GRANDE SERBATOIO SOTTERRANEO PER L’ISOLA D’ELBA – UN VALIDO ESEMPIO REALIZZATO A COMO

Da alcuni anni il sottoscritto è impegnato a promuovere la costruzione di un grande serbatoio sotterraneo allo scopo di portare a soluzione l’annoso problema del rifornimento idropotabile dell’Isola d’Elba attualmente soggetto a possibili crisi sopratutto estive dovute alla dipendenza dalle fonti della Val di Cornia poste nel continente e ad inconvenienti di tipo sanitario dati dalla presenza nell’acqua distribuita ai cittadini di sostanze nocive per la salute degli utenti e cui si  deve rimediare mediante costosi gtrattamenti. Come risulta dal progetto di massima, visibile in questo sito, l’opera proposta consiste in una galleria interamente scavata nella roccia e nella quale immagazzinare e conservare le acque, particolarmente abbondanti fuori stagione, allo scopo di poterne disporre nel periodo estivo normalmente caratterizzato da limitata piovosità e quindi da impoverimento delle fonti degli acquedotti. Si tratta di una soluzione semplice e di sicura efficacia ma che , nonostante i pareri nettamente positivi espressi da eminenti studiosi e da tecnici esperti nei servizi idrici, non trova quell’accoglienza che essa meriterebbe.
Allo scopo si ritiene interessante esaminare quali risultati siano stati recentemente ottenuti dalla esecuzione e gestione di un’opera del tutto simile a quella in argomento e cioè la costruzione dell’impianto di trattamento dell’acqua del lago di Como onde poterla utilizzare a scopi potabili. In tale città si è infatti pensato che, anziché occupare in superficie aree pregiate del territorio urbano, fosse preferibile scavare la roccia ed ubicare la mastodontica opera interamente nel sottosuolo ottenendo, come risulta da uno stralcio di una relazione redatta dall’Ente gestore che si allega, notevoli ulteriori benefici.
Da rilevare come la situazione dell’Elba, vuoi per le determinanti caratteristiche di insularità vuoi per la sua vocazione essenzialmente turistica, sia ancora più indicata di Como al trasferimento nel sottosuolo della opere ingombranti che, se realizzate in superficie, creerebbero notevoli inconvenienti per il bellissimo e relativamente esiguo territorio elbano. Ed ecco lo stralcio conforme della relazione

La Potabilizzazione in Caverna
delle acque del Lago di Como

ACSM Spa è una società da sempre all’avanguardia nell’applicazione delle migliori tecnologie sugli impianti di pubblica utilità gestiti. Un esempio, unico al mondo, è l’impianto in caverna di potabilizzazione delle acque del Lago di Como, supervisionato da Movicon.
L’indiscussa star della storia recente di Acsm spa è La caverna nella quale si trova l’impianto di potabilizzazione del Lago di Como. Quando erano ancora in corso i lavori, alle pendici del Monte Baradello avevano già fatto tappa centinaia fra tecnici e curiosi. Adesso che l’impianto è pronto e a regime, si fa fatica a soddisfare le richieste di tutti i visitatori. La media è di 200 persone la settimana, con una netta prevalenza di alunni, studenti delle superiori, universitari. Nessun dubbio che sia un’opera di grande suggestione. Una via di mezzo fra l’epica pionieristica e l’avanguardia tecnologica.
Nel nostro Paese non ci sono precedenti. Dilatare un circoscritto rifugio anti-aereo che risaliva ai tempi della guerra sino a potervi ospitare un impianto gigantesco in grado di raddoppiare la precedente capacità di trattamento (si è passati dai 300 ai 600 litri al secondo) è stato davvero un salto in avanti rispetto alla cantieristica e all’urbanistica italiana che, finora, sottoterra, ci aveva infilato quasi esclusivamente strade e parcheggi. Prima servivano gli stivaloni (per il fango) adesso basta un elmetto giallo (un gadget più che una reale esigenza di sicurezza) per penetrare il tunnel in cui è stata ricavata la centrale, un dedalo di condotte che consegna l’acqua pescata nel lago ai vasconi e a tre distinte fasi di trattamento.La caverna ha calamitato anche l’attenzione delle telecamere eccellenti della Rai che al tunnel dell’acqua ha dedicato un servizio nella trasmissione SuperQuark di Piero Angela “Da Platone ai norvegesi Orchi e tenebre”. 
Ma la caverna nasce con il mito su cui si fonda gran parte del pensiero occidentale. Quello in cui Platone immagina una realtà fittizia, in cui vediamo le ombre della realtà e non la realtà stessa. L’idea di scavare nella montagna la nuova centrale di potabilizzazione di ACSM nasce sulla spinta di una riflessione urbanistica e tecnologica. Restituire alla città un pezzo di città e ridurre a zero l’impatto visivo e ambientale di una centrale che è un groviglio di tubi e infrastrutture metalliche. Sono risultate indispensabili le competenze delle aziende che hanno partecipato all’impresa, comprese le due ditte specializzate norvegesi che hanno scavato dalla roccia le gallerie. Nel cantiere si sono cimentate la Selmer, la Degremont Italia, la Nessi & Majocchi, la Rini, la Sintertec, la SguasseroN. Da primato anche i tempi di esecuzione, che hanno richiesto solo due anni per la realizzazione, cosa non da poco in un Paese spesso abituato a cantieri dai tempi indefinibili. La firma sul prestigioso progetto è di Fernando De Simone, considerato uno dei massimi esperti a livello internazionale in operazioni del genere.

