno dei componenti dell’impianto, nessuno escluso, tenendo presente che quanto al riguardo è riportato in questa breve relazione non rappresenta che una descrizione sommaria avente il solo scopo di tracciarne i concetti di base mentre la loro effettiva realizzazione potrebbe discostarsene notevolmente.
Le possibili diversificazioni potranno vertere su una cella di captazione di larghezza diversa di quella qui presunta in otto metri in quanto si sarà, ad esempio, definita una dimensione più adatta ad incanalare opportunamente il flusso delle onde. Il diaframma elastico potrà richiedere anch’esso quelle diverse dimensioni e forma che si riveleranno particolarmente atte a svolgere il grave compito che gli viene assegnato tenendo conto delle diverse tipologie di materiale elastico da adottare disponibile in commercio o che dovesse essere appositamente costruito ex novo.
Anche le quote altimetriche del fondo e della sommità della barriera, da studiare località per località, rivestono una importanza capitale nella progettazione così come anche la forma e le dimensioni da assegnare al serbatoio idropneumatico nonché tutte le sue possibili varianti di volume utile, di pressioni e di regime di funzionamento. Tutto questo senza parlare dei gruppi turbina-alternatore e delle loro innumerevoli modalità di costituzione, di regolazione delle pale e di esercizio.
Un breve accenno deve essere fatto anche nei riguardi delle modalità costruttive e di manutenzione delle opere e particolarmente del diaframma elastico che, essendo per buona parte costantemente immerso in acqua marina, impone, sia nella fase iniziale costruttiva e sia per eventuali successivi interventi di manutenzione, la messa all’asciutto della cella di captazione. Dovranno pertanto prevedersi le opere provvisionali, non indicate nei disegni allegati, come i gargami opportunamente inseriti nei setti ed atti a contenere i panconcelli di salvaguardia dalle acque del mare e di svuotamento della cella dal’acqua.
Si tratta in definitiva di un insieme di opere del tutto nuovo, da scoprire e da verificare con rilievi ed accertamenti preventivi e da mettere successivamente a punto durante l’esercizio. A quest’ultimo riguardo è da rilevare come, a fronte della complessità del compito da svolgere, sussista un fattore che senza dubbio gioca a favore di un risultato finale positivo e che è dato dalla presenza, assolutamente innovativa, del serbatoio idropneumatico il quale conferisce al sistema una notevole elasticità consentendo, anche ad opera ultimata, notevoli varianti di funzionamento e conseguenti adattamenti alla situazione reale quale risulta dalle esperienze che l’esercizio effettivo non mancherà di offrire.

6) NOTE SUL COMPORTAMENTO DEL SERBATOIO IDROPNEUMATICO

Le caratteristiche del serbatoio idropneumatico sono in dettaglio leggibili qui  oppure nel n 2/2003 Della rivista “L’Acqua”, organo della Associazione Idrotecnica Italiana, dove figurano il grafico delle sue condizioni generali di funzionamento ed anche una bibliografia con il titolo di memorie che riportano alcune realizzazioni effettivamente portate a termine, sia pure in settori diversi da quelli marini, del serbatoio idropneumatico in oggetto. Si ritiene utile riportarne una parte perchè specificatamente pertinente all’impiego qui previsto. In sintesi, se a serbatoio vuoto si avrà cura di immettere aria compressa fino ad una pressione di 0.2 atmosfere, nelle successive fasi di ingresso d’acqua in pressione il volume accumulato varierà secondo i dati della seguente tabella riportati anche nel grafico della fig. 7:

TABELLE DELLE ALTEZZE D’ACQUA IN SERBATOIO E DELLE CORRISPONDENTI PRESSIONI
Figura n. 7 = DIAGRAMMA PRESSIONE/RIEMPIMENTO DEL SEBATOIO IDROPNEUMATICO

La zona di funzionamento che qui interessa è quella rappresentata in segno marcato e che prevede con un riempimento minimo del 50% del volume utile cui corrisponde una pressione di 0.4 atm pari ad una colonna d’acqua di quattro metri, del 70% con sette metri e del 90% con venti metri. Da qui si comprende come il serbatoio possa adeguarsi ottimamente alle variazioni della energia trasmessa dal moto ondoso. Il suo grado di riempimento e la relativa pressione dipendono da due fattori contrapposti: da una parte la potenza delle onde che le fa crescere entrambi, dall’altro l’uso che se ne fa per produrre energia elettrica che le fa calare.
Senza entrare nei dettagli di funzionamento dei gruppi turbina-alternatore e delle relative regolazioni che richiedono una conoscenza specifica, al solo scopo di far capire le grandi possibilità del serbatoio idropneumatico, si può prevedere in linea di massima un esercizio a tre diversi regimi :
1^ regime = bassa portata , pressione m. 5 percentuale di riempimento = 60%
2^ regime = portata media, pressione 12 m, percentuale di riempimento =82%
3^ regime alta portata, pressione 20m. ,percentuale di riempimento =90%
Poiché il funzionamento ideale dell’impianto richiede di evitare un esercizio ad intervalli più o meno lunghi a favore di quello continuativo che fornisce energia elettrica più pregiata, si prevede di far funzionare sempre il gruppo di potenza inferiore rispetto a quella disponibile e di mantenerlo, anche in fase crescente del vento, in esercizio continuativo grazie alle sue possibilità di regolazione delle pale e del distributore e ciò finché le condizioni del serbatoio non abbiano raggiunto la fase superiore cui corrisponderà l’avviamento del gruppo anch’esso di classe superiore. In fase calante del vento si seguiranno, ovviamente, regole del tutto simili ma di segno opposto: come il serbatoio non è più in grado di mantenere le condizioni di portata e pressione relative ad una determinata fase, viene declassato il gruppo turbina che rimane in moto finché non si raggiunge la fase più bassa per passare nuovamente ad una classe inferiore di turbina qualora il vento continuasse a scemare.
Ovviamente la pressione rimane costante quando si riesce a far coincidere la portata della turbina con quella entrante in serbatoio.
Tutte le manovre vengono compiute in automatico grazie al sistema di comando e controllo che regola il funzionamento delle turbine in funzione dei livelli, della pressione in serbatoio e sulla base dei concetti ora enunciati.
Qualora la barriera sia dotata anche di pannelli solari e di pompe di immissione integrativa in serbatoio dell’acqua marina, il comportamento dell’insieme varia in funzione delle ulteriori disponibilità energetiche derivate dai pannello solari stessi.

7) UTILIZZAZIONE DEL SERBATOIO IDROPNEUMATICO PER ACCUMULAZIONE ENERGIA ELETTRICA IN ECCESSO

Essendo la barriera frangiflutto una struttura prevista per lunghezze notevoli di sponde da proteggere, in teoria anche il serbatoio idropneumatico che ne costituisce un elemento fondamentale potrà essere di lunghezza altrettanto cospicua e quindi cospicuo anche il volume dell’invaso. Questa caratteristica assai importante oltre che regolarizzare la produzione di energia elettrica che potrà essere costantemente prodotta  in funzione dei fabbisogni, il grande invaso potrebbe anche svolgere una importante azione sussidiaria come quella di servire da accumulo di energia elettrica di esubero in quanto prodotta nelle ore di mancati consumi. Si tratterebbe di contribuire ad una  mancanza di grandi  possibilità viste le difficoltà nella realizzazione  di grandi e preziosi accumuli di corrente elettrica  i quali, al momento attuale, sono esclusivamente costituiti da impianti idroelettrici detti reversibili in quanto hanno la possibilità di effettuare la  duplice funzione di produzione di energia elettrica ottenuta utilizzando l’acqua del lago superiore che viene fatta cadere in quello inferiore ed anche di accumulo dell’acqua del lago inferiore che viene ripompata nel lago superiore grazie all’uso alternativo delle apparecchiature reversibili ed in dettaglio delle turbine che diventano pompe e degli alternatori che, trasformati in motori elettrici, innalzano l’acqua  fino al lago superiore. Si tratta però di impianti in numero molto piccolo e quindi ij grado solo di sopperire in minima parte al fabbisogno. In questo senso sarebbe molto utile l’uso dei grandi serbatoi idropneumatici di cui al presente progetto, che sarebbero in grado di svolgere lo stesso compito utilizzando la corrente elettrica di supero per riempirli onde poter ricuperare corrente elettrica nelle ore di aumentato fabbisogno.

8) CONCLUSIONI

Si è descritto un sistema frangiflutto in grado di attuare anche lo sfruttamento della forza d’urto delle onde del mare per produrre energia elettrica. Si tratta di dispositivi del tutto simili a quelli in corso di sperimentazione da molto tempo ma dai quali si distinguono per la presenza di un componente essenziale per la regolarizzazione dei flussi e cioè per trasformare un’energia pulsante come quella delle onde in una che si mantiene costante per periodi di una durata compatibile con una sua utilizzazione ai fini idroelettrici. Il dispositivo in parola è il serbatoio idropneumatico finora mai utilizzato in applicazioni del genere ma che, ad avviso di chi scrive, è atto a svolgere nel migliore dei modi tale gravoso compito.
Un altro elemento notevole è dato dal diaframma elastico con cui si prevede di assorbire l’energia del moto ondoso per proteggere efficacemente la sponda e, al tempo stesso, produrre energia elettrica. In variante si è prevista la presenza di pannelli solari ed eventuale impianto di sollevamento atto ad incrementare il volume idrico nel serbatoio e quindi all’accumulo dell’energia in esubero.
Caratteristiche fondamentali del sistema sono la sua grande elasticità di esercizio che gli consente di modificare sostanzialmente le modalità di funzionamento al variare dell’intensità del moto ondoso, la possibilità di costituire un accumulo di energia utilizzabile in tempi diversi ed infine il modesto impatto ambientale essendo le opere per la gran parte sotterranee mentre quelle in vista sono del tutto simili alle normali opere di sistemazione del lungomare delle comuni centri balneari di cui possono costituire una efficace, utile sistemazione.

A chiusura della proposta qui riportata si fa rilevare un difetto fondamentale che contraddistingue negativamente tutte le modalità di produzione eoliche di energia per gli eccessivi costi di manutenzione ed esercizio. Si pensi ad esempio alle fonti eoliche o quelle fotovoltaiche disseminate in una miriade di eliche rotanti o di pannelli solari. La barriera frangiflutto qui descritta presenta il vantaggio notevolissimo di concentrare la produzione di un tratto di costa marina della lunghezza di parecchi chilometri in una unica centrale idroelettrica ottenendo il duplice vantaggio di compensare gli sbalzi di energia che vi si riscontrano ed al tempo stesso di facilitare l’esercizio essendo da gestire una singola centrale.

INDIETRO  AVANTI

SERBATOIO PER L’ISOLA D’ELBA

Un servizio fondamentale per qualsivoglia centro abitato ma che diventa essenziale per un territorio a preminente vocazione turistica come l’Isola d’Elba è quello del suo corretto rifornimento idropotabile. In questo settore l’Isola deve invece lamentare inconvenienti gravi quali la scarsità delle fonti durante l’estate che comporta frequenti interruzioni del servizio con alimentazione idrica di tipo turnario, e la presenza nell’acqua di sostanze inquinanti che ne compromettono l’uso a fini potabili. Le ragioni vanno ricercate nella precarietà della fornitura dalla Val di Cornia sita nel continente la quale, a causa della vastità del territorio continentale ed insulare servito, non è più in grado di produrre acqua in qualità e quantità atta a soddisfare il fabbisogno. Particolarmente grave è l’inquinamento ad opera del boro e dell’arsenico  presenti  nell’acqua in quantitativi superiori alle percentuali ammesse dalle vigenti leggi e cui si è recentemente rimedianto tramite opportuni trattamenti operati in terraferma e che hanno comportanto ulteriori pesanti aumenti nel costo complessivo di produzione dell’acqua potabile .
E’ fuori di dubbio che la soluzione ottimale di un problema determinante come quello indicato sarebbe quella che riuscisse a soddisfare le richieste idriche dell’Isola in maniera autonoma, visto e considerato che le acque di pioggia che vi precipitano durante l’annata sarebbero sufficienti allo scopo qualora, invece di essere lasciate defluire inutilizzate al mare come accade attualmente, potessero essere raccolte ed immagazzinate per essere utilizzare durante il periodo estivo di rilevante consumo idrico e di scarsa producibilità delle sorgenti e dei pozzi sia locali che della Val di Cornia. Gli studi condotti in questo senso vertono sulla realizzazione di due laghi artificiali mediante dighe di ritenuta da costruirsi a Patresi e Pomonte oppure nella realizzazione di 21 laghetti sparsi in tutta l’Isola  ed aventi in ciascuna soluzione esecutiva il necessario volume totale di invaso di 2.000.000 di mc, ma sono molti e di varia natura i motivi che ne sconsigliano la attuazione, primo fra tutti il grave danno ambientale che ne deriverebbe. Anche le altre soluzioni come la produzione di acqua potabile mediante desalinizzazione di quella di mare o la depurazione delle acque reflue della fognatura presentano inconvenienti gravi per cui , anche se in un futuro prossimo venisse effettivamente  realizzato un desalinizzatore, si otterrebbero  risutati disastrosi per i costi elevatissimi e soprattutto  perchè la caratteristica fondamentale della  desalinizzazione cosiste in una produzione costante per l’ingtera annata mentre il fabbisogno degll’utenza elbana è caratterizzato da grandissima escursione di portata  cui bisognerebbe comunque porre rimedio con l’aggiunta di un grandissimo serbatoio dello stesso tipo di quello che costituisce la soluzione che viene qui proposta.
La conclusione cui si perviene non può che derivare da una regola attualmente molto seguita nei paesi nordici e che così recita: porre nel sottosuolo le opere che in superficie non possono essere tollerate per i danni che provocano. Ciò significa evitare di occupare gli spazi belli e preziosi dell’Elba ma ricavare invece il grande serbatoio nel suo sottosuolo. Dall’esame della conformazione del territorio ovest dell’Isola costituito dal massiccio del monte Capanne dal quale si diramano con disposizione a raggiera numerose vallette e compluvi normalmente asciutti ma destinati a raccogliere e scaricare a mare le acque di pioggia che statisticamente quì precipitano con maggiore intensità che nel resto dell’Isola, risulta che l’accumulo non dovrebbe essere concentrato in una area limitata come accade ad esempio con i laghi artificiali, ma che esso dovrebbe invece svolgersi con la massima estesa longitudinale possibile al fine di raggiungere tutte le vallette, nessuna esclusa, e poter intercettare tutti i corsi d’acqua.

Veduta prospettica della parte ovest dell’Isola d’Elba con il gtracciato del serbatoio/galleria

Tale risultato può essere raggiunto mediante un’opera singolare ma non nuova nel settore idropotabile e che, sotto molteplici aspetti, si adatta splendidamente al territorio elbano in quanto, oltre a risolvere il problema idrico, consente anche di sfruttare alcune delle sue caratteristiche fondamentali per ottenere rilevanti economie costruttive e di esercizio. Si tratta di una galleria del tutto simile a quelle stradali ed avente un diametro di 10 m che, circondando alla base e per 360 gradi il citato massiccio del Monte Capanne con il percorso circolare lungo circa 25 Km di cui al disegno allegato, attraversa o sottopassa tutti i compluvi costituendo il richiesto volume di invaso di 2.000.000 di mc in grado di conservare per lungo tempo l’acqua potabile al fresco e al buio.
Ed ecco quali possono essere i vantaggi secondari, ma non per questo da sottovalutare, dell’opera. Innanzitutto è previsto che lo scavo della galleria, come sempre succede nella esecuzione di lavori del genere, finisca per richiamare al suo interno l’acqua delle falde presenti nel sottosuolo del M. Capanne, presenza confermata dalle numerose fonti naturali ivi esistenti. Ebbene tali falde potranno rappresentare un importante apporto di acqua naturalmente potabile e particolarmente abbondante durante i periodi piovosi. Altro vantaggio da tener presente è la qualità del materiale roccioso attraversato con gli scavi sotterranei, il quale, essendo per la totalità costituito dal meraviglioso granito elbano, non solo darà tutte le necessarie garanzie per la stabilità delle opere durante e dopo la esecuzione dei lavori, ma fornirà grandi quantitativi di prodotto lapideo di risulta che, convenientemente sfruttati, potranno contribuire a coprire in gran parte i costi di costruzione della galleria. E’, a tale riguardo. da segnalare come alla data attuale le Cooperative di cavatori che operano a S. Piero siano costrette ad importare il granito dalla Cina viste le difficoltà imposte dalle vigenti leggi alla coltivazione delle cave all’aperto che tanti danni provocano all’ambiente. Per ovviarvi e consentire la prosecuzione o forse l’incremento di tale attività si propone di organizzare lo scavo di alcune parti del serbatoio/galleria in modo da potervi ricavare i blocchi di granito atti alla descritta lavorazione. La parte rimanente di materiale di risulta, opportunamente frantumata e vagliata, potrà trovare svariati ed utili impieghi quale inerte da calcestruzzi, quale sabbia per il ripascimento di spiagge erose dalle mareggiata o per l’ampliamento delle altre, per la costruzione di rilevati stradali e per piazzali e parcheggio o, infine, per ripristinare il territorio nei punti danneggiati dalle cave coltivate negli anni passati.

Planimetria della parte ovest dell’Isola dd’Elba con tracciato del serbatoio/galleria

Un altro punto a favore del serbatoio/galleria è la possibilità di alimentare, grazie alla sua elevata quota altimetrica, gran parte degli agglomerati urbani direttamente a gravità evitando l’uso delle costose pompe di sollevamento. A tale riguardo occorre anche segnalare come la rete di adduzione che attualmente collega tra di loro i vari acquedotti facendo percorrere all’acqua della Val di Cornia tutta l’Isola in senso longitudinale da est a ovest, è in grado di essere alimentata anche in senso contrario cioè da ovest verso est e quindi distribuire seduta stante e senza necessità di grandi opere acquedottistiche tutta l’acqua raccolta e accumulata nel serbatoio/galleria.
Infine l’accumulo in serbatoio di notevoli volumi d’acqua delle piogge effettua una laminazione delle piene contribuendo a lenire i danni che vengono spesso provocati da esondazioni ed allagamenti a seguito di eventi piovosi particolarmente intensi.
Resta comunque confermato che il risultato più importante che si ottiene delle opere in oggetto è quello di consentire all’Elba di alimentarsi autonomamente, evitando in toto il ricorso alle costose e precarie forniture della Val di Cornia, forniture che potrebbero improvvisamente venire a mancare per molteplici ragioni tra le quali figurano le pessime caratteristiche chimiche dell’acqua che possono comportare in qualunque momento il divieto del suo uso a fini potabili, l’impossibilità, insita negli impianti della Val di Cornia, di far fronte alla totalità degli aumentati consumi idrici ed infine, la eventualità, tutt’altro che remota, che la condotta sottomarina di collegamento con il continente, attualmente in precario stato, possa rompersi.
Se si considera che tra breve tutti i servizi idrici di una vasta zona, comprensiva anche dell’Elba, definita ambito ottimale ( ATO ), saranno svolti da un grande organismo pubblico che andrà a realizzare il Serivizio Idrico Integrato, si comprende che la presenza di un grande serbatoio di estremità come quello in oggetto e per giunta ubicato in una posizione decentrata come è l’Isola d’Elba rispetto al rimanente territorio ATO, costituisca un fattore di grande sicurezza per il servizio idropotabile dell’intera regione. Il collegamento con il continente tramite la esistente condotta sottomarina, attualmente essenziale per il rifornimento idrico elbano, verrebbe allora declassato diventando una riserva da utilizzare solo eccezionalmente per eventuali interscambi di portata nei due sensi Isola d’Elba-Continente e Continente-Isola d’Elba in caso di necessità impreviste.
Infine il problema, importantissimo, del costo delle opere.
La costruzione di una galleria come quella indicata è valutato in ben 150 milioni di euro. Dalle stime effettuate da una società esperta in lavori del genere risulta però che la presenza di un materiale straordinario come il granito che compone il massiccio del Capanne consentirebbe, con una efficiente organizzazione del lavoro, coprire gran parte di tale importo.
In definitiva l’opera che nella presente breve relazione si propone di eseguire, cioè la costruzione di un serbatoio sotterraneo per acqua potabile da 2.000.000 di mc. di capacità utile, si ritiene costituisca la soluzione ottimale del problema idrico elbano in quanto essa è atta , senza provocare danno alcuno all’ambiente, a dotare l’Isola di un corretto servizio idrico del tutto autonomo ed autosufficiente nel mentre le spese per la esecuzione dei lavori potrebbero essere in buona parte coperte dalla utilizzazione del materiale di risulta dagli scavi.
Ulteriori indicazioni possono essere dedotte dal questo stesso sito dove figura il progetto di massima completo di relazione e disegni esplicativi.

La descrizione del grande serbatoio/galleria per l’Isola d’Elba termina con l’indicazione che l’intera opera potrà essere costruita per stralci successivi tutti funzionale ed atti a dilazionare la spesa negli anni ma riuscendo a risolvere gli attuali problemi estivi fin da una prima tratta di lunghezza di circa  un chilometro necessaria e sufficiente a tale scopo

INDIETRO AVANTI

IL SOTTOSUOLO COME VALIDA RISORSA NELLA RISOLUZIONE DELLA IMMINENTE CRISI IDROPOTABILE

Il sottosuolo per grandi accumuli iodrici

 

La crisi idrica che si profila ad un orizzonte non molto lontano sollecita soluzioni valide. Quelle che vanno oggi per la maggiore sono il risparmio dell’acqua disponibile e l’aumento della produzione delle fonti.
In tema di risparmio idrico alcuni dei provvedimenti sempre più spesso raccomandati sono fatalmente destinati ad ottenere risultati del tutto esigui. Infatti non si tiene presente un fattore determinante e cioè la diretta dipendenza delle perdite occulte degli acquedotti con la pressione di esercizio degli stessi che fa sì che, quand’anche la gran parte degli utenti praticasse una rilevante economia dell’acqua consumata, la minor portata delle condotte di rete finirebbe per incrementare la pressione e quindi le perdite annullandone in parte i benefici. A fronte dei risultati così modesti si devono rilevare i disagi per la popolazione ed il minor introito economico degli enti di gestione il cui bilancio deve comunque risultare in pareggio. Senza entrare in dettaglio in un argomento così vasto e complesso, si auspica che i futuri sistemi di approvvigionamento idropotabile siano invece in grado di fornire all’utenza l’acqua di buona qualità senza imporre limitazioni di consumo d inoltre senza dover ricorrere a sistemi speciali e costosi come ad esempio quello inerente la potabilizzazione di acque marine o di quelle reflue delle fognature. A tale scopo viene quì proposto un intervento di sicura efficacia e ancora sottovalutato e cioè il semplice accumulo in grandi e grandissimi serbatoi dell’acqua potabile prodotta in eccesso durante i periodi di bassa richiesta dell’utenza. Viene così resa possibile una buona compensazione plurimensile delle portate che può aggiungersi alla compensazione giornaliera generalmente adottata nella maggior parte degli acquedotti italiani con risultati totalmente diversi.

È ben noto che, sia nella producibilità delle fonti e sia nella richiesta di quel bene prezioso ed essenziale che è l’acqua, sussistono dei consistenti sfasamenti temporali dovuti alle forti escursioni di portata non solo delle fonti che normalmente alimentano gli acquedotti e cioè sorgenti, falde e corsi d’acqua soggette inevitabilmente alla aleatorietà del tempo atmosferico ma anche della richiesta idrica dell’utenza. I due fenomeni sono nettamente contrapposti in quanto è proprio quando difettano le fonti che aumentano le richieste facendo viepiù rilevare l’importanza dei grandi accumuli per la risoluzione dei problemi che vi si verificano.
Una modalità molto efficace di accumulo di rilevanti volumi idrici è quella dei bacini artificiali d’alta montagna che nei tempi andati erano ottenuti tramite dighe di ritenuta. Si tratta però di opere che non si possono più realizzare per molteplici ragioni tra cui la mancanza di aree adatte, i danni ambientali che ne derivano, le perdite d’acqua causate dall’evaporazione, il progressivo interrimento dei bacini, la possibilità di franamento delle sponde ecc. ecc.
Le altre possibilità di realizzare grandi accumuli in superficie si limitano ai serbatoi in cemento armato ma, pur con il progressivo miglioramento della tecnica edilizia, l’invaso massimo che si riesce a realizzare in questo modo può essere stimato in circa 200000 mc che sono del tutto insufficienti per gli scopi di cui si discute.
Esaurite le usuali possibilità di realizzare rilevanti invasi idrici nel terreno non resta che passare al sottosuolo che presenta in tale campo favorevolissime condizioni. Si noterà come sono molti i settori del moderno vivere civile che hanno trovato sottoterra la condizione ideale per ubicarvi importanti sevizi. Tale tecnica ha permesso di dotare le grandi città delle ferrovie metropolitane che rappresentano senza dubbio il miglior sistema di trasporto urbano. Nel campo dello stoccaggio di materiali e mezzi d’opera eccellono i garage per autovetture ed i magazzini anche di grandi dimensioni ed i locali accessori in genere. Nelle grandi metropoli sono molti gli esempi di ubicazione nel sottosuolo di locali a usi multipli. Tra tutti si segnala quella sorta di tempio dello shopping su quattro livelli che è il modernissimo Forum des Halles di Parigi con negozi, ristoranti, piscina, giardini, fontane e la più grande stazione metropolitana della capitale francese. Al centro vi si trova addirittura una piccola piazza con monumento centrale: il tutto è stato ottenuto scavando l’area un tempo occupata dai magazzini generali.

Il Forum des Halles di Parigi: una piazza con negozi, piscine, ristoranti interamente ricavata nel sottosuolo

Nel campo dei servizi idrici non si possono tralasciare gli interventi posti in essere sotto terra dalla città di Como per trasferirvi gli impianti di stoccaggio e trattamento delle acque potabili e di quelle di fognatura liberandone totalmente il territorio urbano.

E’ da rilevare come la caratteristica di vitale importanza degli strati profondi della terra sia quella di costituire da sempre l’ideale mezzo di accumulo di ingentissimi volumi d’acqua che, raccolti a seguito degli eventi atmosferici, vengono successivamente e progressivamente restituiti al suolo per alimentare fiumi, falde, sorgenti ecc, in definitiva per consentire la sopravvivenza di piante, animali ed esseri umani. Accumularvi artificialmente rilevanti volumi d’acqua potabile, come viene proposto in questa nota, rappresenta pertanto la continuazione di un procedimento naturale con tutti i vantaggi che gli sono propri e che si rivelano particolarmente utili per la risoluzione della carenza idrica di cui si è detto.

Tra tutte le possibilità si cita in primo luogo una tecnica che sta dando buoni risultati è cioè la ricarica artificiale di falda consistente nell’immissione forzata nel sottosuolo di grandi volumi idrici durante i periodi di piogge intense allo scopo di poterne molto efficacemente usufruire in tempi ed in luoghi diversi ed anche molto lontani.

In secondo luogo, rinviando la trattazione della tecnica di ricarica di falda alle molte pubblicazioni degli specialisti della materia, si vuole specificatamente parlare di grandi bacini ricavati nel sottosuolo con diverse metodologie, ancora poco utilizzate ma dalle quali deriveranno in futuro, in maniera del tutto analoga, sicuramente dei grandi benefici.

Il primo esempio di grande bacino sotterraneo prende spunto dal lavoro del prof. Pier Gino Megale dell’Università di Pisa “USO DEGLI ACQUIFERI LOCALI PER LA REGOLAZIONE DELLE RISORSE IDRICHE DELL’ISOLA D’ELBA” visibile anche su internet , che è basato sulla realizzazione di un serbatoio sotterraneo da 2.000.000 mc di capacità utile tramite diaframmi di impermeabilizzazione che circondano la piana di Marina di Campo nell’Isola d’Elba mediante una tecnologia che potrebbe benissimo essere adottata in molti altri casi. Si riportano nel seguito ed in sunto le sue modalità d’uso e le possibilità offerte in particolari situazioni territoriali.

 

tracciato galleria serbatoio Elba
Veduta del serbatoio-galleria progettato per l’Isola d’Elba ma non realizzato

Sezione tipo del serbatoio – galleria per l’Isola d’Elba

Si verifica sovente che una vallata anche molto ampia sfoci nel mare essendo costituita da sponde impermeabili profonde sulle quali si sono depositati attraverso i secoli, grandi quantità di ghiaie o di materiali sabbiosi comunque permeabili e che si elevano verso l’alto fino a costituire delle grandi pianure. In tali luoghi, pur essendo presenti nel sottosuolo delle ricche falde alimentate da bacini imbriferi di grande estensione, non è possibile prelevarvi acqua per usi potabili in quanto vi si verifica l’invasione di acqua salata, nel mentre tutta l’acqua dolce che vi transita si scarica inutilizzata a mare. Una buona soluzione potrebbe consistere nella costruzione, lungo il bordo del mare, di un diaframma impermeabile del tipo di quello prima citato che, spinto fino ad incastrarsi nello strato impermeabile profondo, sarebbe atto ad isolare idraulicamente la vallata dal mare stesso e a realizzarvi un enorme bacino sotterraneo nel quale si raccoglierebbero tutte le acque di monte senza possibilità alcuna che abbiano a disperdersi in mare nel mentre sarebbe impedita la risalita del cuneo salino che le rende oggi inutilizzabili. Si tratta quindi di una ottima possibilità per rendere disponibili grandi masse d’acqua ad uso degli acquedotti.

Una fresa per lo scavo ed il rivestimento delle gallerie in roccia

Un secondo modo di realizzazione nel sottosuolo di imponenti volumi di invaso d’acqua potabile è l’utilizzazione di un’opera normalmente usata per altri scopi e specialmente per il transito dei mezzi di trasporto, e cioè una galleria scavata nella roccia e che si presta benissimo per raccogliere e conservare al fresco, al buio e al riparo dai raggi del sole ingenti quantità di acqua. Sussistono numerosi esempi di gallerie/serbatoio utilizzate da anni con risultati ottimi (vedi figure qui sotto ) e tra di questi anchehttp://www.altratecnica.it/un-maxi-serbatoio-per-l-acquedotto/roposta avanzata da chi scrive per la risoluzione dei problemi idropotabili dell’Isola d’Elba ed il cui progetto di massima è visibile in questo sito .

 

Esempi di serbatoio-galleria.: i serbatoi esistenti di Aby (Torino) e di Napoli .

I vantaggi offerti da opere di questo genere sono molteplici e consistono nella possibilità di drenare aree molto vaste grazie alla notevole estensione longitudinale della galleria che consente di raggiungere fonti molto distanziate e nel poter alimentare, in caso sia possibile costruirla ad una opportuna quota altimetrica, una gran parte del territorio direttamente a gravità. La caratteristica più saliente del serbatoio/galleria resta comunque il suo notevole volume utile che consente di conservare per i periodi di grande scarsità idrica generalmente dovuti alla siccità, le acque che precipitano abbondantemente durante le stagioni piovose e poter quindi far fronte ai fabbisogni che aumentano notevolmente in particolari occasioni come ad esempio per l’aumento della presenza turistica in coincidenza con le siccità estive. Vi si deve aggiungere che la moderna tecnica costruttiva consente di scavare in terreni di qualsiasi natura e di rivestire con materiali appropriati gallerie di grande sezione in maniera rapida, sicura ed economica. La tecnica consente anche l’ulteriore vantaggio di poter captare le eventuali falde che si incontrano nel tracciato della galleria come pure quella di escluderle e di lasciare inalterata l’idrologia del territorio attraversato nel caso che le condizioni locali lo impongano.

Una terza possibilità di stoccare nel sottosuolo grandi volumi d’acqua potabile è data dalla costruzione di condotte adduttrici di diametro notevolmente maggiore di quello strettamente necessario per il trasporto della massa liquida. In situazioni particolari di lunghe condotte di adduzione che collegano le fonti alla rete di distribuzione senza grandi dislivelli altimetrici del suolo è possibile raggiungere tale risultato trasformandole in grandi contenitori sub orizzontali che oltre ad invasare grandi volumi d’acqua consentono anche apprezzabili economie energetiche date dalle minori perdite di carico che le caratterizzano.

Profilo schematico di un serbatoio-adduttore della lunghezza di 20 Km ed un volume utile di 2.000.000 di mc

Un esempio di adduzione-serbatoio è visibile nel sito prima citato e riguarda un progetto non realizzato e relativo alla costruzione del serbatoio di accumulo per l’acquedotto della città di Venezia.

 

Planimetria di serbatotio-adduttore per Venezia

 

Sezione tipo del serbatoio adduttore per Venezia

Per concludere positivamente questa breve nota si riportano alcuni concetti generali del resto già espressi in altri articoli di questo sito. I problemi che presenta l’approvvigionamento idropotabile italiano sono tutti di grande entità e non possono certamente essere risolti se non con interventi anch’essi imponenti e molto impegnativi per i costi e per le modalità da adottare. Vi figurano il rifacimento delle reti acquedottistiche obsolete, la riorganizzazione generale del sistema di approvvigionamento con acquedotti di ampia estensione studiati in funzione degli impianti di telecontrollo e telecomando che prevedano, tra l’altro, una regolazione diffusa della pressione di esercizio, una rete di collegamento tra i vari acquedotti che consenta facili interscambi di portata ecc. ecc. Tra gli interventi consigliati un posto di primo piano va anche assegnato alla compensazione plurimensile delle portate da attuarsi con grandi e grandissimi serbatoi di accumulo. Vista l’impossibilità di costruire tali opere in superficie è necessario rivolgere l’attenzione al sottosuolo che presenta, in questo senso, favorevolissime occasioni. Nell’articolo se ne descrivono alcune veramente interessanti. E’ questo un argomento molto importante più volte trattato da chi scrive ma che è stato qui ripreso per ampliarlo con i riferimenti ai vari articoli specifici e soprattutto per corredarlo di una utilissima relazione redatta da autorevoli studiosi per documentare l’opportunità di trasferire nel sottosuolo strutture di vario genere e tra di queste senza dubbio anche i grandi serbatoi di accumulo d’acqua potabile che formano l’oggetto specifico della presente nota.

L’ACQUEDOTTO DI PORTOGRUARO – PICCOLA STORIA

Il municipio di Portogruaro dove si è tenuta la conferenza alla presenza di autorità e pubblico

Il giorno 30 novembre 2008 nel Municipio di Portogruaro si è tenuta una conferenza per illustrare la storia dell’acquedotto cittadino in occasione del suo centenario dalla nascita.

Il manifestino che ha pubblicizzato la conferenza

La presentazione alle autorità ed al pubblico è proseguita con la narrazione delle interessanti vicissitudini del rifornimento idropotabile di Portogruaro durante il secolo trascorso dalle sue origini vivissitudini che vengono in parte omesse nella presente nota per passare alla parte conclusiva relativa al lavori di potenziamento aventi un  indubbio interesse attuale.