I numeri dell’impianto unico nel suo genere
35 mila i metri cubi rimossi per formare il tunnel (il materiale è stato riconvertito in manutenzioni stradali). Fra i 15 e i 20 metri la larghezza variabile dei tunnel. 15 metri l’altezza massima. 16 milioni di metri cubi la capacità di trattamento annua (600 litri al secondo, rispetto ai 300 litri al secondo della stazione di potabilizzazione preecedente). 2 anni i tempi di esecuzione dell’intervento.

La Sicurezza della Caverna
La crisi internazionale determinata dall’attacco delle Due Torri di New York registra un ulteriore aggravamento. Gli impianti di ACSM Spa, come tutti quelli delle società chiamate ad assicurare servizi collettivi o comunque di pubblico interesse, sono stati definiti, per loro stessa natura, obiettivi sensibili, cioè strategici per un’eventuale offensiva terroristica e dunque presidi da proteggere con misure speciali. I controlli, da sempre rigidissimi, sono stati ulteriormente rafforzati, nel quadro di un piano complessivo messo a punto assieme a prefettura e questura. L’azienda, per accentuare garanzie già assicurate sin dall’insediamento della nuova centrale di potabilizzazione (peraltro resa meno vulnerabile dal fatto stesso di essere interamente collocata in una caverna), ha diluito le visite e ridotto il percorso all’interno dell’impianto. Durante riunioni con i massimi livelli istituzionali cittadini, è stata anche ventilata l’ipotesi di sospendere il programma di Tognocchi, rinviandolo di qualche mese: non certo perché sussistano rischi per i bambini bensì per ridurre a zero il rischio di intrusioni.

L’impianto di potabilizzazione
L’impianto è stato alloggiato in una caverna scavata nella roccia dal volume complessivo di 35.000 m³. Le dimensioni della caverna principale sono: 150x18h 8÷16mt. Dall’impianto di potabilizzazione si alimentano con ripompaggio le reti principali nell’Acquedotto di Como facenti capo ai rispettivi serbatoi terminali:
· COMO CENTRO, Serbatoio Baradello, quota 265
· COMO EST, Serbatoio Refrec, quota 310
· COMO SUD, Serbatoio Doss, quota 325
…omissis…

Inutile indicare ora i vantaggi che potrebbero derivare al servizio idrico dell’Elba qualora venisse costruito il serbatoio sotterraneo, vantaggi del resto visibili in questo sito. E’ invece preferibile raffrontare tra di loro le due opere rispettivamente comasca ed elbana.
Da rilevare innanzitutto le notevoli dimensioni della caverna di Como che raggiungono i 20 metri di larghezza ed i 15 m di altezza nel mentre la sezione trasversale del serbatoio elbano è, per tutta la sua lunghezza, rappresentata da una circonferenza di soli 10 metri di diametro. Dal confronto l’opera elbana risulta di gran lunga la più semplice da costruirsi specialmente per la possibilità di impiego delle enormi macchine operatrici automatiche di uso normale nello scavo ed il rivestimento interno delle gallerie circolari che invece non si sono potute impiegare a Como. L’opera è inoltre la meno impattante nei riguardi del massiccio roccioso nel quale essa và inserita, tenuto anche presente che il suo tracciato non è fisso come quello della caverna comasca ma può svolgersi in qualunque direzione a seconda delle caratteristiche del territorio da attraversare essendo totalmente priva di vincoli planimetrici.
Un ulteriore elemento che gioca a favore dell’Elba è dato dal materiale di risulta dello scavo della galleria che, così come accaduto a Como, anche nell’Isola troverà un utile impiego ma sarà qui favorito dal fatto che si tratta di ottimo granito. Rendere disponibili in un’isola sabbie, ghiaie e blocchi di granito in gran quantità e a costi prossimi allo zero, rappresenta un importante beneficio secondario di cui occorre tener presente nella determinazione dei costi da preventivare per la realizzazione del serbatoio-galleria.
In conclusione dall’esperienza della città di Como che, nonostante le maggiori difficoltà costruttive, è riuscita a ricavare grandi vantaggi dall’aver trasferito nel sottosuolo roccioso una imponente opera che fino ad allora si trovava in superficie, si possono dedurre ulteriori conferme per la costruzione del serbatoio sotterraneo dell’Isola d’Elba, conferme questa volta desunte da elementi reali come sono la costruzione e la gestione di un manufatto del tutto simile a quello proposto per l’Isola d’Elba.
Un ulteriore importante risultato cui potrebbero portare queste poche righe sarebbe quello di indurre i responsabili del servizio idrico elbano ad effettuare, così come stanno facendo molte altre personalità, una visita all’impianto del lago di Como in modo da rendersi conto “de visu” dei vantaggi ed anche dell’assenza di problemi di un certo rilievo sia in fase di costruzione e sia durante il suo esercizio