Anno 1908 – inaugurazione dell’acquedotto di Portogruaro

La situazione precedente gli anni 1974-75 di realizzazione delle opere di sistemazione. presentava uno stato di grave precarietà in quanto l’alimentazione della città era pesantemente condizionata  dal serbatoio pensile di Portovecchio che costituiva il punto di messa in carica della rete di distribuzione ad una quota altimetrica di  soli m. 22 sul suolo ed assolutamente insufficienti per una normale alimentazione dell’utenza come risulta schematicamente dal seguente profilo piezometrico schematico.

La linea piezometrica schematica nella situazione antecedente la esecuzione delle opere di sistemazione (1974-75) A = ora di minimo consumo B = ora di consumo medio C = consumi di punta

portato la demolizione e ricostruzione del serbatoio pensile ad un’altezza adeguata alle caratteristiche di portata e di carico carico .

Schema della soluzione classica di sistemazione. A = ora di minimo consumo B = ora di consumo medio C = consumi di punta.  trattasi di soluzione non realizzata

 

La soluzione effettivamente realizzata è consistita nella costruzione di un grande serbatoio di accumulo  ubicato a terra ed in prossimità del serbatoio pensile di Portovecchio, nel mantenimento dell’esistente serbatoio pensile destinandolo elusivamente al funzionamento in presenza delle basse portate  richieste dall’utenza e nell’adozione di pompaggio a pressione variabile e maggiorata in tempo reale in funzione dell’accresciuto fabbisogno. IL sistema è stato dotato di un capace serbatoio di accumulo e compensazione giornaliera delle portate con annessa nuova centrale di sollevamento automatica a pressione variabile di mandata in rete

 

Schema del funzionamento ad opere di sistemazione ultimate. La pressione di consegna all’utenza si mantiene costante sia di giorno che di notte essendo la pressione di partenza dalla centrale che varia in funzione del fabbisogno. L’esistente serbatoio pensile alimenta la rete solo nelle ore di basso consumo soprattutto notturne

 

Il nuovo serbatoio di accumulo e compensazione con adiacente centrale di sollevamento a pressione variabile delle portate realizzati in prossimità dell’esistente serbatoio pensile

L’esercizio del nuovo sistema acquedottistico ha confermato attraverso i decenni l’alta qualità del servizio idropotabile di Portogruaro con pressioni e portate di consegna sempre ottimali ed economia di esercizio.

LA RAZIONALIZZAZIONE DELLE RETI DI DISTRIBUZIONE D’ACQUA POTABILE A SOLLEVAMENTO MECCANICO – TERZO ESEMPIO PRATICO

Acquedotti razionali

 

Negli anni 70 l’autore di queste note ha collaborato alla progettazione, costruzione ex novo e messa in servizio attivo dell’acquedotto della città di Pordenone appena diventata capoluogo di provincia e precedentemente alimentata d’acqua potabile casa per casa tramite pozzi artesiani privati. Pur trattandosi di un rifornimento idropotabile le cui caratteristiche contrastano con i concetti di base propugnati in questo lavoro, si ritiene ugualmente di descriverlo in quanto costituisce un valido esempio di acquedotto concepito in funzione del territorio da servire. Alla fine del capitolo si formulerà comunque una ipotesi di soluzione conforme ai nuovi principi constatandone, anche in questo caso, la validità.
Non sono in possesso di chi scrive documenti e dati ufficiali per cui la descrizione delle opere dovrà necessariamente far affidamento solo sulla memoria. Anche in questo come in altri casi, gli elementi che saranno indicati potranno differire o essere carenti rispetto alla realtà, saranno comunque sufficientemente rappresentati i concetti informatori degli impianti e si potrà quindi recepirne la validità tecnica.
Innanzitutto è da ricordare una delle regole che alla citata epoca di redazione del progetto era considerata essenziale nella costituzione degli acquedotti e cioè la presenza di una o più vasche di carico della rete di distribuzione. Nel corso dei vari capitoli di questo lavoro si è invece dimostrato come sia da privilegiare non già la pressione di partenza degli acquedotti che la vasca di carico impone bensì quella finale di arrivo dell’acqua al domicilio all’utente.
Ferma restando la regola citata, i problemi da risolvere al momento della di progettazione erano essenzialmente due.
In primo luogo occorreva garantire una piezometrica sempre parallela ad un suolo come quello del capoluogo di Pordenone caratterizzato da una notevole pendenza longitudinale della sua parte nord e da un’ampia area pianeggiante o con poca pendenza di quella posta a sud.
In secondo luogo era giocoforza razionalizzare la captazione e sollevamento dell’acqua avendo fissato, per motivi di sicurezza, la costruzione di due opere di presa e sollevamento differenziate ed ubicate rispettivamente in località Comina dove la falda, assai ricca, si trovava ad una profondità di circa 50 metri sotto il suolo con risalienza limitata ad una ventina di metri sotto il terreno ed in località Torre dove l’acqua della falda, anch’essa posta a 50 metri sotto il suolo, era artesiana ma con una risalienza naturale fin sopra il terreno.
La soluzione progettuale allora definita e poi realizzata è rappresentata schematicamente nell’allegato profilo della fig.1 e può essere così descritta.
L’opera di presa di Comina, posta a nord cioè nella parte superiore del territorio, comprende un pozzo a raggiera tipo Fehlmann con una canna verticale in cemento armato del diametro di tre metri, profonda 55 m. e con due raggiere orizzontali poste nella falda ghiaiosa a circa 50 m di profondità. Entro il pozzo sono installate le pompe di sollevamento ad asse verticale con motore elettrico posto in alto e linea d’asse lunga una trentina di metri che aziona il corpo pompa immerso in falda a quota 30 m sotto il suolo. Le pompe immettono direttamente l’acqua a 50 sopra il piano campagna nell’adiacente serbatoio pensile da 3000 mc da cui si diparte la rete di distribuzione. Questa soluzione, se da una parte avrebbe assicurato un buon rendimento elettromeccanico di pompaggio che risulta limitato ad una singola breve condotta di mandata, dall’altra faceva nascere il grosso problema della compensazione delle portate in quanto il locale serbatoio pensile, pur rappresentando nel suo genere un’opera eccezionalmente capiente, non avrebbe potuto che effettuare una modesta compensazione nel mentre la sua posizione sopraelevata si prestava bene a costituire una utilissima capacità di riserva a tutela dei disservizi dell’intero territorio pordenonese. La creazione a terra di un capace serbatoio di compensazione giornaliera delle portate è stata scartata a priori in quanto avrebbe comportato un doppio pompaggio con evidenti maggiori costi di costruzione e di esercizio.
D’altro canto non si poteva pensare che, non avendo a disposizione una sufficiente capacità di accumulo, si dovesse far lavorare il pozzo con portate continuamente variabili durante le 24 ore della giornata tipo, essendo invece consigliato un prelievo il più possibile costante e privo di picchi che rappresenta la condizione ideale di sfruttamento della falda artesiana e di sollevamento a mezzo pompe.
Anche in questa occasione un attento esame della situazione locale ha messo in luce delle possibilità veramente interessanti. In dettaglio la risalienza della falda sud ( zona Torre ) che assicurava l’immissione naturale dell’acqua, cioè senza bisogno di pompe, in un grande serbatoio seminterrato, ha consigliato di concentrarvi il volume di compenso di tutta l’utenza e quindi anche quello dell’area nord ( Comina ) nel mentre una particolare costituzione della rete di distribuzione assicurava, come vedremo, per l’impianto di Comina una portata pressoché costante durante le 24 ore della giornata ovviando quindi alla nominata carenza di invaso. Rimaneva compito dell’altro impianto (Torre), immettere in rete, sfruttando in questo caso la notevole capacità del suo serbatoio, una portata variabilissima durante le 24 ore della giornata e quindi atta a coprire l’intera escursione della richiesta idrica di tutta l’utenza pordenonese.

Fig. n. 1 = Profilo schematico dell’acquedotto di Pordenone

Nella figura 1 allegata figurano schematicamente l’andamento del suolo, i due impianti di captazione e sollevamento ed infine la rete di distribuzione caratterizzata da un’area centrale indicata nel disegno come “area urbana ad alimentazione alterna” in quanto rifornita alternativamente dall’uno o dall’altro dei due impianti di produzione descritti. Infatti la rete, pur essendo di tipo unitario per tutta l’area urbana, risulta suddivisa in due parti differenziate per tipo di alimentazione e per dimensioni delle tubazioni stradali da una linea di confine che presenta la caratteristica di regredire verso monte e quindi ridurre notevolmente l’area servita da Comina man mano che aumenta la richiesta idrica e di contro crescere verso valle al verificarsi di basse portate. In pratica durante la giornata, quando sono richiesti grandi quantitativi idrici, la gran parte del capoluogo di Pordenone è alimentato dall’impianto inferiore di Torre nel mentre durante la notte è l’altro impianto ubicato a Comina a rifornire la quasi totalità dell’utenza. Allo scopo le condotte della rete bassa hanno diametri maggiorati ed esplicano quindi un’azione stabilizzatrice della linea piezometrica nel mentre quelle della zona nord alimentata da Comina sono di diametro relativamente piccolo e, a causa della notevole perdita di carico che ne deriva, non possono far fronte ai consumi più rilevanti che, come già detto, sono in gran parte soddisfatti da Torre. Si è potuti giungere a tale risultato progettuale per approssimazioni successive tramite una lunga serie di calcoli di verifica teorica che hanno portato anche all’altro interessante risultato di una buona equivalenza tra i volumi che giornalmente i due impianti producono e immettono in rete e dovuta al fatto che per Torre è determinante soprattutto la portata diurna mentre per Comina è il volume prodotto di notte a consentire detta equiparazione, fermo restando che eventuali discrepanze possono essere via via corrette modificando la regolazione delle valvole di cui si tratta nel seguente capoverso.
Ovviamente il tutto rappresentava soltanto la soluzione teorica del problema nel mentre ben diverse potevano essere le condizioni reali di esercizio e ben diversi i risultati della gestione effettiva degli impianti. Si è quindi deciso di dare all’acquedotto l’elasticità di funzionamento necessaria perché potesse adeguarsi ad ogni evenienza anche diversa da quelle ipotizzate, maggiorando alcune condotte della zona nord e munendole di valvole che consentano una regolazione fine della pressione.

Fig. 2 = Serbatoio pensile di Comina altezza m.50, capacità utile mc 3000. La vasca superiore è dotata di vele radiali atte ad impedire oscillazioni della massa d’acqua in caso di terremoto

 

Il risultato finale è stato quello di una rete avente le seguenti caratteristiche generali.
1. Una doppia alimentazione che dia la massima sicurezza di esercizio e costituita da:
– Un impianto di produzione a nord (Comina) atto a produrre e sollevare una portata abbastanza costante nelle 24 ore della giornata tipo e per un volume giornaliero all’incirca corrispondente alla metà della richiesta totale giornaliera. Il serbatoio pensile da 3000 mc rimane a guardia dell’intero territorio posto ai suoi piedi costituendo una riserva pronta ad entrare in rete in caso di disservizi vari;
2.Un impianto di produzione a sud composto da pozzi a risalienza naturale che alimentano un serbatoio di compensazione di grande capacità atto ad immagazzinare di notte ed a restituire di giorno tutta l’acqua necessaria per coprire le punte di consumo di tutta la città, effettuando la compensazione giornaliera atta a garantire che da ambedue le fonti possa essere captata costantemente la sola portata media giornaliera.
3. Una rete di distribuzione con una piezometrica sempre parallela al suolo e con una pressione sul suolo corretta.
4. La possibilità di regolare l’intervento dei due impianti di produzione e sollevamento tramite manovra delle valvole.

Serbatoio pensile di Torre, altezza m. 40 , capacità utile mc 1000

Alla data attuale chi scrive queste note non è al corrente della situazione corrente dell’acquedotto di Pordenone essendo la descrizione su riportata relativa all’epoca della sua costruzione. Come tale essa rappresenta un valido esempio di progettazione e realizzazione di un complesso acquedottistico importante ed di cui si ritiene utile conservare la documentazione.
Sicuramente una progettazione moderna ne differirebbe notevolmente potendo, ad esempio, consistere nel mantenimento degli stessi concetti base delle opere descritte sopra fatta salva la eliminazione oppure una diversa utilizzazione dei pensili come ad esempio quella raccomandata in uno specifico articolo di questo sito, e l’adozione sistematica del pompaggio diretto in rete tramite pompe a velocità variabile asservite alla pressione di arrivo rilevata presso l’utenza e trasmessa in tempo reale secondo le indicazioni riportate nei vari capitoli di questo lavoro, il tutto integrato da alcune valvole di rete telecomandate ed atte ad una regolazione fine delle pressioni. Una soluzione del genere darebbe agli impianti una maggiore elasticità di funzionamento, una economia di pompaggio dato dalla minor prevalenza delle pompe, una pressione sul suolo regolata ora per ora in base ai consumi ed infine minori perdite occulte a seguito della diminuzione della pressione notturna attuabile in vaste zone confermando, anche in questo esempio, la validità delle soluzioni tecnico-economiche raccomandate in vari articoli di questo sito.

UN PICCOLO INTERVENTO ACQUEDOTTISTICO DI BUON CONTENUTO TECNICO

Soluzione acquedottistica particolare

1. PREMESSA

La cura impiegata nella risoluzione dei problemi che interessano la moderna società, dipende normalmente non tanto, come sarebbe logico pensare, dalle difficoltà intrinseche che li caratterizzano quanto invece dalla loro importanza economica. Ed ecco, da un lato, grandi opere pubbliche progettate e realizzate con dovizia di mezzi e con una attenzione del tutto particolare mentre dall’altro gli interventi minimali per ammontare di spesa sono totalmente trascurati sia come progettazione che come realizzazione pratica. Non è questo il caso delle opere di cui alla presente nota che, pur essendo di importanza economica assai modesta, possiedono qualità tecnica e coerenza con gli scopi da raggiungere. che le rendono meritevoli, a giudizio di chi scrive, di essere segnalate

 

2. CARATTERISTICHE GENERALI

Le opere riguardano il potenziamento di un piccolissimo acquedotto alimentante la frazione di Carpen in Comune di Quero (BL) e costituito, come risulta dallo schema allegato di fig. 1, da una sorgente con annessa vasca di raccolta e carico posta a quota 152 m (vasca superiore), da una condotta di adduzione del diametro di 70 mm e da una piccolissima rete di distribuzione. Divenuta insufficiente la portata di cui sopra, occorreva integrarla con quella di una seconda sorgente munita anch’essa di una camera di raccolta (vasca inferiore) che, essendo posta ad una quota di soli 100 m, comportava il sollevamento meccanico dell’acqua tramite un piccolo impianto di pompaggio da ubicare nelle sue vicinanze e tutto ciò senza modificare le preesistenti modalità di distribuzione dell’acqua. La soluzione più semplice, ma non certo la più economica, sarebbe stata quella inerente il collegamento diretto tra le due vasche mediante una condotta di adduzione che, sviluppandosi lungo un pendio montagnoso per circa 300 m, avrebbe consentito alle pompe di ripristinare il livello massimo nella vasca superiore ogni qualvolta esso scendeva, per l’insufficiente portata della sorgente superiore, al di sotto del limite di sicurezza.

La costituzione delle opere effettivamente realizzate, oltre che risultare più economica sia nella costruzione della condotta di adduzione (limitata a soli 140 m di tracciato pianeggiante) che nella gestione, consente anche di immettere in rete una portata maggiore di quella relativa alla soluzione sbrigativa precedentemente indicata.

 

3. SOLUZIONE SCELTA E VERIFICA DEL FUNZIONAMENTO IDRAULICO

Posto come base che la portata massima da fornire all’utenza nell’ora di punta del giorno di massimo consumo fosse pari a 5 l/sec si doveva ricercare quella soluzione che, sfruttando in pieno la producibilità della sorgente superiore, rendesse il meno frequente possibile l’oneroso funzionamento delle pompe della sorgente bassa. Tale risultato è stato raggiunto realizzando un collegamento idraulico tra le pompe e l’adduttrice preesistente lungo il percorso più breve e più agevole (tronco A – B di soli m 140) e ponendo in opera un cavo elettrico aereo tra vasca superiore e pompe per il funzionamento in automatico di queste ultime. Ne è nato uno schema idrico che consente all’acqua sollevata di immettersi sia direttamente nella rete di distribuzione sia, percorrendo a ritroso una parte della condotta preesistente, nella vasca superiore a seconda della portata totale consumata dall’utenza e di quella prodotta in alto.

I casi limite di verifica idraulica dell’insieme sono:

a) il consumo dell’utenza è nullo e pertanto tutta l’acqua della sorgente inferiore è recapitata nella vasca superiore. I dati, per portate variabili da 0 a 5 l/sec e rappresentati nel grafico dalla curva “a”, sono quelli della seguente tabella 1.

b) il consumo dell’utenza è massimo (5 l/sec) e viene soddisfatto dalle due sorgenti funzionanti in parallelo. Ognuna di esse varia la propria portata da zero ad un massimo di 5 l/sec in funzione della producibilità della sorgente alta cui è data priorità in quanto il galleggiante che comanda le pompe entra in funzione solo quando il livello in tale vasca scende al di sotto della soglia di sicurezza. I dati, nel caso in esame, rappresentati nel grafico dalla curva “c” sono quelli della tabella 2).

E’ chiaro come la fascia di funzionamento contrassegnata con tratteggio nel grafico, essendo delimitata dalle citate curve relative rispettivamente al consumo nullo e al consumo massimo dell’utenza, racchiuda tutte le altre possibili situazioni di esercizio, nessuna esclusa, sia al variare dei consumi totali dell’utenza sia al variare del contributo rispettivo dell’una o dell’altra sorgente. Ad esempio quando la richiesta idrica totale è pari a 2 l/sec, cioè corrispondente pressappoco alla portata media richiesta dall’utenza, si avrà il funzionamento rappresentato dalla curva “b” e dalla  tabella 3) nella quale il segno – rappresenta la portata entrante nella vasca superiore.

 

4. LA SCELTA DELLA POMPA DA INSTALLARE

Nel grafico di fig. 2 è tracciata la curva caratteristica della pompa installata, curva che interseca l’area tratteggiata di funzionamento delle condotte mantenendo, nel corrispondente intervallo,  buoni rendimenti meccanici del gruppo.

I dati principali di funzionamento sono i seguenti:

– con consumi di rete nulli l’intera portata della pompa pari, in tale ipotesi, a 3.5 l/sec, viene addotta alla vasca superiore e il dislivello da vincere è pari a m. 62 (Punto A del grafico);

– con un consumo massimo dell’utenza pari a 5 l/sec la pompa solleva (Punto D) una portata di 4.3 l/sec con una prevalenza di m.58. La restante portata di 0.7 l/sec è fornita dalla sorgente superiore;

– con consumi intermedi dell’utenza le portate e prevalenze della pompa variano entro i limiti sopra descritti ma con la pregiudiziale di pompa ferma se la sorgente superiore è in grado da sola di far fronte al fabbisogno del momento. Ad esempio per consumi di 2 l/sec cioè per la portata media di consumo e se il livello della vasca superiore fosse sceso al di sotto della soglia, la pompa solleverebbe (Punto C) una portata di 4 l/sec dei quali 2 l/sec destinati alla rete ed i restanti 2 l/sec alla vasca superiore per ripristinarne il livello massimo. Nel caso la sorgente superiore avesse una portata pari o superiore a 2 l/sec la pompa rimarrebbe, ovviamente, ferma.

Da rilevare come l’installazione consenta alla sorgente inferiore di far fronte da sola alla quasi totalità dei consumi massimi (ben 4.3 l/sec contro i 5 l/sec), nel mentre in tutti gli altri casi l’acqua sollevata venga in buona parte immessa direttamente nella rete di distribuzione con perdite di carico contenute grazie alla esigua estesa della condotta di collegamento.

Se si fosse invece adottato l’altro schema idraulico consistente, come precedentemente indicato, in una condotta di collegamento diretto tra sollevamento e vasca superiore, la medesima pompa avrebbe avuto un funzionamento (Punto B) di 3.7 l/sec con prevalenza fissa di m 61, essendo allora il funzionamento totalmente indipendente dai consumi. I risultati salienti, paragonati a quelli della soluzione effettivamente realizzata, sarebbero stati, con tale soluzione, i seguenti,.

– una inferiore portata massima della pompa ( 3.7 invece di 4,3 l/sec)

– con un consumo medio dell’utenza ( 2 l/sec), che è quello che si verifica statisticamente con maggior frequenza, la pompa funzionerebbe con una prevalenza di 61 m contro i m 59.5 reali e quindi con un maggior consumo energetico del 2.5 %;

– si otterrebbero risultati migliori solo con consumi dell’utenza prossimi allo zero e pompa che manda tutta la portata nella vasca superiore, ma tali condizioni, nella realtà, non si verificano mai in quanto, in tutti i casi di consumi bassi e bassissimi, la pompa non entra in funzione essendo sufficiente la sola sorgente superiore per coprire il fabbisogno. Sono evidenti i vantaggi ottenuti con lo schema idraulico adottato.

Non resta che da accennare al pericolo, insito in un pompaggio diretto in condotta come quello in argomento, della trasmissione in rete di pericolosi colpi d’ariete. Tale eventualità è stata quasi completamente scongiurata grazie alla installazione, effettuata subito a valle della pompa, di una valvola di ritegno a membrana la quale, chiudendosi rapidamente per effetto della propria elasticità, impedisce che, all’arresto della pompa, il moto dell’acqua abbia da invertirsi.

 

5. CONCLUSIONI

Si è descritto un intervento di potenziamento, mediante installazione di pompe di sollevamento, di un piccolissimo acquedotto un tempo funzionante a gravità. La soluzione scelta ha consentito di realizzare consistenti economie di spesa non solo grazie alla minor estesa della nuova condotta di adduzione ma anche alla sua ubicazione nella sede stradale che ne ha migliorato notevolmente la fattibilità. Ulteriori economie si sono ottenute nelle spese di esercizio a seguito dell’ottimo rendimento meccanico delle apparecchiature installate, confermato da un esercizio durato ininterrottamente per decenni.

Interessante anche la modalità di calcolo idraulico adottata per la definizione delle caratteristiche delle nuove opere.

LA RAZIONALIZZAZIONE DELLE RETI DI DISTRIBUZIONE D’ACQUA POTABILE A SOLLEVAMENTO MECCANICO SECONDO ESEMPIO PRATICO

 

La pressione regolata

1. PREMESSA

Nell’ordine dal basso: Il serbatoio di compenso a terra, la centrale di sollevamento a pressione variabile, il serbatoio pensile di Sacile

Tra gli impianti acquedottistici meritevoli di essere segnalati per le caratteristiche tecniche conformi ai suggerimenti contenuti nei vari articoli del presente sito, figura senz’altro l’acquedotto di Sacile in provincia di Pordenone, alimentante una popolazione di circa 20.000 abitanti.
Chi scrive questa nota ha lungamente collaborato alla progettazione, costruzione e soprattutto gestione dell’acquedotto in parola ma, non essendo in possesso di alcuna copia dei documenti ufficiali, deve fidare, nella descrizione, solo sul ricordo del lavoro svolto. Alcuni degli elementi di seguito riportati potranno pertanto differire da quelli reali senza però che venga per questo sminuita la validità del lavoro essendo pienamente rispettati i concetti di base della costruzione acquedottistica che sono quelli interessanti ai fini che qui ci si propone.

 

2. CARATTERISTICHE GENERALI

L’acquedotto era, in origine, costituito da:
– Opere di presa comprendenti i tre campi acquiferi di Saccon, Picol e Talmasson ognuno dei quali collegato alla centrale di S. Liberale tramite propria condotta di adduzione della lunghezza di circa 5 Km e funzionante a gravità essendo posto a quota altimetrica elevata rispetto alla centrale stessa;
– Centrale di S.Liberale ubicata in testa alla rete di distribuzione e comprendente un serbatoio a terra di raccolta e compensazione delle portate in arrivo dai pozzi, un impianto di sollevamento ed un serbatoio pensile posti sopra il serbatoio a terra;
– la rete di distribuzione a maglie chiuse estesa a tutto il territorio da servire ed alimentata dal serbatoio pensile nel quale erano installati i galleggianti di comando delle pompe.

Il notevole incremento edilizio che ha interessato Sacile a partire dagli anni 60 ha comportato la totale revisione degli impianti acquedottistici divenuti assolutamente insufficienti all’alimentazione della accresciuta popolazione. Il potenziamento ha riguardato l’intero assetto dalle fonti, alla centrale di S.Liberale totalmente cambiata sia nella potenzialità che nelle modalità di esercizio ed infine alla rete di distribuzione in cui sono stati inseriti nuovi importanti anelli idrici di grosse tubazioni. Il tutto come sarà di seguito indicato.

 

3. IL POTENZIAMENTO DELLE FONTI

I tre campi acquiferi erano stati in grado, per un lungo periodo, di alimentare direttamente a gravità, e cioè sfruttando il dislivello topografico esistente tra zona pozzi e serbatoio a terra di S. Liberale, la cittadina allora molto meno popolata di oggi. Il citato incremento di popolazione, l’aumento dei consumi specifici e la contemporanea diminuzione di portata accusata dai pozzi a seguito dei numerosi prelievi effettuati da terzi nella stessa falda artesiana, hanno richiesto un notevole potenziamento realizzato mediante installazione di pompe sommerse in quasi tutti i pozzi. I risultati sono apparsi subito lusinghieri in quanto la ottima falda artesiana si è dimostrata atta a fornire tutta la portata necessaria. Come succede sempre in questi casi la difficoltà risiedeva solo nella regolazione delle pompe cioè nella definizione automatica della durata di funzionamento di ciascuna di esse. E’ infatti ben noto come, dovendo produrre una portata variabilissima da un giorno all’altro e da una stagione all’altra non sia facile ottenere un esercizio ottimale e cioè in grado di produrre i volumi d’acqua via via necessari senza dispendio energetico e con un adeguato sfruttamento delle fonti. La modalità che viene normalmente adottata quando, come a Sacile, le condotte adduttrici si immettono in un serbatoio di arrivo, è quella di dotare quest’ultimo di galleggianti con contatti elettrici che fermano tutte le pompe sommerse dei pozzi a serbatoio pieno e le mettono in moto, una di seguito all’altra, al verificarsi del suo svuotamento progressivo. Si raggiungono, in questo modo, risultati completamente diversi a seconda dell’entità dei consumi giornalieri d’acqua. In dettaglio, durante il giorno di massimo consumo il comportamento degli impianti è buono: le pompe dei pozzi, con un funzionamento pressocchè ininterrotto, forniscono la portata media giornaliera sufficiente per coprire un fabbisogno così elevato nel mentre è il serbatoio che, sfruttando l’intero invaso accumulato di notte, è in grado di fronteggiare la punta di consumo del giorno dopo. Invece nelle giornate di consumo minore e soprattutto in quelle di minimo fabbisogno, si verifica una grave anomalia di funzionamento dovuta al fatto che le pompe dei pozzi, non appena il serbatoio di arrivo tende a svuotarsi, provvedono a ripristinare immediatamente, grazie alla loro esuberante producibilità, il livello di massimo invaso. Ne consegue che durante la notte, essendo il serbatoio già pieno e pur essendo le pompe sommerse ferme, ha luogo lo sfioro di tutta l’acqua che i tre campi pozzi sono comunque in grado di addurre a gravità. L’anomalia appare intollerabile quando si pensi alle giornate nelle quali il volume prodotto a gravità dai pozzi nelle 24 ore della giornata tipo è superiore a quello richiesto dall’utenza nello stesso periodoe, ciononostante, di giorno debbono ugualmente funzionare le pompe dei pozzi nel mentre di notte viene scaricata dagli sfioratori la quasi totalità della portata in arrivo al serbatoio.
A Sacile il problema è stato risolto dotando l’impianto di sollevamento di un automatismo che consente di impostare, non già il livello massimo del serbatoio come accadrebbe con i galleggianti prima citati, ma invece una curva giornaliera dei livelli che deve assumere l’invaso durante le 24 ore della giornata tipo. La curva, definita sulla base della esperienza reale di esercizio ma comunque modificabile in ogni momento può essere del seguente tipo.

 

Esempio di tabella dei livelli imposti durante le 24 ore della giornata tipo

L’automatismo, verificato ad intervalli brevi e regolari il livello effettivo dell’acqua in serbatoio ed effettuato il paragone con il livello teorico prefissato per lo stesso istante nella curva, ordina, nel caso di livello reale più basso di quello teorico, la messa in moto di una nuova pompa e l’arresto in caso contrario. In altri termini è assicurato il riempimento e svuotamento del serbatoio secondo la curva preimpostata ed indipendentemente dalla reale entità dei consumi dell’utenza. Ovviamente nel caso i livelli durante l’intera giornata si mantengano costantemente al di sopra di quelli teorici, il chè può avvenire, ad esempio, quando la portata a gravità è superiore al fabbisogno, le pompe non entrano mai in funzione. Quanto sopra comporta una utilizzazione di tutto il volume utile del serbatoio in tutte le giornate dell’anno, con un risultato ottimale per il giorno di massimo consumo nel quale ha luogo una buona compensazione delle portate ma con un risultato ancora migliore in tutte le giornate di consumi bassi o medio-bassi nei quali l’esuberanza di volume utilizzato rispetto a quello sufficiente per la compensazione, provoca una diminuzione della portata che i pozzi prelevano dalla falda nelle ore diurne ed un aumento durante la notte, o, più esattamente, dalle ore 0 alle ore 7, nelle quali ha luogo l’invaso. Maggiori dettagli, su questo tipo di regolazione, possono essere letti nell’articolo “La regolazione dei serbatoi di compenso degli acquedotti” dove sono riportati anche dei grafici di funzionamento che aiutano nella comprensione delle modalità di utilizzazione del sistema.

Grafico giornaliero dei livelli del serbatoio di compensazione che si può utilizzare in un serbatoio generico di compensazione delle portate di un acquedotto qualsiasi avengte un’altezza di invaso totale di 6 m.

 

4. IL POTENZIAMENTO DELLA CENTRALE DI SOLLEVAMENTO DI S.LIBERALE

grafico del funzionamento della centrale di sollevamento in una giornata di consumi superiore alla media. Si nota chiaramente il funzionamento notturno a bassa e costante pressione mentre quello diurno segue le punte di consumo dell’utenza

Il problema da risolvere a Sacile riguardava non solo la portata da distribuire all’utenza ma anche la pressione di partenza della rete di distribuzione che. a causa della altezza dell’esistente serbatoio pensile limitata a soli 22 m sul suolo, risultavano ambedue assolutamente insufficienti.
La soluzione che in casi del genere viene suggerita dalla letteratura tecnica e che viene comunemente adottata da molti gestori è quella inerente la demolizione del serbatoio pensile e la sua ricostruzione ad una maggiore altezza pari almeno a 50 m, tale essendo la quota cui sollevare l’acqua per avere in rete una pressione atta a far fronte alle punte di consumo. Si vedrà come l’intervento attuato, anche se ben diverso, ha consentito di ottenere risultati migliori sia in termini di soddisfacimento dell’utenza sia di economia di gestione pur comportando investimenti molto inferiori.
La progettazione delle opere è stato preceduto da una attenta analisi dei consumi reali dell’acquedotto e di quelli prevedibili per un’intera annata del decennio successivo. Ne è risultato che, come sempre accade in acquedotti similari, le portate di punta, mediamente, si verificano per periodi molto brevi nel mentre quelle medie e medio basse sono di gran lunga le più frequenti. E’ apparsa evidente l’opportunità di scegliere due diversi regimi di esercizio degli impianti: per le portate basse e medio-basse che sono quelle che si verificano, durante l’anno, nella stragrande maggioranza delle ore, adottare il primo sistema e cioè utilizzare ancora l’esistente serbatoio pensile visto che, da

Le valvole di regolazione inserite nella colonna montante del serbatoio pensile di Sacile

numerose serie di calcoli di verifica della rete magliata, è risultato ancora atto, in considerazione del loro ammontare relativamente modesto, al rifornimento di dette portate. Sono evidenti i vantaggi ottenibili: evitare la costosa demolizione e ricostruzione del pensile e sollevare l’acqua, per la maggior parte del periodo annuo, a soli 22 m di altezza con ovvia minor spesa energetica e minori perdite occulte di rete che, come ben noto, sono funzione diretta della pressione di condotta.
Il regime di secondo tipo, da attuare automaticamente nei brevi periodi di maggior richiesta d’acqua da parte dell’utenza, doveva dare ambedue i risultati concreti prima indicati e cioè l’aumento della pressione e della portata dell’acqua immessa in rete.
Ed ecco le modalità seguite per l’attuazione pratica dei due regimi di funzionamento.
Le condotte verticali del pensile sono state sostituite con una sola tubazione di grande diametro derivata dal fondo vasca e quindi atta a svolgere la doppia funzione di entrata e di uscita dell’acqua dal serbatoio pensile La tubazione è stata dotata di una valvola motorizzata di intercettazione e di un by-pass con valvola di ritegno che si apre nel senso dell’uscita d’acqua. La valvola motorizzata, se aperta, mette il serbatoio in comunicazione diretta con la rete ripristinando il normale funzionamento della rete con alimentazione da serbatoio di testata. A valvola chiusa il serbatoio è scollegato dalla rete la quale può funzionare, con pompaggio diretto, a pressione completamente indipendente. Il by-pass con valvola di ritegno che si apre quando la pressione di rete scende al di sotto del il livello del serbatoio, consente l’intervento dell’invaso superiore in caso di mancanza di corrente o di panne della centrale di sollevamento. Importante , infine, la possibilità di imporre il valore di soglia, tarabile, della portata che definisce i due regimi.
Il funzionamento degli impianti così modificati è il seguente.
Quando il valore della portata in uscita dalla centrale rilevata dal misuratore e trasmessa in tempo reale al quadro di comando è inferiore alla soglia prefissata, l’automatismo mantiene aperta la valvola motorizzata e fa funzionare la serie di pompe di bassa prevalenza in modo da mantenere il serbatoio al suo massimo livello. La rete funziona allora a bassa pressione con tutti i vantaggi già citati. Non appena la portata aumenta e supera la soglia prefissata, la valvola motorizzata viene chiusa e, da tale momento, il serbatoio rimane pieno d’acqua, separato dalla rete ma pronto ad intervenire in caso di bisogno. Entra in funzione la serie di pompe ad alta pressione asservite alla portata in uscita. Ciò significa che quando la portata aumenta al di sopra di determinati valori, si avvia una nuova pompa. Se la portata diminuisce vengono via via fermate le macchine ad alta pressione finché, superata in diminuzione la soglia prefissata, si torna alle pompe a bassa pressione e all’apertura del serbatoio pensile. Uno dei pericoli cui potrebbe incorrere l’impianto è quello della permanenza, del tutto casuale, della portata per lunghi periodi su valori prossimi a quelli di soglia il che, a prima vista, sembrerebbe causare un continuo alternarsi di comandi e di controcomandi dannosi per l’esercizio. Si deve subito precisare come tale pericolo non sussista affatto in quanto, il passaggio da un regime all’altro come pure l’avvio o l’arresto di una pompa, provocano una importante modifica indotta nella portata assorbita dalla rete che, conferisce all’impianto una grande stabilità . Maggiori dettagli sul fenomeno possono essere letti nel capitolo 2.1 dell’articolo ” La regolazione degli impianti di sollevamento degli acquedotti”.
Un altro punto da chiarire è quello della possibilità che negli impianti con immissione diretta in rete le pompe agiscano fuori rendimento, anche se, a Sacile, tale inconveniente può essere evitato con una attenta regolazione delle soglie di intervento,. A tale riguardo bisogna tener presente come il funzionamento di una macchina al di fuori del punto ottimale possa causare, al massimo, una perdita di rendimento pari a qualche punto percentuale ma come, al tempo stesso, abbassare la prevalenza di pompaggio di qualche decina di metri significhi guadagnare decine e decine di punti percentuali nel rendimento: Il bilancio finale è quindi nettamente favorevole al funzionamento indicato! Passando al caso reale può darsi benissimo che la variazione di pressione che si verifica in rete durante il pompaggio ad alta pressione ed in diretta, porti la pompa allora in moto a lavorare fuori rendimento con perdita, poniamo dell’1% nel rendimento meccanico. Il danno economico è insignificante se paragonato a tutti i periodi, di grande durata durante l’anno tipo, nei quali, abbandonato il pompaggio a 50-60 m di pressione, si passa a quello a 22 m che comporta una spesa energetica di sollevamento pari al 30% di quella che si dovrebbe sostenere per il pompaggio a 50-60 m. Un ulteriore problema è quello della necessità di attenuare i colpi d’ariete che il pompaggio in diretta trasmette inevitabilmente alle condotte con il pompaggio in diretta. Esso è stato risolto in primo luogo dalla valvola di ritegno inserita nella colonna montante del pensile, la quale, al mancare della corrente elettrica o al verificarsi di qualunque inconveniente nelle pompe, aprendosi prontamente, mantiene comunque in rete la pressione del serbatoio. Il secondo elemento moderatore è dato dalla tipologia delle valvole di ritegno installate subito a valle delle pompe, che, essendo del tipo a membrana, si chiudono, al momento dell’arresto delle pompe, prima che abbia luogo l’inversione del flusso d’acqua.