AVANTI

BARRIERA FRANGIFLUTTO CON PRODUZIONE DI ENERGIA IDROELETTRICA

Brriera flangiflutto

1) PREMESSA

Lo sfruttamento del moto ondoso del mare è da tempo oggetto di studi e sperimentazioni volti alla trasformazione in energia elettrica del suo enorme potenziale.
A quanto risulta a chi scrive le esperienze e gli studi in corso riguardano esclusivamente sistemi che, pur agendo con modalità differenti, hanno il loro comune traguardo nella produzione di energia pulsante cioè caratterizzata da una continua variazione di intensità dovuta all’inevitabile altalenare delle onde del mare.
Un dispositivo poco ingombrante e ad elevata capacità di regolazione del sistema con eliminazione dei picchi e copertura dei punti di minima resa come quello che viene qui proposto, si ritiene possa essere di grande interesse in questi tempi di pressante necessità di produrre energia rinnovabile e lo è maggiormente nel caso svolga un vero e proprio ruolo di accumulazione di energia aumentando la sua producibilità tramite altre fonti secondo le modalità che saranno più avanti spiegate.
L’opera presenta ulteriori vantaggi alcuni, come ad esempio la protezione delle sponde dalla devastante azione delle onde che vi sbattono contro, comuni ai sistemi già realizzati ma altri che se ne distaccano totalmente per le possibilità aggiuntive di sistemazione dei lungomari.

FIGURA N. 1 = VISTA PROSPETTICA DELLA BARRIERA FRANGIFLUTTO

2) DESCRIZIONE DI MASSIMA DEL SISTEMA PROPOSTO

Viene descritta un’opera di marginamento fisso della costa con produzione di energia elettrica ottenuta essenzialmente dall’immissione in pressione dell’acqua del mare in un capace serbatoio interrato. Il serbatoio, di tipo idropneumatico cioè con la struttura del tutto particolare che sarà di seguito illustrata, è in grado di svolgere le seguenti funzioni principali:
– accogliere l’acqua immessavi naturalmente dalla forza d’urto dell’onda o da altri mezzi meccanici,
– conservarla fino al momento della sua utilizzazione,
– livellare, grazie alla grande capacità di invaso, la portata in uscita,
– consentire, con una diversificazione delle pressioni di esercizio, più regimi di funzionamento graduabili in funzione dell’intensità del fenomeno ondoso di per sé molto variabile.
– offrire la possibilità di accumulare l’energia in esubero per renderla disponibile nei successivi momenti di bisogno.

3) IDICAZIONI DI DETTAGLIO

Le opere proposte consistono, come illustrato nella Planimetria di fig. 2 e nella sezione trasversale della fig. 3, in una barriera frangiflutto che segue la linea di costa opportunamente fondata su una robusta palificata e che comprende le seguenti strutture principali.
1) Il dispositivo di captazione
2) Il serbatoio di accumulo
3) La centrale di produzione dell’energia elettrica con annessa sala quadri.

FIGURA 2 = PLANIMETRIA DELLA BARRIERA , DEL SERBATOIO IDROPNEUMATICO E DELLA CENTRALE IDROELEYTTRICA

FIGURA 3 = SEZIONE TRASVERSALE DELLA BARRIERA

L’ossatura principale del manufatto è costituita da un lungo muro di marginamento della sponda sul quale si innestano, lato mare, un numero imprecisato di setti trasversali mentre verso terra trova posto la grande vasca di accumulo denominata specificatamente serbatoio idropneumatico. I setti suddividono il frangiflutto in tante celle di captazione autonome e che immettono l’acqua in pressione nello stesso serbatoio di accumulo.

3.1) IL DISPOSITIVO DI CAPTAZIONE

Essendo dimostrato che il materiale avente le migliori caratteristiche per assorbire ed annullare la forza d’urto delle acque, è, non già quello di tipo rigido e di notevole robustezza, bensì quello flessibile in grado di adattarsi al movimento del mezzo liquido che lo investe subendone danni relativamente meno gravi, sarà di materiale elastico anche la struttura che viene qui proposta per la captazione dell’energia propria delle onde. Si tratta in dettaglio di un diaframma di contenimento (chiamato anche gonna) curvo e a flessibilità controllata dalla pressione del serbatoio e che si estende orizzontalmente per otto metri cioè per tutta la larghezza di ogni nicchia di captazione essendo saldamente ancorato ad una piastra metallica che percorre tutto il perimetro di contatto con la parte fissa in cemento armato. Tale piastra metallica continua e che sporge a 90 gradi dalla superficie del calcestruzzo, è costituita da due elementi orizzontali lungo i due lati superiore ed inferiore mentre in quelli laterali ha un andamento ad arco conformato in base alla curvatura che deve assumere anche il diaframma. E’ infatti tra queste due piastre laterali cha và teso il diaframma in modo da obbligarlo ad assumere, quando è a riposo, il profilo curvo.
Nel lato superiore e nei due laterali, detta piastra metallica sporge dal calcestruzzo per una quarantina di centimetri sufficienti per fissare stabilmente il diaframma e realizzare la sua tenuta idraulica lungo tutto contorno mentre nel lato inferiore la piastra stessa sporge per 1.40 m in quanto, oltre a svolgere il medesimo compito di collegamento, è anche munita di alcune valvole a battente che consentono all’acqua di penetrare dal basso nella cella ma non di uscirne. Sarà una contropiastra metallica, anch’essa continua, che fisserà, tramite una lunga fila di bulloni, tutto il bordo del diaframma garantendone la perfetta tenuta idraulica. Tra contropiastra e diaframma verrà inserito un doppio rinforzo flessibile che ne segue tutto contorno sporgendo verso l’interno al fine di resistere al grande sforzo di taglio che le onde esercitano in tale punto sul diaframma stesso.
La cella è munita di fori di collegamento con la retrostante vasca di raccolta anch’essi dotati di valvola a battente che consente all’acqua l’ingresso in vasca nel mentre impedisce l’uscita di quella precedentemente accumulatavi e che invece vi permane in pressione e pronta ad azionare le turbine di produzione della corrente elettrica.
Ogni cella di captazione è superiormente chiusa a quota + 3.00 metri sul mare da un solaio che costituisce il piano viabile o la passeggiata lungomare.
In definitiva il dispositivo di captazione è composto da tante celle affiancate aventi un’altezza interna che va da –2.75 a + 3.00, ognuna delimitata superiormente dal solaio di copertura e verticalmente in tre lati da una parete in calcestruzzo ed invece, dal lato mare, da un diaframma o gonna elastica ad arco inclinato. La cella è collegata nella sua parte inferiore sia col mare aperto e sia con il retrostante serbatoio idropneumatico tramite aperture munite di valvole di non ritorno che vincolano la direzione dell’acqua del mare tassativamente secondo il percorso mare – cella – serbatoio idropneumatico.
Da rilevare come, prima dell’inizio della normale attività del dispositivo, sia necessario estrarre tramite la pompa a vuoto di cui è dotata la centrale tutta l’aria contenuta nella parte superiore della cella. Una volta completata questa operazione, sarà la pressione atmosferica a mantenere la cella stessa, per tutta la durata dell’ esercizio, totalmente piena d’acqua. Allo scopo il diaframma dovrà non solo possedere l’elasticità necessaria per cedere alla forza delle onde e quindi svolgere compiutamente la sua principale funzione che è l’immissione in serbatoio di cospicui volumi d’acqua, ma dovrà anche resistere alla depressione interna provocata da detta pompa a vuoto senza subirne eccessive modifiche, essendo teso tra le due piastre laterali curve. Il materiale da usare per il diaframma dovrà pertanto essere studiato e sperimentato visto che la sua duplice funzione è basilare per il funzionamento delle opere. Una possibile variante costruttiva del diaframma potrebbe anche riguardare la posa in opera di robuste funi o nastri elastici ben tesi ed in numero da definire, lungo la superficie interna del diaframma per rinforzarne la resistenza. Esiste anche la possibilità di fissare al diaframma dei pani di piombo che, durante la fase di arretramento dell’onda, contribuiscano a riportarlo nella posizione di riposo. E’ però da notare come la depressione da vincere nell’azione sussidiaria del diaframma sia assai modesta essendo pari ad una colonna d’acqua di soli tre metri.
In fase di normale esercizio l’automatismo terrà sotto controllo la cella di captazione provvedendo, tramite la pompa a vuoto, ad evacuare l’aria che vi si fosse accidentalmente accumulata.