Le òpompe di sollevamento ad asse verticale e con valvola di ritegno a membrana che riduce i danni dei colpi d’ariete

In definitiva gli impianti descritti hanno dimostrato piena validità attraverso decenni di esercizio, Si è potuto constatare come, nella realtà, gli impianti, pur consegnando correttamente l’acqua all’utenza in ogni condizione di esercizio, funzionino a bassa pressione per periodi lunghissimi nel mentre il regime di alta pressione è limitato a poche ore durante giornate particolari e rare quali possono essere per esempio le giornate particolarmente calde delle medie stagioni (primavera ed autunno).e durante quelle di calura estiva. L’alta pressione praticamente non esiste durante l’inverno e le giornate piovose delle altre stagioni. Il tutto si traduce in evidenti economie date non solo dal minor consumo di energia elettrica di pompaggio ma anche dalle diminuzione di perdite occulte dovuta alla minor pressione che si registra in rete in tutti i periodi notturni.
Risultati ancora migliori si sarebbero potuti se la serie di pompe di alta pressione fossero state del tipo a velocità variabile con possibilità, quindi, di mantenere, nel secondo regime (ad alta pressione), una portata e una pressione di alimentazione della rete ambedue variabili con continuità e restando asservite alle richieste dell’utenza. Al momento dell’esecuzione dell’intervento non era però ancora disponibile la tecnologia moderna che rende estremamente economici e facili sia la variazione dei giri che la regolazione dei motori elettrici.

 

5. IL POTENZIAMENTO DELLA RETE DI DISTRIBUZIONE

E’ consistito molto semplicemente nella costruzione di condotte di grosso diametro munite delle normali apparecchiature come saracinesche di intercettazione sfiati scarichi ed idranti atte ad integrare la rete esistente potenziandola ed estendendola a tutta la periferia.

 

6. ULTERIORI IMPIEGHI DELLA TECNICA DI POTENZIAMENTO SPERIMENTATA A SACILE

Serbatoio pensile di Portogruaro (VE)

 

Schema funzionamento precedente i lavori di sistemazione e modifica

 

 

Schema funzionamento secondo metodologia classica e non realizzato avendo anche a Portogruaro adottato invece il pompaggio a pressione regolata del tutto simile a quello di Sacile. In pratica di notte funzione il serbatoio pensile e di giorno il pompaggio diretto in rete a pressione maggiorata e regolabile

 

La validità delle scelte operate a Sacile e fin qui descritte hanno trovato piena conferma anche nell’acquedotto di un’altra cittadina avente le medesime caratteristiche e cioè a Portogruaro in provincia di Venezia. Lo schema idraulico di tale acquedotto vedeva campi pozzi, serbatoio di raccolta e compensazione a terra, centrale di sollevamento, serbatoio pensile ed infine rete di distribuzione del tutto simili a quelle descritte. Anche in questo caso invece di sostituire il serbatoio pensile di Portovecchio posto in testa alla rete ed avente un’altezza di soli 20 m con uno di maggior altezza, si è adottato il pompaggio con due regimi rispettivamente a bassa ed alta pressione definiti dalla soglia di portata e con utilizzazione del serbatoio pensile nel regime a bassa pressione. e pompaggio diretto in rete nell’altro. La costituzione degli impianti a potenziamento attuato e la loro gestione che dura ormai da oltre 20 anni sono identiche a quelle descritte prima per Sacile ed identici sono i benefici avuti. Se ne omette pertanto la descrizione limitandosi a confermare la bontà dell’intervento sia per quanto concerne il soddisfacimento dell’utenza sia l’economia di gestione ed, infine, la riduzione delle perdite occulte.

 

7. I PRINCIPALI RISULTATI CONSEGUITI

L’intervento di potenziamento di cui al presente lavoro ha consentito di chiarire importanti concetti sulla reale comportamento delle reti acquedottistiche concetti che, espressi in dettaglio negli altri articoli del sito, possono essere così riepilogati.
– Una rete di distribuzione d’acqua potabile soprattutto se a sollevamento meccanico, deve funzionare a pressione di partenza variabile asservita alle richieste dell’utenza. Deve pertanto essere abbandonata la regola, molto diffusa, in base alla quale tutti gli acquedotti dovrebbero essere dotati di serbatoio di testata che fissa in maniera irreversibile la pressione in testa alla rete.
– I consumi della rete non dipendono solo dalle richieste dell’utenza ma, almeno in parte, dalla pressione di esercizio. Ad esempio se per un determinato periodo la pressione di funzionamento è fatta aumentare, sempre restando entro i limiti di corretta consegna dell’acqua, aumenta anche la portata totale assorbita. Tale fenomeno, spiegato ampiamente nell’articolo “Fabbisogno, consumi, portate e perdite nella pratica di esercizio delle reti di distribuzione d’acqua potabile a sollevamento meccanico” dove sono riprodotti anche dei grafici di funzionamento reale degli impianti qui descritti, è dovuto non solo all’inevitabile crescita delle perdite occulte ma anche a quella del consumo reale dell’utenza.
– Le perdite di rete possono essere notevolmente contenute abbassando di notte la pressione di funzionamento della rete cioè limitandola entro valori appena sufficienti alla distribuzione delle modeste portate che l’utenza richiede durante le ore notturne;
– Occorre sovvertire la regola in atto che vede la produzione giornaliera d’acqua maggiore di quella notturna ed attuare tutti gli artifici possibili per aumentare, invece, la produzione notturna con cui sfruttare varie condizioni di favore come la maggior quota di falda ed il minor costo dell’energia elettrica. Il risultato può essere conseguito con una regolazione dei serbatoi di accumulo diversa da quella normalmente usata (Vedi articolo “La regolazione dei serbatoi di compenso degli acquedotti”)
– La presenza di un efficiente bay-pass e di valvole di ritegno del tipo contrappesate o a membrana atte a chiudersi, per effetto della proprio carico cinetico prima che si inverta il flusso dell’acqua, possono garantire un buon funzionamento degli impianti di sollevamento anche senza dispositivi particolari come le casse d’aria.
– La metodologia usata può essere ulteriormente migliorata usando, per il pompaggio diretto in rete, pompe a velocità variabile asservite al consumo dell’utenza, ed oggi facilmente reperibili in commercio.

 

8. CONCLUSIONI

Si sono descritte sommariamente delle opere effettivamente realizzate per il potenziamento di reti acquedottistiche di centri abitati di piccole dimensioni ma con caratteristiche moderne e razionali.
Da rilevare l’utilizzazione degli impianti esistenti e particolarmente del serbatoio pensile posto in testa alla rete di distribuzione senza dover rinunciare ad alcuni dei notevoli vantaggi che la tecnologia rende oggi disponibili per un esercizio corretto ed economico degli impianti, primo fra tutti il pompaggio diretto in rete a pressione variabile che, secondo l’opinione di chi scrive, ne costituisce uno dei concetti fondamentali.
Si sono fornite utili indicazione per l’attenuazione dei colpi d’ariete che il pompaggio diretto in rete inevitabilmente provoca ed infine per la regolazione dei serbatoi di compenso.
A conclusione dell’articolo corre l’obbligo di citare la “Compagnia Generale delle Acque” Società con sede a Venezia ed ora a Monselice (PD) per la qualità di progettazione, costruzione e gestione degli impianti descritti e, soprattutto, per aver dato modo a chi scrive, pur se in possesso di un titolo di studio modesto come è quello di geometra, di effettuare ampie ricerche e sperimentazioni dal vivo sia in Italia che in Francia presso la società “Compagnie Gènèrale des Eaux” di Parigi nota per l’alta tecnologia dei numerosi impianti dalla stessa costruiti e gestiti in tutta Europa.

 

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ACQUEDOTTI CON ELEVATE CAPACITA’ DI COMPENSAZIONE DELLE PORTATE E DI ACCUMULO ENERGETICO

 

Accumulo acqua ed energia

1) PREMESSA

Uno degli interventi basilari che in un futuro sempre più prossimo dovrà essere sistematicamente adottato per la risoluzione dei problemi legati all’approvvigionamento idropotabile, riguarda senza dubbio la costruzione di capaci serbatoi di accumulo atti ad effettuare la compensazione delle portate per periodi ben più lunghi di quelli giornalieri comunemente in atto. Si deve notare come, in una annata tipo, i periodi di consumo molto elevato sono statisticamente in numero limitato e quindi il modo più razionale per farvi fronte è proprio quello dell’accumulo delle eccedenze di portata operate nei giorni di basso consumo per renderle disponibili durante i successivi di grande richiesta e statisticamente di breve durata. Tale circostanza, se da un lato risolve un problema della massima importanza, dall’altro fa rilevare un grave difetto proprio dei sistemi acquedottistici e cioè un pieno uso delle strutture molto limitato nel tempo mentre per la stragrande maggioranza esse restano sottoutilizzate. Se poi si considerano le usuali modalità di progettazione degli acquedotti che impongono di dimensionarli in funzione del consumo massimo dell’ora di punta e per di più maggiorato, per ulteriore garanzia, di un buon 50% si arriva alla constatazione che i servizi idropotabili presentano di solito elevatissimi costi di costruzione ma una utilizzazione effettivamente molto scarsa che incide notevolmente nei costi di esercizio.
Lo scopo di questa nota è dimostrare come sia possibile costruire acquedotti che svolgono al meglio il loro compito 24 ore al giorno per 365 giorni all’anno, potendo disporre di due diversi regimi di esercizio: il primo che, impiegando interamente ed a soli fini acquedottistici tutte le risorse disponibili, fa fronte ai brevi periodi di consumo elevato, il secondo che le utilizza, durante tutto il tempo restante, in parte per alimentare l’utenza ed in parte per produrre energia elettrica. Se ne ricava un impiego costantemente razionale ed economicamente valido dei complessi e costosi impianti.

2) LA SOLUZIONE PROPOSTA

Fig. 1 = Schema idraulico

Il problema in argomento può essere ricondotto alla modalità di risoluzione dell’accumulo dell’energia eccedente il fabbisogno del momento allo scopo di poterla utilizzare nei successivi periodi di grande fabbisogno energetico. I dispositivi atti allo scopo e di cui è nota l’esistenza, sono costituiti soltanto dagli accumulatori elettrici che hanno però il grave difetto di una potenza molto limitata e dagli impianti idroelettrici reversibili basati su un doppio uso e cioè produrre energia elettrica di giorno e pompaggio d’acqua dal serbatoio inferiore a quello superiore sfruttando i cascami di energia elettrica durante la notte o durante i periodi di sovrabbondanza energetica. In questi ultimi tempi si sta pensando, con gli stessi scopi, all’impiego dell’idrogeno. Altre modalità in corso di sperimentazione concernono lo stoccaggio di di aria compressa a pressioni elevatissime ma trovano ostacolo nel riscaldamento che ne deriva e che provoca rilevanti dispersioni energetiche. Gli esempi sono comunque molto pochi e si può considerare ancora inesistente un valido metodo di accumulo energetico.
La soluzione che viene qui proposta è basata sull’impiego di un capace serbatoio idropneumatico atto allo stoccaggio di acqua in pressione durante i periodi in cui si rende disponibile energia elettrica a bassi costi.

Lo schema idrico del sistema, riportato nella fig. 1 allegata comprende:

– un serbatoio di accumulo di tipo tradizionale, avente una capacità pari almeno al 50% del consumo totale previsto per il giorno di massimo consumo, posto all’arrivo dell’adduzione e nel quale pescano tutte le pompe di sollevamento. Nulla vieta l’adozione di serbatoi di maggiore capacità con cui poter effettuare la compensazione multi giornaliera od addirittura multi settimanale ottenendo, sia ai fini acquedottistici e sia a quelli idroelettrici, risultati ancora più eclatanti di quelli di cui si parla in dettaglio nella presente nota e di cui si è fatto cenno nell’introduzione;

– l’impianto di pompaggio con immissione in rete per alimentarla in diretta tramite pompa a velocità variabile asservita alle pressioni anch’esse variabili che di ora in ora bisogna mantenere in rete;

– un secondo impianto di pompaggio per l’alimentazione del serbatoio idropneumatico tramite una serie di pompe a velocità fissa a funzionamento pulsante ma con diversificate pressioni di mandata, oppure tramite pompe a velocità variabile atte a coprire tutta la gamma di sollevamento di cui si discute;

– il collegamento diretto tra serbatoio tradizionale e serbatoio idropneumatico tramite condotta di collegamento munita di apparecchiatura di intercettazione servo comandata ;

– l’impianto per la produzione di energia elettrica tramite una serie di turbine alternatori (T) funzionanti a velocità e potenza variabili atte a sfruttare l’esistente carico idraulico tra i due serbatoi anch’esso variabile ;

un serbatoio idropneumatico di cubatura identica a quello tradizionale prima citato ed in grado di accogliere l’acqua con una pressione variabile in funzione del momento ma che può arrivare anche a 100 m ed oltre di colonna d’acqua.

Il concetto di base della soluzione proposta è dato dalla presenza dei due serbatoi funzionanti il primo alla pressione atmosferica ed il secondo a pressione maggiorata ad arte e quindi dalla possibilità che tutta l’acqua in arrivo durante la notte, ed in pratica per tutto il periodo in cui si può disporre di energia elettrica a basso costo, possa essere pompata nel serbatoio idropneumatico onde poterla sfruttare durante periodi successivi con il duplice scopo di alimentare l’utenza ed al tempo stesso di produrre energia elettrica preziosa che normalmente viene immessa nella rete Enel. Come detto anche l’acqua utilizzata per produrre energia elettrica viene restituita nel serbatoio tradizionale dove torna ad essere disponibile per l’alimentazione dell’utenza.

Sono previste due strutture innovative come il serbatoio idropneumatico e la turbina/alternatore funzionante a velocità variabile le cui caratteristiche principali possono essere riepilogate come segue.

1) Il serbatoio idropneumatico.
Si tratta di una struttura del tutto simile alle autoclavi normalmente utilizzate per aumentare la pressione di esercizio delle piccole reti acqedottistiche con la sola differenza delle dimensioni che, in questo caso, sono molto maggiori. In sostanza è un grande contenitore a tenuta ermetica che accumula acqua nella parte inferiore ed aria compressa superiormente. Ciò gli consente di svolgere le stesse funzioni di un serbatoio sopraelevato ma con il vantaggio di poter variare a piacere la pressione di uscita dell’acqua. Nel caso specifico è in grado di contenere grandi volumi d’acqua ad una pressione tanto maggiore quanto più alta è la potenza disponibile per il pompaggio di immissione. È munito di compressore per realizzare una volta tanto il cuscinetto d’aria e le valvole di scarico dell’aria stessa. Maggiori delucidazione del serbatoio idropneumatico possono leggersi nell’omonimo articolo presente nel sito e direttamente cliccando qui

2) La turbina-alternatore.
Si tratta di una serie di macchine in grado di funzionare a portata e pressione diversificate producendo energia elettrica in quantità variabile in funzione dei volumi e delle pressioni che si rendono via via disponibili ma avente tutte le caratteristiche per poter essere accolta dalla rete Enel. Gli alternatori dovranno quindi possedere organi di regolazione dell’eccitazione o qualche altra modalità di modulazione di funzione  che gli consentano di funzionare a velocità diversificate in funzione dei salti utili disponibili ma con buoni rendimenti ed inoltre possedere un sistema di inverter atti a stabilizzare la frequenza della corrente prodotta.
Il funzionamento normale sarà il seguente.
Nei periodi di grandi consumi tutti gli impianti devono essere adibiti alla funzione specifica dell’acquedotto e cioè all’alimentazione idropotabile dell’utenza. A tale scopo i due serbatoi funzioneranno in parallelo ed ambedue a pressione atmosferica essendo aperte le condotte di collegamento e le valvole dell’aria. Essi contribuiranno pertanto con il loro intero volume di invaso alla compensazione delle portate consentendo di far fronte ai picchi di richiesta dell’utenza grazie alla loro notevole capacità. Nel caso si sia scelta la soluzione di grande capacità si potrà dar luogo alla compensaziine settimanale o addirittura a quella quindicinale con tutti i vantaggi che ne derivano.
Terminato il periodo critico il serbatoio idropneumatico inizierà a svolgere la sua azione e saranno pertanto chiuse le valvole di collegamento con l’altro serbatoio e le valvole di scarico dell’aria mentre sarà ripristinato, con i compressori, il cuscinetto d’aria compressa e si darà inizio all’accumulo dell’acqua in arrivo in due diversi modi e cioè nel serbatoio idropneumatico ogni qualvolta si rende disponibile energia elettrica a basso costo come ad esempio durante la notte, oppure nell’altro serbatoio di tipo tradizionale negli altri casi.
La rete acquedottistica viene alimentata da una pompa a velocità variabile che pesca dal serbatoio tradizionale ed immette l’acqua direttamente in rete a pressione variabile in funzione delle richieste dell’utenza e quindi elevata di giorno quando esse sono massime e bassa di notte e nei periodi di basso consumo. Durante il giorno ed in genere quando la corrente elettrica è a costo maggiorato, entrano in funzione le turbine che producono corrente elettrica preziosa sfruttando l’acqua in pressione del serbatoio idropneumatico e che viene scaricata nel serbatoio tradizionale onde renderla disponibile per l’utenza.
A sua volta quest’ultimo serbatoio svolge un duplice ruolo potendo sia rifornire la rete seguendone a puntino le richieste oppure rifornire il serbatoio idropneumatico.
Interessante far notare la grande capacità di accumulo totale d’acqua dato dalla presenza dei due serbatoi ambedue in grado, tutte le volte che si presenta la necessità, di far pervenire in rete tutto il volume invasato in precedenza.

Ed ecco la descrizione di una normale giornata di funzionamento rappresentata nel grafico della fig. 2 e nella tabella allegati.

Fig. 2 = Grafico di funzionamento della giornata tipo

Durante la precedente notte tutta l’acqua in arrivo nel serbatoio tradizionale e quella accumulata in precedenza sono state pompate a pressione elevata nel serbatoio idropneumatico fatta eccezione per la piccola parte che è servita per alimentare in diretta l’utenza. Il sollevamento ha avuto luogo tramite la serie di pompe a giri fissi con funzionamento pulsante oppure, a seconda dell’installazione fatta, da pompe a velocità variabile, onde adeguare portata sollevata e la pressione alle condizioni del momento.

Al mattino (ore 5 nell’esempio) il serbatoio tradizionale è quasi vuoto mentre l’altro è al massimo invaso. Quando iniziano ad aumentare i consumi dell’utenza (ore 7) il serbatoio idropnematico comincia a svuotarsi per alimentare le turbine che producono corrente elettrica. Nel serbatoio tradizionale entra sia l’acqua dell’adduzione e sia quella scaricata dalle turbine e quindi c’è la disponibilità massima per l’ alimentazione dell’utenza nel mentre l’acqua in esubero rispetto ai consumi è immagazzinata nel serbatoio tradizionale stesso. Alle ore 17 il serbatoio idropneumatico è vuoto ed ha termine la produzione di energia elettrica. La notte successiva il ciclo si ripete con riempimento del serbatoio idropneumatico ed alimentazione in diretta della rete a bassa pressione.

Da notare come la notevole capacità di invaso dei due serbatoi consenta di utilizzare al meglio gli impianti di produzione idroelettrica potendo nelle ore notturne immettere nel serbatoio idropneumatico non solo la portata in arrivo dall’adduzione ma anche quella accumulata in precedenza nel serbatoio tradizionale. Ciò sarà meglio comprensibile esaminando il grafico ed i dati dell’esempio di una giornata tipo.

Resta da definire la pressione di funzionamento del serbatoio idropneumatico per la quale sussiste un buon grado di libertà per cui si può impostare il regime che meglio si adatta alle condizioni del momento. Infatti il funzionamento di tale struttura segue la regola di “Mariotte” raffigurata  nel grafico a lato dove sono visibili  le variazioni delle percentuali di riempimento in funzione della pressione. Sono tracciate in linea continua 6 diverse curve di esercizio che sono funzione dalla pressione iniziale dell’aria compressa immessa dai compressori. Ad esempio se si adotta la curva n. 2 è necessario all’inizio (ed una volta soltanto) immettere aria compressa a due bar il che significa appunto una pressione di due bar a serbatoio vuoto. Tramite pompaggio si otterrà un riempimento del 20% del volume totale del serbatoio con una pressione di 2.5 bar, del 50% con 4. Il limite massimo corrisponde ad un 80% di riempimento del serbatoio con 10 bar di pressione. La stessa pressione descritta si rende poi disponibile per il funzionamento delle turbine, ovviamente fatte salve le perdite di rendimento dell’insieme. Qualora si volesse operare a maggior pressione occorre scegliere una curva di valore più elevato come ad esempio la curva n.3. Si ritiene però consigliabile di contenere la pressione massima al valore di 10 bar per facilitare la regolazione delle turbine ed inoltre per contenere il riscaldamento-raffreddamento del cuscino d’aria durante le fasi di compressione-decompresione.

Nell’applicazione descritta si verificano variazioni di temperatura del cuscino d’aria temperatura che tende ad aumentare durante la compressione ed a diminuire in caso contrario. Si tratta degli stessi problemi che si sono incontrati nella ricerca di realizzare una modalità di accumulo di energia del tutto simile a quella qui presentata con la sostanziale differenza dell’impiego di aria compressa immagazzinata a pressioni elevatissime (fino a 500 bar), problemi che, in quegli esperimenti, si è tentato di superare immagazzinando il calore prodotto in speciali piastre metalliche ad alto assorbimento calorico ma che alla fine hanno decretato il fallimento di tale tecnica di accumulo energetico . Si ritiene che il problema non sussista nella soluzione quì proposta perché in questo caso il calore prodotto è modesto sia perché la variazioni di pressione in serbatoio è molto lenta sia perché è di valore molto piccolo. Nell’esempio riportato si passa da 2 a 10 bar in cinque ore durante le quali tutto il maggior calore dell’aria viene assorbito dal grande volume d’acqua che vi si trova a contatto e che pertanto aumenterà leggermente di temperatura. Il fenomeno contrario avrà luogo durante la successiva fase attiva di produzione energetica con decompressione dell’aria che avrà ben 10 ore a disposizione. Il cuscinetto d’aria, grazie al passaggio da 10 a 2 bar, si raffredderà facendo ritornare fresca anche l’acqua con cui è a contatto e che riprenderà la temperatura originale, fatte salve piccole perdite energetiche di valore del tutto trascurabile.

3) CONCLUSIONI

Si è descritto un sistema idrico atto a realizzare in primo luogo una notevole compensazione delle portate degli acquedotti e cioè di immagazzinare il surplus di portata caratteristica peculiare di certi periodi per restituirlo successivamente al verificarsi di richieste eccezionalmente elevate. Trova così compimento una operazione che, potendo riguardare perfino la compensazione quindicinale o addirittura mensile delle portate, rappresenta un risultato importantissimo nella gestione dei moderni acquedotti assillati da una carenza delle fonti sempre più sentita e difficile da colmare.
Il secondo scopo che si raggiunge è la piena utilizzazione di opere come quelle necessarie per l’accumulo di ingenti volumi idrici le quali in un regime acquedottistico normale rimarrebbero sottoutilizzate per lunghi periodi. Con le opere proposte si approfitta della notevole disponibilità di invaso per lunghi periodi per produrre energia elettrica preziosa in quanto prodotta nelle ore diurne di maggior pregio.
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LO SBARRAMENTO MOBILE DI FOCE

Lo sbarramento di foce

1. PREMESSA

Sono ben note le difficoltà in fatto di approvvigionamento idrico dovute alla inevitabile e continua diminuzione di portata delle fonti tradizionali a fronte di fabbisogni idrici che aumentano di anno in anno.
Oltre al rifornimento idropotabile, la crisi investirà particolarmente l’agricoltura che abbisogna di quantitativi molto ingenti del prezioso elemento anche a seguito del progressivo aumento delle aree da assoggettare ad irrigazione.
Per farvi fronte si pensa di utilizzare tutti i mezzi possibili come ad esempio i laghi artificiali da costruire mediante dighe di ritenuta ed atti ad immagazzinare l’acqua dei periodi piovosi per utilizzarla nelle altre stagioni, la metodologia Asr (Acquifer storage and recharge) che prevede, allo stesso scopo, di accumulare forzatamente nel sottosuolo ingenti quantitativi d’acqua durante le stagioni piovose, il riutilizzo delle acque reflue ed infine l’ampliamento e la razionalizzazione degli impianti di captazione delle fonti tradizionali come sono, per l’acqua potabile, quelle di falda e di sorgente e di acqua superficiale potabilizzata, per quella irrigua le prese di acqua superficiali dai fiumi per lo più distribuita grezza.
A giudizio di chi scrive tali mezzi, per le obbiettive difficoltà di esercizio ed per i danni ambientali che ne impediranno in molti casi la realizzazione, non saranno comunque sufficienti per coprire gli aumentati fabbisogni. Uno dei modi per avere a disposizione ingenti quantitativi del prezioso elemento è, a giudizio di chi scrive, quello di utilizzare in maniera diversa da come fatto finora, l’acqua fluente dei grandi fiumi Italiani.
Nella presente nota si analizzano sommariamente le modalità proposte a tale scopo e con il solo intento di sottoporle a discussioni e verifiche di fattibilità per il loro rilevante impegno economico, impatto ambientale ed infine per i rischi di vario genere che, a fronte di indubbi vantaggi, sono però insiti nella loro complessa attuazione. D’altro canto, se mai non si tentassero vie nuove, i vari problemi non sarebbero mai risolti.

2. CARATTERISTICHE DELL’ACQUA FLUENTE NEI FIUMI

I fiumi sono i naturali ricsbarramento di foceettori di tutte le acque che scorrono in superficie e nei primi strati di terreno per tutta la superficie del bacino imbrifero che ognuno di essi sottende.
Vi si raccolgono tre tipi principali di acque:
– quelle naturali che provengono dalle sorgenti, dagli affluenti, dai vari compluvi di tutto il bacino imbrifero e che vi si raccolgono durante i periodi piovosi, quelle che provengono dai primi strati del sottosuolo permeabile cioè dalle acque di percolazione derivate da atmosfera o da corsi d’acqua che costituiscono la falda freatica ed infine quelle dovute allo scioglimento dei ghiacciai montani. In alcuni casi sussiste uno scambio alternato da stagione a stagione tra falda freatica e fiume e da fiume a falda;
– le acque degli scarichi reflui dei centri abitati e delle aree industriali situati all’interno del bacino imbrifero che vengono tutte scaricate nel fiume o nei suoi affluenti dopo aver subito tutte od in parte il trattamento di depurazione. Fanno eccezione i centri posti in prossimità del mare che scaricano direttamente in quest’ultimo;
– le acque di risulta dell’irrigazione delle campagne che finiscono nel fiume di solito cariche di materie inquinanti.

Per l’efficacia delle opere che qui vengono proposte è richiesta obbligatoriamente la depurazione preventiva delle acque di scarico degli impianti fognari di tutti gli abitati e delle zone industriali mentre per quelle dell’irrigazione agricola deve essere evitato ogni tipo di inquinamento delle falde o degli emissari.
In altri termini la condizione di base, in ogni caso necessaria per la salvaguardia ambientale e comunque imposta dalla norme di legge, è quella che vede già completata la realizzazione di tutti gli impianti di depurazione in modo da avere i fiumi percorsi da acque che abbiano riacquistato la purezza che avevano in origine e nelle quali vivano, come un tempo, i pesci. Se tali condizioni non fossero in futuro raggiunte ed i fiumi fossero invece costretti a ricevere grandi quantitativi di sostanze inquinanti, come accade ai nostri giorni, sorgerebbero problemi così gravi per l’ambiente che quello della scarsità d’acqua e del rimedio che qui viene proposto passerebbero in secondo ordine.
I fiumi che qui si considerano sono, in definitiva, esclusivamente quelli percorsi, nella parte finale del loro alveo che è quella che maggiormente interessa il presente lavoro, da grandi portate d’acqua dolce, priva di ogni tipo di materiale inquinante ed in quantitativi molto variabili nel tempo in funzione dell’andamento meteorologico del bacino tributario. Si possono distinguere tre regimi principali:
– regime di portata media e di morbida. E’ questa la situazione normale che non presenta problemi particolari;
– regime di magra durante il quale, a causa della siccità, la portata diminuisce in maniera sensibile fino a provocare, in alcuni casi, disagi nell’alimentazione dei vari servizi . Al verificarsi di siccità eccezionali il livello dell’acqua alla foce del fiume ed anche nella parte terminale del suo alveo, assume livelli inferiori di quelli della marea il chè provoca la risalita del cuneo salino lungo l’asta del fiume con tutti i maggiori problemi che ciò comporta nei riguardi degli utilizzatori.
– regime di piena conseguente a piogge particolarmente intense e prolungate che richiedono eccezionali misure per il convogliamento e lo scarico a mare di ingenti portate. In questo caso non è raro che l’acqua sia torbida per la presenza in sospensione di sabbie finissime o limi raccolti dalle copiose acque lungo il loro tragitto.

3. LO SBARRAMENTO MOBILE DI FOCE

L’opera che viene qui descritta è lo sbarramento di foce, finora realizzato solo in fiumi di secondaria importanza e, a quanto risulta allo scrivente, con il solo scopo di evitare la risalita del cuneo salino lungo l’asta nel mentre, con differenti modalità costruttive e di utilizzazione e previa esecuzione di lavori di sistemazione delle arginature, si ritiene possa svolgere funzioni ben più importanti.
E’ noto come i maggiori fiumi italiani siano muniti nella loro parte terminale di alte arginature costruite allo scopo di contenere le portate di piena. Spesso le arginature comprendono non solo l’alveo vero e proprio ma anche ampie aree golenali che normalmente sono asciutte ma che vengono utilizzate per aumentare notevolmente la portata che essi possono addurre e scaricare in mare e così far fronte anche alle piene eccezionali.
La costruzione dello sbarramento mobile di foce, che viene qui proposto, consiste nella realizzazione, in prossimità dello sbocco a mare, di una traversa di intercettazione di tutta la sezione del fiume con possibilità della sua apertura totale o parziale al fine di consentire lo scarico di portate regolabili in funzione delle disparate necessità che il sistema presenta. Lo sbarramento deve essere in primo luogo in grado, mediante opportuna manovra degli organi mobili, di scaricare a mare in caso di piena, tutta l’acqua in arrivo da monte ed in secondo luogo di trattenere, regolando la portata di transito, i volumi in eccesso rispetto a quelli da scaricare in ogni caso a mare, costituendo un invaso che, oltre all’alveo vero e proprio, comprenda anche i volumi delle golene fino alla sommità arginale e per uno sviluppo verso monte il più esteso possibile. Allo scopo gli argini, come accennato, devono essere sistemati ed adeguati alle nuove funzioni che sono chiamati a svolgere ovviando, in particolare, alla diminuzione di portata che la barriera mobile provoca inevitabilmente nella adduzione e nello scarico a mare ed assicurando il contenimento del massimo volume di invaso possibile.
In pratica la parte terminale dei fiumi, con le opere che qui si propongono, sarebbe trasformata in un lungo lago caratterizzato da ingenti portate sia in ingresso che in uscita e dal quale, grazie anche al grande volume di invaso che ne consente la compensazione, sarebbe possibile prelevare durante tutto il corso dell’anno e quindi anche nei periodi di magra del fiume, notevoli portate da utilizzare ai diversi fini.
Un secondo scopo, determinante ai fini dell’utilizzazione delle acque fluenti, è quello inerente la risalita del cuneo salino durante i periodi di grande siccità, che risulta impedita nella maniera più assoluta dalla presenza della barriera e da un livello di invaso notevolmente più elevato rispetto a quello di marea.
Infine l’entrata dell’acqua fluente nel lungo bacino di accumulo nel quale la velocità si riduce praticamente a zero, garantisce la decantazione di tutto il materiale in sospensione rendendo più facile il trattamento di potabilizzazione necessario per gli usi idropotabile e consentendo, per gli usi irrigui, industriali e vari, di distribuirla nello stato in cui si trova cioè senza alcun trattamento. Soltanto in caso di piene eccezionali del fiume può verificarsi il caso in cui l’acqua del bacini sia resa torbida dalla presenza di sabbie fini e limi in sospensione. Gli impianti di potabilizzazione e quelli di produzione di acqua per le industrie dovranno, allo scopo di farvi fronte, essere dotati di decantazione propria da mettere in servizio in tali casi, nel mentre nessun problema dovrebbe sussistere per i rifornimenti di acqua irrigua, che quantitativamente sono i più rilevanti, in quanto durante i periodi particolarmente piovosi come sono quelli in argomento, sono, generalmente, sospesi.
Si deve anche rilevare come l’utilizzazione dell’acqua fluente secondo le modalità che qui vengono propugnate, realizza indirettamente, ed in modo totalmente razionale, una delle condizioni che saranno in futuro essenziali per poter disporre dei quantitativi necessari ai diversi usi della popolazione, delle industrie e dell’agricoltura e cioè il riutilizzo delle acque reflue opportunamente trattate che tutte le attuali disposizioni di legge e le necessità obbiettive, richiedono.