i deve però tener presente che la cella, posta tra diaframma e parete del serbatoio, comunica con  l’esterno soltanto tramite il foro inferiore  sotto il livello del mare e  munito di valvola di ritegno. Non esiste quindi  nessun collegamento tra cella ed atmosfera per cui, una volta eseguito con  la pompa a vuoto la prima estrazione di tutta l’aria, da quel momento in  poi nella cella potrà entrare solo l’acqua del mare appunto tramite il foro sempre immerso nell’acqua del mare.
Ed ecco il dinamismo di captazione ed immissione dell’acqua in serbatoio.
E’ noto come in mare aperto sia solo l’onda che si sposta mentre ogni singola particella d’acqua che la compone descrive, in verticale, una traiettoria circolare rimanendo sempre nella stessa zona. In riva al mare ha luogo, invece, lo spostamento, in direzione perpendicolare alla costa, di una grande massa d’acqua che, con moto alterno, va a sbattervi violentemente contro. Sono queste masse d’acqua che, opportunamente orientate dai due setti laterali di ciascuna cella, premono con violenza contro il diaframma elastico e, vintane la resistenza elastica, lo forzano ritrarsi verso terra e ad assorbire interamente l’energia senza che abbiano origine onde riflesse di ritorno.
La barriera ha così svolto il suo compito di protezione della riva dai danni dovuti al moto ondoso nel mentre il forzato arretramento del diaframma ha ridotto il volume interno della cella causando l’immissione in serbatoio di un quantitativo d’acqua più o meno consistente e ad una pressione variabile a seconda dell’ampiezza e della forza dell’onda del momento. La caratteristica di incomprimibilità dell’acqua quando, come detto, sia evitata la presenza anche minima dell’aria, assicura che ad ogni movimento del diaframma corrisponda un trasferimento d’acqua dalla cella al serbatoio riuscendo a vincere la pressione interna del serbatoio stesso.
Finita la sua fase attiva, l’onda si ritira verso il mare aperto e il diaframma, spinto dalla sua elasticità ed eventualmente da quella esercitata dalle funi elastiche di rinforzo o dai pani di piombo, tende a riportarsi nella sua posizione di riposo provocando l’immissione nella cella di nuova acqua spinta dalla pressione atmosferica ad attraversare le valvole di cui è munita la piastra inferiore.
Da rilevare come ogni cella, pur immettendo acqua in pressione in uno stesso serbatoio, eserciti la sua azione indipendentemente da quella delle altre con un duplice vantaggio. Innanzitutto viene scongiurato il pericolo che contro il diaframma avessero ad esercitarsi in coincidenza, come accadrebbe se essa fosse ininterrotta per l’intera lunghezza del marginamento, una pressione positiva e una negativa, e quindi di risultato nullo, dovute alla presenza contemporanea di due onde di direzione opposta .
In secondo luogo l’azione autonoma ed assolutamente alterna delle varie celle costituisce una sequenza ininterrotta di immissioni elementari in serbatoio che si susseguono a brevissimi e casuali intervalli di tempo il ché provoca una prima importante continuazione dell’entrata d’acqua nel serbatoio, data dalla somma di dette immissioni elementari.
Sarà poi il serbatoio con il suo notevole volume idrico e con quello del cuscinetto d’aria a completare l’opera di normalizzazione del flusso che, al momento della sua uscita finale per giungere alla turbina, risulterà assolutamente uniforme e quindi senza più risentire dell’altalenare delle onde.
Una ultima, importante, osservazione sul diaframma elastico. Ad avviso di chi scrive il contrapporre alla forza d’urto delle onde una gonna elastica presumibilmente rinforzata da funi anch’esse elastiche, rappresenta quanto di meglio si possa prevedere sia per le caratteristiche proprie di tale struttura che, proprio grazie alle sue doti di flessibilità, è in grado di adeguarsi alle variabilissime onde del mare seguendone la forma ed i ritmi grazie anche alla tecnica costruttiva che ai nostri giorni ha raggiunto, anche in tale settore, traguardi ambiti. Ne fanno fede, in campo idraulico, le molte applicazioni di apparecchiature un tempo basate su strutture metalliche a battente ed oggi vantaggiosamente sostituite da guaine elastiche che ad una ottima funzionalità aggiungono una lunga durata ed una totale assenza di colpi d’ariete e rumori fastidiosi.
L’impiego del diaframma elastico è tutt’altro che nuovo anche in lavori marittimi essendo usato con soddisfacenti risultati per la costruzione di barriere mobili gonfiabili o fisse dando prova, anche in tale campo, di ottima flessibilità, funzionalità e durata.
In ogni caso quando anche si nutrissero dei dubbi sulla efficacia e resistenza della descritta gonna elastica sarebbe possibile dotare la cella di captazione, in alternativa al diaframma, di un portellone mobile metallico munito di guarnizioni di tenuta come illustrato nella fig. 4 e di robuste molle atte a farlo ritornare nella posizione di riposo, ferme restando tutte le altre modalità di esercizio dell’impianto.
Una ulteriore variante rispetto al progetto riguarda la possibilità di eliminare del tutto il diaframma per prevedere che sia la pressione d’urto delle onde a far entrare direttamente l’acqua del mare nel serbatoio idropneumatico tramite delle bocche di presa tronco coniche appositamente studiate. Si tratterebbe di una notevole semplificazione delle opere di captazione ma, a giudizio di chi scrive, meno efficace di quella in progetto nella captazione della potenza d’urto delle onde e, sopratutto, non in grado di eliminare, come il diaframma elastico, le onde di riflessione.