Esempio schematico di territorio organizzato per ll completo riciclo delle acque

In pratica l’intero ciclo delle acque subisce, con le opere in argomento, una profonda trasformazione con grande semplificazione delle procedure. Le città poste all’interno del bacino imbrifero sotteso potranno immettere direttamente nel fiume le loro acque reflue di fognatura limitandosi a sottoporle soltanto al processo depurativo necessario per farle rientrare entro i imiti di accettazione allo scarico. La loro riutilizzazione, atta a realizzare il prescritto ciclo ripetitivo in base al quale nessun tipo di acqua proveniente dai vari acquedotti potrà essere scaricata a mare ma dovrà invece essere più e più volte utilizzata per soddisfare compiutamente i vari fabbisogni, avrà luogo, in maniera razionale, alla foce dove esse alla fine sono destinate a pervenire per essere riprese e riutilizzate. Nella figura è riportato lo schema di un territorio organizzato per il completo riciclo delle acque ottenuto tramite barriera di foce . Sono indicati diversificati centri urbani dotati di fognatura, segnata in colore rosso, che scarica la acque reflue nel fiume nel mentre i vari acquedotti (segnati con colore nero) sono alimentati dall’impianto di potabilizzazione del invaso di foce . Solo le città alimentate d’acqua potabile proveniente dagli impianti di foce in oggetto ma ubicate al di fuori del bacino imbrifero da essi sotteso dovranno prevedere la potabilizzazione delle loro acque reflue in quanto, solo in tale caso, detto ciclo ripetitivo sarebbe interrotto.
Da notare come vengano anche ad essere eliminati tutti gli inconvenienti dati dalla diversificata localizzazione degli eventi piovosi all’interno del bacino tributario poichè tutte le acque di pioggia, comunque dislocate, finiscono per arrivare al lago di foce. Al riguardo se si analizza la relazione esistente fra qualità delle acque in arrivo al bacino e la loro provenienza si può affermare che quelle di pioggia derivano per la maggior parte dalle zone montagnose che statisticamente hanno un indice di piovosità più elevato e quindi forniscono un importante contributo idrico anche durante i periodi estivi mentre quelle di depurazione delle acque reflue provengono per la gran parte dalle zone di pianura dove sono ubicati i maggiori centri urbani ed industriali rendendo possibile l’utilizzazione delle ingenti portate di fognatura, soprattutto estive, che li caratterizzano. Viene vieppiù confermata la validità delle opere proposte in quanto atte all’utilizzo di acque le cui diversificate qualità, provenienza e distribuzione temporale durante l’annata si integrano a vicenda. Non ultimo, tra tutti, il contributo acqueo offerto dallo scarico degli impianti di produzione idroelettrica situati nelle zone montane poste all’interno del bacino imbrifero, di solito muniti di laghi con invasi assai capaci, anch’esso destinato a pervenire a fiume.
E’ necessario, come già ripetuto, che tutte le acque scaricate, di qualunque provenienza esse siano, presentino caratteristiche chimico-fisiche e batteriologiche, rientranti entro i limiti di accettazione fissati dalla legge per lo scarico nel fiume, pena la necessità di complesse e inattuabili operazioni di depurazione finale. Si pensi ai diversi processi industriali che inquinerebbero in vario mondo il flusso d’acqua rendendone praticamente impossibile l’utilizzazione. E’ invece necessario che ogni industria provveda, prima dello scarico in fiume, alla depurazione fino a far rientrare le acque scaricate entro determinati limiti di accettabilità allo scarico.
La realizzazione della barriera mobile di foce comporta anche degli inconvenienti di più ordini.
Innanzitutto essa provoca una profonda trasformazione delle caratteristiche ambientali data dalla innovativa presenza di un lago in sostituzione di una parte del corso d’acqua. Ci si augura però che esso non costituisca un elemento negativo visto e considerato che per la sua costruzione si prevede di occupare aree per lo più abbandonate e di poco pregio come sono quelle dell’alveo del fiume quando è in magra o di aree agricole precarie come sono quelle golenali e, visto e considerato che la presenza del lago può essere positiva nei riguardi del turismo, della fauna ittica e di quella acquatica in genere. Sarà quindi necessario uno studio ed una progettazione accurata delle opere in modo da diminuirne l’impatto ambientale ottenendone, alla fine, risultati nettamente positivi.
In secondo luogo la presenza delle paratoie di regolazione ed in genere della barriera attraversante l’asta del fiume provoca delle perdite di carico concentrate con inevitabile aumento nel livello di monte assolutamente intollerabile durante le piene eccezionali del corso d’acqua. Diventa quindi della massima importanza il corretto dimensionamento degli organi mobili ed un rialzo degli argini atto a ripristinarne la piena funzionalità. Questi ultimi, la cui funzione era un tempo limitata allo scorrimento delle acque di piena nel loro moto continuo verso valle, cambiano destinazione e devono invece contenere acque aventi una velocità praticamente nulla per tutta l’estesa dell’invaso. Si rende quindi necessaria una loro revisione con adattamento della quota di sommità al nuovo regime cercando di dare al bacino di accumulo quella maggior lunghezza verso monte che le condizioni locali consentono.
Per mantenere la continuità idrica tra bacino e mare aperto, utile anche per l’interscambio della fauna ittica da mare a fiume e viceversa, lo scarico finale non dovrà aver luogo tramite lame d’acqua sfioranti superiormente alla barriera che, di fatto provocherebbero una interruzione, bensì tramite scarico sotto battente e quindi direttamente nel fondo dell’invaso mediante movimento verso l’alto di ogni paratoia con apertura della luce di scarico nella parte inferiore a contatto con la platea di base e con altezze libere che variano da zero alla quota di massimo invaso del bacino in funzione delle portate che vi debbono transitare. Ciò, oltre al citato transito dei pesci, agevolerà lo scarico a mare di eventuali materiali solidi depositati in bacino e di quelli in sospensione nell’acqua che, per il maggior peso specifico, tenderanno a portarsi alle massime profondità.
Onde evitare l’interramento del bacino dovuto al deposito di sabbie fini e limi che, in occasione delle piene, si accumulano soprattutto nella parte di monte dell’invaso ed inoltre per non privare la costa del mare dei continui apporti di sabbie che normalmente le arrivano da monte, si dovrà prevedere la svuotatura dell’invaso con manovre atte ad assicurare, ad intervalli regolari e senza provocare conseguenze negative nei prelievi, lo scarico a mare di tutti i materiali di depositati in bacino.
I filtri di presa delle acque dovranno essere ubicati il più a valle possibile e posti, essendo montati su zattere flottanti, a qualche metro al di sotto del pelo libero in modo da garantire che la captazione abbia luogo anche nelle condizioni di livello minimo garantendo al tempo stesso le migliori caratteristiche fisiche ed organolettiche essendo le eventuali materie estranee in sospensione nell’acqua normalmente situate nella parte più profonda.
Un ulteriore inconveniente derivante dalla presenza dello sbarramento è quello inerente la navigazione da diporto, pesca o di altro genere. Per ovviarvi dovranno essere prese importanti cautele e, in certi casi, realizzate imponenti opere. Se alla foce del fiume esistono porti o canali per la navigazione, l’attracco o la sosta di imbarcazioni per turismo, pesca od altro, sarà sufficiente spostare lo sbarramento più a monte in modo da non interferire con l’attività nautica. Quando invece è tutta l’asta del fiume ad essere navigabile ed accessibile da mezzi natanti provenienti o diretti al mare aperto, sarà necessario affiancare allo sbarramento una conca di navigazione di adatte dimensioni. La conca, durante i periodi di piena eccezionale, potrà contribuire efficacemente allo scarico a mare delle portate del fiume.

4. L’UTILIZZAZIONE DEL LA BARRIERA PER LA PRODUZIONE DI ENERGIA ELETTRICA

Quando la barriera viene inserita in fiumi importanti caratterizzati da rilevanti portate continue da scaricare in mare, può rivelarsi interessante la produzione di energia elettrica. In questo caso il carico idraulico esistente in corrispondenza della barriera e dato dal dislivello sempre presente tra massimo invaso e marea, anzicchè essere dissipato dalle paratoie durante lo scarico finale in mare delle acque residue, può essere sfruttato inserendo direttamente nella barriera oppure su apposito condotto di derivazione di grande sezione, delle turbine funzionanti a bassa prevalenza ma con grandi portate come sono quelle in gioco. Si tratta di ricavare dalle opere che vengono qui proposte un ulteriore vantaggio da prendere in seria considerazione in questi tempi caratterizzati da una grande carestia di energia elettrica. Esiste una ulteriore possibilità, per la cui utilità occorrono però analisi molto approfondite, ed è quella di prevedere l’installazione di macchine reversibili cioè di turbine che possono essere usate come pompe e di alternatori che, all’occorrenza, diventano motori elettrici. Si tratta di una modalità spesso attuata in negli impianti idroelettrici cosiddetti di accumulo nei quali si recupera durante la notte l’energia elettrica in esubero. Tali impianti in altri termini di giorno utilizzano nelle ore diurne il salto idrico per produrre energia, la notte consumano energia elettrica di basso costo per sollevare l’acqua nel bacino superiore. Nel nostro caso la presenza di macchine reversibili cioè atte a funzionare anche come pompe di sollevamento, potrebbe contribuire durante le piene eccezionali, ad aumentare la portata finale scaricabile a mare dalle opere di sbarramento. La cosa presenta una certa incertezza data dal fatto che le portate in gioco, in caso di piena eccezionale del fiume, assumono valori così elevati che l’apporto dato dalle pompe potrebbe diventare irrisorio. Altri interrogativi sono posti dalla velocità di rotazione che deve assumere la pompa per riuscire ad aumentare la portata, di per sé già molto rilevante, che attraversa il canale di derivazione durante le piene. Si tratta comunque di una possibilità che in sede di progettazione delle opere dovrebbe essere comunque verificata sulla base dei dati reali di funzionamento.

5. L’ESERCIZIO DELLA BARRIERA MOBILE

Gli scopi da raggiungere con una corretta gestione delle opere qui descritte ed in particolare con la regolazione delle paratoie di scarico finale sono i seguenti:

1) mantenere l’invaso ad una quota il più elevata possibile onde consentire il prelievo di tutte le portate che necessitano per il soddisfacimento dei fabbisogni idropotabili, irrigui ed industriali dell’utenza, senza provocare danni all’ambiente e quindi mantenendo, grazie alla ottima compensazione possibile, le portate scaricate a mare entro il limite minimo necessario per l’ambiente. Lo svaso parziale o totale del bacino avrà luogo soltanto al verificarsi di siccità eccezionali. Sarà in tali occasioni che il sistema darà i frutti migliori rendendo possibili cospicui prelievi utili soprattutto per l’irrigazione agricola che è quella che necessita, in tali periodi, dei maggiori quantitativi del prezioso elemento liquido. Per il successivo ripristino dei livelli di invaso, il bacino potrà usufruire di tutti gli eventi piovosi comunque ubicati all’interno dell’ampio bacino imbrifero sotteso ed inoltre di tutti i volumi scaricati dagli impianti fognari dell’intero bacino.

2) assicurare lo scarico delle portate di piena senza danni. Lo scopo sarà raggiunto con un accurato dimensionamento degli organi mobili e con adeguato rialzo degli argini. Lungo tutta l’asta del fiume ed anche in quella degli affluenti principali, e quindi anche a notevole distanza dalla foce, saranno installate le apparecchiature di rilievo e trasmissione automatica ed in tempo reale dei livelli in modo da poter programmare, in anticipo rispetto alle portate realmente in arrivo al bacino, la regolazione delle paratoie di foce in funzione anche delle previsioni meteorologiche e di quelle di richiesta idrica dell’utenza. Dovranno essere in particolare previste in anticipo le ondate di piena e predisposta la svuotatura parziale o totale del bacino in modo da poterle accogliere e smaltire senza danni di sorta. In regime di piena eccezionale e quindi con paratoie totalmente aperte il fiume dovrà possedere una capacità di trasporto e scarico non inferiore a quella che aveva prima della costruzione dello sbarramento di foce. Ancora più accurata e difficoltosa risulterebbe la programmazione degli invasi e degli svasi qualora lo sbarramento fosse dotato anche di centrali per la produzione di energia elettrica in quanto sarebbero in tal caso da contemperare le esigenze di derivazione d’acqua per i vari scopi con quelle della produzione di energia elettrica.

3) Evitare nella maniera più assoluta la risalita del cuneo salino nell’invaso e quindi in tutta l’asta del fiume.

4) assicurare lo sgombero dei materiali sabbiosi e dei limi che si depositano nel bacino tramite apertura totale delle paratoie ad intervalli regolari.

5) Consentire, se necessario tramite conche di navigazione che consentano ai natanti di superare il dislivello tra mare e invaso, la navigazione fluviale e di collegamento con il mare aperto.

6) Eventuale produzione di energia elettrica

L’ipotesi qui esaminata si riferisce allo sfruttamento massimo del bacino di foce ma, ovviamente, può presentare un certo interesse anche una sua utilizzazione parziale ottenuta limitando il livello di invaso ad una quota inferiore a quella massima prima indicata come pure avere necessità di lasciare la barriera completamente aperta ripristinando per un determinato periodo il corso originario del fiume. Ne deriverebbe un minor impatto ambientale sia continuativo come pure per periodi più o meno brevi in funzione delle effettive necessità idriche.

6. ESEMPIO DI BACINO DI FOCE

La risalita del cuneo salino nell’Adige. Notare le pile per sbarramento

Uno dei fiumi italiani che meglio si prestano alla costruzione dello sbarramento di foce, per i notevoli vantaggi che se ne potrebbero ricavare, è senz’altro l’Adige.
E’, per importanza, il secondo fiume d’Italia, con la sua lunghezza di 410 Km, un bacino imbrifero di ben 12200 Kmq assicura una portata media annua di ben 214 mc/sec. Lungo il suo corso e in quello dei suoi affluenti, sono molte le opere esistenti per l’utilizzazione del suo imponente volume idrico: impianti idroelettrici, irrigui e per alimentazione idropotabile di importanti centri abitati. Lungo il suo corso è stata costruita anche un’opera eccezionale quale è la galleria che lo collega al lago di Garda allo scopo di potervi deviare, in caso di necessità, grandi portate. Anche questo fiume soffre dell’inconveniente della risalita del cuneo salino lungo la parte terminale dell’asta che impedisce, in periodi estivi particolarmente siccitosi, la sua utilizzazione ai fini irrigui ed idropotabili.

Vengono qui indicati alcuni elementi di larga massima ma che possono dare un’idea dei grandi vantaggi che potrebbero aversi con la costruzione dello sbarramento di foce. I dati principali approssimati sono riportati nell’allegato profilo schematico. In esso sono tracciati, con scala delle altezze maggiorata mille volte rispetto a quella delle lunghezze, l’andamento degli argini attuali e del pelo libero in regime di portata media aventi una pendenza media dello 0,25 per mille e quello di magra, presunto con una minor quota idrica di 2 m, avente la parte terminale rigurgitata dal livello di marea. Sono indicati anche un rialzo degli argini per una estesa di circa 5 Km variabile da zero a m. 1.50 presso la foce e necessario per quanto detto in precedenza ed al fine di valutarne i benefici in termini di maggior invaso. Si tratta chiaramente di ipotesi di larga massima formulate al solo scopo di fornire una indicazione sommaria delle opere che vengono proposte.
Si può notare come, considerando gli argini allo stato attuale ed in regime di portata media, il volume invasabile è stimato in circa 6.400.000 mc dato dal cuneo a profilo triangolare compreso tra il pelo libero avente, come già detto una pendenza media dello 0.25 per mille e quello rigurgitato e praticamente orizzontale dovuto alla presenza della barriera di foce. Con la sopraelevazione prima indicata di soltanto 1.5 m degli argini per 4.5 Km nella parte terminale potrebbero aversi altri 4.600.000 utili.
Se si esamina invece il fiume in magra cioè nelle condizioni in cui statisticamente si ha un maggiore prelievo dal fiume per scopi irrigui, idropotabili o per usi vari, si hanno altri 4.200.000 mc con gli argini attuali che aumentano di altri 1.600.000 mc con il loro rialzo.
In definitiva i volumi totali di accumulo utilizzabili nelle varie condizioni sono io seguenti:
In regime di portata media:
– con gli argini attuali : mc 6.400.000
– con gli argini sistemati : mc 11.000.000
In regime di magra ( 2 m. sotto il livello normale)
– con gli argini attuali : mc 15.200.000
– con gli argini sistemati : mc 16.800.000

 

Profilo schematico dello sbarramento alla foce del fiume Adige

Considerato che il fiume Adige ha una portata media annua di 214 mc/sec. e con un volume di invaso di 16.800.000 di mc stimato come sopra per un regime di magra, si potrebbe prevedere, in prima ipotesi, di prelevare una portata media di ben 100 mc/sec , restando garantita una compensazione delle portate approssimativamente valida per almeno una quindicina di giorni il che significherebbe poter colmare il divario esistente tra prelievi istantanei ed apporti liquidi con la pregiudiziale che nel frattempo avessero a verificarsi apporti liquidi di piogge comunque ubicate all’interno del vastissimo bacino imbrifero, scarichi vari come sono quelli degli impianti idroelettrici esistenti nelle aree montagnose od apporti dei sistemi fognanti delle grandi città site più a valle, atti a coprire i prelievi. In seconda ipotesi si può prevedere il prelievo di una portata media di 50 mc/sec. Il periodo passerebbe da 15 ad un mese. Per una compensazione trimestrale il prelievo si riduce a circa 20 mc/sec. Si tratta in ogni caso di prelievi notevolissimi.
Come già spiegato i dati sono molto approssimati e sono riportati solo per dare una indicazione di larga massima. Per una migliore determinazione occorrerebbe tener conto di numerosi fattori tra i quali di primaria importanza le portate reali del fiume quali risultano dagli annali idrografici di un lungo periodo.
Da notare come l’alveo dell’Adige sia costituito dalla sola asta del fiume avente un larghezza quasi costante per tutto la parte terminale e pari a circa 150 m, in quanto non sono presenti aree golenali. Altri fiumi come il Piave o il Tagliamento ne possiedono invece alcune molto vaste, normalmente asciutte, e che vengono utilizzate solo durante le piene eccezionali. La costruzione della barriera di foce in tali fiumi darebbe come risultato immediato la costituzione di un volume di invaso molto superiore, in rapporto con la più modesta portata del fiume, a quello esaminato per l’Adige e quindi con risultati proporzionalmente ancora migliori di quelli prima descritti. Il Tagliamento è provvisto di uno scaricatore di piena denominato Cavrato, avente un’area enorme attualmente adoperata solo per scaricare le piene eccezionali area che, se munita anch’essa di barriera alla foce, presenterebbe una enorme capacità di invaso da aggiungersi a quella ricavata dall’asta del fiume vera e propria con le modalità prima indicate per l’Adige.