FIGURA N. 4 = SEZIONE DELLA BARRIERA CON PARATOIA METALLICA

3.2) IL SERBATOIO DI ACCUMULO E REGOLARIZZAZIONE DEL FLUSSO

Un serbatoio di accumulo destinato ad alimentare una centrale di produzione di energia elettrica come quello in oggetto è normalmente costituito da una vasca sopraelevata rispetto al punto di restituzione, in questo caso costituito dal mare. Chiaramente la realizzazione lungo il bordo marino di una struttura di questo tipo, oltre ad alcuni inconvenienti riguardanti l’esercizio, presenterebbe dei problemi di impatto ambientale assolutamente insormontabili per cui non potrebbe nemmeno essere presa in considerazione.
Si prevede invece di sostituirla con il serbatoio idropneumatico cioè con una struttura che, oltre a trovare la sua collocazione ideale nel sottosuolo e a ridosso delle celle di captazione di cui al capitolo precedente, presenta delle favorevolissime caratteristiche di funzionamento.
La struttura, che segue in tutta la sua lunghezza la barriera frangiflutto integrandosi perfettamente con l’ambiente, costituisce una notevole capacità di invaso destinata ad essere alimentata da una lunga serie di immissioni elementari operate dalle singole celle di captazione, eventualmente integrate da altre fonti energetiche come sarà proposto nella variante di cui al cap. 4, nel mentre il flusso in uscita verso le turbine è unico, uniforme e con possibilità di esercizio diversificate in quanto è consentito cambiare la pressione e quindi il salto utile dell’acqua per la produzione dell’energia elettrica. Per continuare nella similitudine con il serbatoio dell’ipotesi precedente si può affermare che quello in argomento è equiparabile ad una serie di vasche sovrapposte con possibilità di utilizzazione dell’una o dell’altra a seconda delle necessità. In un giorno di tempesta quando si hanno onde di estrema potenza e quindi in grado di spingere l’acqua a 10 e più metri di altezza si apre la vasca superiore, se la potenza diminuisce si passa a quella intermedia per finire a quella di soli 3 m di quota quando il mare è meno mosso. Tutto questo può essere molto più facilmente attuato dal serbatoio idropneumatico.
Tale struttura, i cui dettagli saranno riportati nel seguente cap. 3.2) = “Il serbatoio di accumulo e regolarizzazione del flusso”, è costituito da un grande contenitore a tenuta ermetica caratterizzato dalla presenza nella sua parte superiore di un capace cuscinetto d’aria la cui pressione può essere variata a seconda delle necessità aprendo delle valvole di scarico o immettendo nuova aria con i compressori. Una volta stabilito un determinato regime di esercizio dato dalla pressione iniziale dell’aria, il serbatoio si regola da solo senza alcun intervento dei compressori e funzionando in maniera del tutto analoga ad un serbatoio sopraelevato posto di volta in volta a quote variabili e corrispondenti alle pressioni prescelte. Si intuisce quali sono le grandi possibilità di una struttura così versatile ed utilizzata per catturare una energia così saltuaria e variabile come sono le onde del mare. Significa non solo adeguare di ora in ora la capacità di captazione alle occasioni del momento ottenendo il risultato di poter accumulare nello stesso spazio sia grandi quantitativi di energia quali sono quelli del mare in tempesta e contemporaneamente di contrapporre alla forza d’urto delle onde una barriera mobile in grado di resistervi grazie alla maggior pressione del serbatoio come pure, nel caso di mare più calmo, di raccoglierne la diminuita forza con un diaframma più arrendevole alla più debole spinta dell’onda ed ad un diminuito sforzo di ingresso dell’acqua.
Siamo infatti in presenza di un diaframma a flessibilità controllata in grado di contrastare razionalmente la violenza delle onde.

FIGURA N. 5 = VEDUTA PROSPETTICA DELLA BARRIERA

Da ribadire inoltre la prerogativa nettamente favorevole che ha il serbatoio con il suo grande cuscinetto d’aria di livellare le spinte delle onde eliminandone totalmente i picchi e colmando ogni sia pur minimo punto di flesso. Inoltre si può affermare che il serbatoio risolve almeno in parte, uno dei problemi basilari della moderna società e cioè l’accumulo di energia, problema che si è tentato in più modi di risolvere senza risultati di rilievo. Tra di questi vanno ricordati gli impianti idroelettrici reversibili cioè dotati di macchine a doppio uso e di lago di accumulo a monte ed a valle. In tali casi, se durante determinati periodi le turbine ed alternatori producono la richiesta energia elettrica, in quelli successivi si trasformano rispettivamente in pompe e motori elettrici per risollevare l’acqua nel bacino superiore e realizzare in tal modo l’accumulo dell’energia di supero momentaneo. Si tratta però di impianti molto costosi e con rilevanti perdite di rendimento. Altre modalità di accumulo sono costituite dagli accumulatori elettrici ricaricabili che presentano però l’inconveniente di consentire risultati di entità molto piccola. Infine le moderne ricerche sono orientate verso sistemi ad idrogeno il quale, una volta prodotto tramite energia elettrica di supero, consentirebbe una utilizzazione dilazionata nel tempo e dislocata ovunque. La funzione di accumulo che può svolgere il serbatoio idropneumatico di grandissime dimensioni che fa parte delle opere qui descritte, si affianca efficacemente a tali sistemi potendo accumulare energia principalmente prodotta dalla violenza delle onde ma anche di qualsiasi altro tipo come ad esempio quella prodotta da pannelli solari (vedi variante del cap. 4) oppure di supero delle rete Enel.

3.3) LA CENTRALE DI PRODUZIONE DELL’ENERGIA ELETTRICA

La centrale di produzione, anch’essa ubicata nel sottosuolo ed a ridosso delle celle di captazione e del serbatoio idropneumatico, sarà munita delle seguenti apparecchiature:
A) Le pompe a vuoto in grado di svuotare le celle di captazione delle sacche d’aria che avessero da formarvisi,
B) le turbine atte, con possibilità di regolazione oppure con una serie diversificata di macchine, a sfruttare i diversi regimi di funzionamento dell’insieme in oggetto in uno con gli annessi alternatori di produzione della corrente
C) le apparecchiature di regolazione del cuscino d’aria e cioè i compressori e le valvole di scarico,
D) Le apparecchiature di comando e controllo automatico e manuale degli impianti da installare in apposita sala quadri. Esse dovranno provvedere alla impostazione dei regimi di funzionamento in funzione della potenza di immissione reale d’acqua e del livello e della pressione del serbatoio di ora in ora, alla messa in moto alla regolazione delle pale e all’arresto delle turbine, al mantenimento del cuscino d’aria nonché alla misura e al controllo generale di funzionamento emettendo, se necessario, gli opportuni allarmi.

FIGURA N. 6 = SEZIONE DELLA SALA TURBINE-ALTERNATORI

Visti i modesti salti disponibili, presumibilmente da 2 a 20 metri, si presume che le turbine saranno del tipo Kaplan a doppia regolazione e quindi delle pale e del distributore al fine di poter seguire la variabilità di energia disponibile.
Il manufatto della centrale è costituito da un parallelepipedo posto in continuazione del serbatoio e quindi avente la stessa sezione trasversale ed una lunghezza atta a contenere le apparecchiature elettromeccaniche ed elettroniche elencate. Il tutto come schematicamente indicato nelle fig. 2 e 6

4) VARIANTE CON PANNELLI SOLARI DI INTEGRAZIONE DELLA PRODUZIONE IDROELETTRICA

Come descritto nei precedenti capitoli una delle strutture innovative del presente progetto consiste nella presenza del serbatoio idropneumatico in quanto struttura atta ad accumulare per tempi più o meno lunghi l’energia in esubero per renderla disponibile quando sarà maggiore la richiesta. Una sua utilizzazione integrativa di quella descritta è quella rappresentata nei disegni schematici allegati e consistente nella installazione superiormente ai setti in cemento armato di una lunga serie di pannelli solari in grado di produrre energia elettrica in alternativa o in aggiunta a quella dovuta alle onde del mare, energia che potrebbe essere utilizzata direttamente oppure contribuire all’accumulo di acqua in pressione nel serbatoio idropneumatico tramite installazione di una serie di pompe sommerse. Da rilevare come il prevedibile alternarsi di periodi temporaleschi a forte vento ed onde impetuose del mare con periodi di bonaccia e sole splendente, garantisca comunque una buona produzione elettrica dovuta ai due diversificati sistemi .

5) LA COSTRUZIONE E L’ESERCIZIO DEGLI IMPIANTI

L’impianto di ammortizzazione dei flutti e di produzione di energia elettrica dovrà in anteprima essere dimensionato in funzione delle caratteristiche del moto ondoso che statisticamente si verificano nel luogo di impiego accuratamente studiate tramite una lunga campagna di rilievi ed esperienze.
Lo studio dovrà interessare ognuno dei componenti dell’impianto, nessuno escluso, tenendo presente che quanto al riguardo è riportato in questa breve relazione non rappresenta che una descrizione sommaria avente il solo scopo di tracciarne i concetti di base mentre la loro effettiva realizzazione potrebbe discostarsene notevolmente.
Le possibili diversificazioni potranno vertere su una cella di captazione di larghezza diversa di quella qui presunta in otto metri in quanto si sarà, ad esempio, definita una dimensione più adatta ad incanalare opportunamente il flusso delle onde. Il diaframma elastico potrà richiedere anch’esso quelle diverse dimensioni e forma che si riveleranno particolarmente atte a svolgere il grave compito che gli viene assegnato tenendo conto delle diverse tipologie di materiale elastico da adottare disponibile in commercio o che dovesse essere appositamente costruito ex novo.
Anche le quote altimetriche del fondo e della sommità della barriera, da studiare località per località, rivestono una importanza capitale nella progettazione così come anche la forma e le dimensioni da assegnare al serbatoio idropneumatico nonché tutte le sue possibili varianti di volume utile, di pressioni e di regime di funzionamento. Tutto questo senza parlare dei gruppi turbina-alternatore e delle loro innumerevoli modalità di costituzione, di regolazione delle pale e di esercizio.
Un breve accenno deve essere fatto anche nei riguardi delle modalità costruttive e di manutenzione delle opere e particolarmente del diaframma elastico che, essendo per buona parte costantemente immerso in acqua marina, impone, sia nella fase iniziale costruttiva e sia per eventuali successivi interventi di manutenzione, la messa all’asciutto della cella di captazione. Dovranno pertanto prevedersi le opere provvisionali, non indicate nei disegni allegati, come i gargami opportunamente inseriti nei setti ed atti a contenere i panconcelli di salvaguardia dalle acque del mare e di svuotamento della cella dal’acqua.
Si tratta in definitiva di un insieme di opere del tutto nuovo, da scoprire e da verificare con rilievi ed accertamenti preventivi e da mettere successivamente a punto durante l’esercizio. A quest’ultimo riguardo è da rilevare come, a fronte della complessità del compito da svolgere, sussista un fattore che senza dubbio gioca a favore di un risultato finale positivo e che è dato dalla presenza, assolutamente innovativa, del serbatoio idropneumatico il quale conferisce al sistema una notevole elasticità consentendo, anche ad opera ultimata, notevoli varianti di funzionamento e conseguenti adattamenti alla situazione reale quale risulta dalle esperienze che l’esercizio effettivo non mancherà di offrire.