7. LONDRA: UN ESEMPIO SIGNIFICATIVO

Viene citato, non solo per le sue originali e funzionali caratteristiche costruttive ma anche e soprattutto per la diversa loro utilizzazione decisa in tempi recenti, un’opera imponente come lo sbarramento del Tamigi realizzato vicino a Londra. Come risulta dal disegno indicativo e dalle foto allegati, il manufatto, ultimato nel 1984, comprende una serie di paratoie a settore cilindrico ciascuna lunga una sessantina di metri ed alta una ventina ed aventi in origine lo scopo di proteggere Londra dagli allagamenti provocati dalle alte maree. A tale scopo, durante il trascorso ventennio, la barriera è rimasta sempre aperta con la eccezione di sole quattro o cinque volte l’anno in cui, a seguito di previsioni di marea particolarmente alta, la sua manovra preventiva ha salvaguardato Londra dagli allagamenti. Ovviamente per tutta la durata di chiusura, le acque del Tamigi, trattenute dalla barriera, sono state accumulate all’interno degli argini del fiume, per essere poi scaricate a mare alla fine del periodo di alta marea.

Sezioni schematiche dello sbarramento di Londra

La crisi idrica che ai nostri giorni interessa tutte le nazioni, Inghilterra compresa, ha negli ultimi anni indotto i responsabili del servizio idrico di Londra a cambiare radicalmente, almeno nelle intenzioni, l’uso della barriera e, senza nulla togliere alla sua funzione principale che resta quella di proteggere la città dagli allagamenti, poter anche sfruttare ai fini idropotabili il grande volume d’acqua dolce dell’invaso che tramite di essa è sempre possibile accumulare. Allo scopo è sufficiente modificare l’esercizio della barriera e, invece di lasciare un’opera così imponente sempre aperta e quindi inutilizzata per la quasi totalità dell’anno, mantenerla parzialmente chiusa e regolata in modo da avere a monte un livello idrico più elevato che impedisca la risalita del cuneo salino e, al tempo stesso, accumulare un grande volume d’acqua dolce.
E’ facile constatare come quella descritta sia esattamente la stessa funzione svolta dalle barriere mobili che nel presente capitolo è stata solo ipotizzata mentre invece a Londra è stata suggerita da uno stato di fatto reale come la presenza della barriera e degli invasi che tramite la stessa vengono di fatto realizzati.
E’ quindi confermata da una circostanza reale l’opportunità di estendere l’uso della barriera mobile di foce in altri fiumi secondo le regole prima indicate. Viene qui di seguito riportata letteralmente una parte dell’articolo pubblicato sul n. 2 del marzo-aprile 1995 della rivista “IDROTECNICA” sull’argomento e che documenta il momento di passaggio dall’una all’altra modalità di gestione dell’opera.
“In questi ultimi anni sono stati approfonditi studi per un utilizzo permanente dello sbarramento come opera di regolazione, oltreché di difesa. L’opera potrebbe garantire una variazione dei livelli di marea intorno ai 2 m riducendo gli inconvenienti delle forti velocità idriche (fino a 6-7 m/s) nel tratto metropolitano. Ciò comporterebbe inoltre vantaggi di natura ricreativa per la città, ma, soprattutto, di approvvigionamento idrico, potendosi prevedere, con la drastica riduzione della salinità, la formazione di un serbatoio strategico nel centro di Londra che risolverebbe la domanda idrica nella bassa valle del Tamigi. “

 

8. CONCLUSIONI

E’ stata indicata una modalità di utilizzazione dell’acqua fluente nei fiumi principali diversa da quella in uso e tesa alla risoluzione dei gravi problemi di carenza idrica che attanaglieranno la futura società.
Dalla ricerche fatte da chi scrive non risulta ancora attuata alcuna opera del genere: probabilmente la motivazione và ricercata nelle difficoltà obbiettive che essa presenta

Lo sbarramento di Londra

nei riguardi dell’ambiente, nella difficoltà che presenterebbe la regolazione delle portate di piena dei fiumi ed infine nell’esercizio essendo, in definitiva, una proposta di grande impatto e di grande impegno economico.
Si ritiene però che sia utile affrontarne la discussione per l’indubbio interesse che, a giudizio di chi scrive, essa, opportunamente verificata e corretta, presenterebbe. Sarebbero pertanto oltremodo graditi interventi critici dei lettori volti a mettere in luce gli aspetti sia negativi che positivi della soluzione oppure volti a modificarla e a migliorarla.

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LA RISOLUZIONE DELLE EMERGENZE IDROPOTABILI MEDIANTE SERBATOI SOTTERRANEI DI INTEGRAZIONE DEI BACINI ARTIFICIALI

serbatoi integrativi

 

1. PREMESSA

Nelle regioni, soprattutto del meridione d’Italia, afflitte da sistematiche crisi nel rifornimento idrico, si usa ricorrere all’utilizzazione dell’acqua accumulata, durante antecedenti periodi di intensa piovosità, in bacini artificiali creati mediante dighe di ritenuta. Sono ben noti gli inconvenienti che tali opere presentano per quanto riguarda l’impatto ambientale e per il pericolo di franamento delle sponde dei laghi. Se si aggiungono il problema delle rilevanti perdite d’acqua dagli invasi per l’evaporazione causata da irraggiamento solare e quello dell’interramento cui gli stessi sono inevitabilmente soggetti e che finirà per comprometterne in futuro la funzionalità, si ottiene un quadro niente affatto incoraggiante della situazione. In realtà regioni come la Sicilia o la Sardegna dove ingenti sono stati i capitali profusi per la costruzione di opere come quelle indicate, il problema del rifornimento idropotabile della popolazione è lungi dall’essere risolto né si può prevedere lo sia in un futuro più o meno lontano quando l’aumento dei consumi specifici richiederà volumi d’acqua ancora maggiori. Viste le premesse non si ritiene logico continuare nell’azione intrapresa e cioè riempire il territorio di dighe e laghi artificiali come quelli descritti. Occorre invece ricercare soluzioni diverse, che si integrino perfettamente con quelle citate aumentando la disponibilità d’acqua senza provocare danni all’ambiente. Saranno gli studi in corso per la ricarica artificiale di falda, quelli per la creazione, mediante diaframmi di impermeabilizzazione, di capaci bacini sotterranei ed altre ricerche del genere, tutte tese a trasferire nel sottosuolo gran parte dei servizi dannosi in superficie, che produrranno in futuro risultati molto interessanti. Nel frattempo una delle soluzioni dalla quale si possono ottenere immediati grandi benefici si ritiene possa essere la costruzione di grandi serbatoi costituiti da gallerie in roccia secondo le indicazioni sommariamente riportate nel presente lavoro.

2. CARATTERISTICHE GENERALI DELLE OPERE PROPOSTE

Un serbatoio galleria costruito mezzo secolo fa e perfettamente funzionante

Lo scopo da raggiungere con le opere in progetto consiste soprattutto nella raccolta, nel territorio interessato, del maggior quantitativo d’acqua possibile ed inoltre nel garantirne la conservazione per un lungo periodo senza che le sue caratteristiche chimico-fisiche ed organolettiche abbiano a subire alterazioni di rilievo. Il manufatto che meglio vi si presta è senza dubbio il serbatoio galleria scavato nella roccia e rivestito internamente in calcestruzzo che si vuole qui esaminare in dettaglio. Si tratta in pratica a di adibire un’opera come il tunnel, che normalmente è usato per scopi completamente diversi come sono ad esempio quelli legati alla viabilità oppure all’adduzione dell’acqua degli impianti idroelettrici, ad un uso insolito come è quello di fungere da grande contenitore d’acqua potabile. Il serbatoio che così si ricava, avendo una modesta sezione trasversale ma un notevolissimo sviluppo longitudinale, ha la caratteristica saliente di poter percorrere, grazie appunto alla sua notevolissima lunghezza, ampi territori e quindi di andare, previo un attento studio del suo tracciato, a raccogliere l’acqua lì dove essa è reperibile. La galleria ha infatti un solo vincolo dato dalla necessità di mantenere per tutto il suo sviluppo una quota costante nel mentre il suo tracciato è completamente libero di svolgersi in una direzione qualsiasi e quindi può essere rettilineo, curvo, a maglia chiusa od aperta, a percorso singolo o ramificato: in altri termini può svolgersi ovunque le particolari condizioni progettuali lo richiedano. E’ da notare come nessuno dei manufatti che si utilizzano normalmente per invasare grandi volumi d’acqua possiede caratteristiche simili. Non le possiedono ad esempio i serbatoi costituiti da grandi vasche in cemento armato la cui capacita di invaso è concentrata in spazi più ristretti possibile, non i laghi artificiali il cui bacino imbrifero sotteso comprende una sola valle o, al massimo qualche altra situata nelle vicinanze quando è possibile collegarla ad esso tramite gallerie o canali di gronda. Quello citato è uno dei vantaggi che presenta la galleria/serbatoio che preme far rilevare fin da queste prime righe. Si vedrà nel prosieguo come ci siano altre condizioni per rendere l’opera assolutamente consigliabile nonostante il suo elevato costo di costruzione.

Il serbatoio-galleria di Napoli

Immaginiamo ora di operare in un territorio densamente popolato la cui alimentazione idrica sia, ad esempio. affidata a due bacini artificiali costruiti nell’entroterra montagnoso e posti ad una distanza di circa 25 Km l’uno dall’altro. Ognuno dei due bacini raccoglie le acque della rispettiva vallata che, durante periodi di grande siccità, non è però sufficiente per soddisfare il fabbisogno anche a causa della notevole dispersione d’acqua per evaporazione a seguito dell’irraggiamento solare. Nel territorio interposto tra i due invasi esistono alcuni compluvi nei quali, durante i periodi piovosi, si scaricano a valle, inutilizzati, notevoli volumi d’acqua che, se fossero invece raccolti ed accumulati, apporterebbero un notevole contributo alla risoluzione del problema. E’ questo l’ambiente ideale per adottare la soluzione tecnica prima descritta e cioè la costruzione di una grande galleria/serbatoio che collega tra di loro i due invasi pur essendo ubicata più a valle e a notevole profondità sotto il suolo. Il suo andamento è all’incirca parallelo alle curve di livello del terreno e quindi interseca o meglio sottopassa tutte le vallette ed i compluvi, nessuno escluso, che si trovano nel territorio, rendendo possibile la raccolta delle acque che le percorrono, nonché il suo accumulo all’interno della galleria medesima dove, al fresco ed al buio, tali acque possono conservarsi inalterate fino al momento del consumo. Il diametro della galleria, da decidersi in funzione delle necessità locali ma comunque non inferiore a 6 metri, consente di realizzare grandissimi volumi di invaso. Ad esempio scegliendo un diametro di 10 m. totalmente compatibile con le moderne tecnologie di scavo, si ottiene un volume utile di serbatoio pari a 75000 mc al chilometro quindi per l’intero percorso in argomento si ha un invaso totale di ben due milioni di mc.circa.
La presa delle acque ha luogo mediante altrettante briglie costruite attraverso il fosso o la valletta intersecata dalla galleria nel mentre capaci vasche di decantazione, filtrazione e disinfezione da costruirsi anch’esse nel sottosuolo con le modalità che saranno più avanti indicate, consentono di effettuare il trattamento necessario per immagazzinare nella galleria acqua potabile cioè pronta ad essere consegnata all’utenza. Da rilevare come lo scavo delle gallerie in roccia ha la caratteristica di richiamare all’interno le acque delle falde che si trovano nel soprastante terreno soprattutto quando, come succede frequentemente, sono presenti fessurazioni o faglie nell’ammasso roccioso atrraversato dalle opere. Questo fatto, che normalmente costituisce un notevole impedimento per il prosieguo dei lavori di scavo, nel nostro caso rappresenta un grande vantaggio in quanto consente la raccolta di preziosa acqua naturalmente potabile e che va ad aggiungersi a quella raccolta in superficie. A titolo di esempio valga il caso delle gallerie autostradali sotto il Gran Sasso dove è stata captata una portata d’acqua potabile di oltre 1.5 mc al secondo, non prevista in origine ed attualmente utilizzata per alimentare importanti acquedotti del teramano e dell’aquilano.
In definitiva l’opera che si propone di eseguire, per integrare la potenzialità dei due invasi artificiali presi ad esempio, è un serpentone sotterraneo dell’estesa di circa 25 Km avente un diametro di circa 10 m, internamente rivestito in calcestruzzo.e quindi con un volume utile totale di circa due milioni di metricubi . In corrispondenza di ognuna delle vallette sottopassate dalla galleria si costruisce una griglia di presa e, nella finestra di accesso alla galleria principale oppure in apposito manufatto sotterraneo anch’esso scavato in roccia, una capace vasca di decantazione, filtrazione e disinfezione delle acque.
Il grande serbatoio così realizzato costituisce una enorme capacità in grado di effettuare la compensazione trimestrale di tutte le portate d’acqua disponibili e quindi non solo di quelle raccolte come indicato ma anche di quelle prodotte dai due invasi preesistenti che, dopo depurazione, vi possono essere immesse per essere conservate anch’esse al buio e al fresco. I laghi artificiali, così svuotati, restano pronti a raccogliere le acque delle successive piogge.
In definitiva questi sono i vantaggi della galleria/serbatoio:
– nessun danno all’ambiente essendo le opere per la quasi totalità sotterranee;
– nessuna perdita d’acqua per evaporazione, sfioro dei serbatoi o perdita di altro genere;
– possibilità di conservare a lungo l’acqua senza che abbia a subire alterazioni di sorta.
– viene immagazzinata acqua potabile cioè pronta per essere consegnata all’utenza senza alcun ulteriore trattamento;
– costruendo il serbatoio/galleria ad una quota opportuna è possibile recapitare l’acqua a gravità fino al domicilio dell’utenza senza bisogno di pompe;
– vengono intercettate tutte le vallette esistenti nel territorio e quindi sfruttata tutta l’acqua di pioggia che vi precipita nei periodi piovosi;
– viene raccolta l’acqua delle falde sotterranee presenti nel territorio sopra la galleria;
– costruendo delle vasche di decantazione di grande capacità è possibile ottenere la laminazione delle portate di piena evitando danni provocati, durante le piogge eccezionali, da alluvioni o esondazioni dei rii.

Da segnalare come, nel caso non si volesse turbare la falda soprastante i lavori, la moderna tecnica di scavo e costruzione del rivestimento della galleria consente di mantenere nel fronte di lavoro e all’esterno una pressione artificiale atta ad operare senza influire minimamente nell’ambiente esterno

3. CONCLUSIONI

Messo in evidenza che la risoluzione del problema idrico dei territori nei quali scarseggia la disponibilità di fonti perenni non può essere affidato esclusivamente ai laghi artificiali ma che occorre sfruttare il sottosuolo per ricavarvi servizi come quelli idrici che in superficie occupano enormi spazi e provocano danni all’ambiente, si è proposta la realizzazione grandi serbatoi tramite gallerie circolari scavate in roccia. Al vantaggio principale di un’opera del genere che è quello di potere, grazie alla sua notevole estesa longitudinale, percorrere ampi territori e quindi raccogliere le acque piovane di bacini imbriferi molto ampi, se ne aggiungono molti altri puntualmente elencati nella nota. Un esempio completo di serbatoio galleria è in dettaglio descritto nella nota “L’approvvigionamento idrico dell’Isola d’Elba” visibile in questo stesso sito.

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