6) NOTE SUL COMPORTAMENTO DEL SERBATOIO IDROPNEUMATICO

Le caratteristiche del serbatoio idropneumatico sono in dettaglio leggibili qui  oppure nel n 2/2003 Della rivista “L’Acqua”, organo della Associazione Idrotecnica Italiana, dove figurano il grafico delle sue condizioni generali di funzionamento ed anche una bibliografia con il titolo di memorie che riportano alcune realizzazioni effettivamente portate a termine, sia pure in settori diversi da quelli marini, del serbatoio idropneumatico in oggetto. Si ritiene utile riportarne una parte perchè specificatamente pertinente all’impiego qui previsto. In sintesi, se a serbatoio vuoto si avrà cura di immettere aria compressa fino ad una pressione di 0.2 atmosfere, nelle successive fasi di ingresso d’acqua in pressione il volume accumulato varierà secondo i dati della seguente tabella riportati anche nel grafico della fig. 7:

TABELLE DELLE ALTEZZE D’ACQUA IN SERBATOIO E DELLE CORRISPONDENTI PRESSIONI

Figura n. 7 = DIAGRAMMA PRESSIONE/RIEMPIMENTO DEL SEBATOIO IDROPNEUMATICO

La zona di funzionamento che qui interessa è quella rappresentata in segno marcato e che prevede con un riempimento minimo del 50% del volume utile cui corrisponde una pressione di 0.4 atm pari ad una colonna d’acqua di quattro metri, del 70% con sette metri e del 90% con venti metri. Da qui si comprende come il serbatoio possa adeguarsi ottimamente alle variazioni della energia trasmessa dal moto ondoso. Il suo grado di riempimento e la relativa pressione dipendono da due fattori contrapposti: da una parte la potenza delle onde che le fa crescere entrambi, dall’altro l’uso che se ne fa per produrre energia elettrica che le fa calare.
Senza entrare nei dettagli di funzionamento dei gruppi turbina-alternatore e delle relative regolazioni che richiedono una conoscenza specifica, al solo scopo di far capire le grandi possibilità del serbatoio idropneumatico, si può prevedere in linea di massima un esercizio a tre diversi regimi :
1^ regime = bassa portata , pressione m. 5 percentuale di riempimento = 60%
2^ regime = portata media, pressione 12 m, percentuale di riempimento =82%
3^ regime alta portata, pressione 20m. ,percentuale di riempimento =90%
Poiché il funzionamento ideale dell’impianto richiede di evitare un esercizio ad intervalli più o meno lunghi a favore di quello continuativo che fornisce energia elettrica più pregiata, si prevede di far funzionare sempre il gruppo di potenza inferiore rispetto a quella disponibile e di mantenerlo, anche in fase crescente del vento, in esercizio continuativo grazie alle sue possibilità di regolazione delle pale e del distributore e ciò finché le condizioni del serbatoio non abbiano raggiunto la fase superiore cui corrisponderà l’avviamento del gruppo anch’esso di classe superiore. In fase calante del vento si seguiranno, ovviamente, regole del tutto simili ma di segno opposto: come il serbatoio non è più in grado di mantenere le condizioni di portata e pressione relative ad una determinata fase, viene declassato il gruppo turbina che rimane in moto finché non si raggiunge la fase più bassa per passare nuovamente ad una classe inferiore di turbina qualora il vento continuasse a scemare.
Ovviamente la pressione rimane costante quando si riesce a far coincidere la portata della turbina con quella entrante in serbatoio.
Tutte le manovre vengono compiute in automatico grazie al sistema di comando e controllo che regola il funzionamento delle turbine in funzione dei livelli, della pressione in serbatoio e sulla base dei concetti ora enunciati.
Qualora la barriera sia dotata anche di pannelli solari e di pompe di immissione integrativa in serbatoio dell’acqua marina, il comportamento dell’insieme varia in funzione delle ulteriori disponibilità energetiche derivate dai pannello solari stessi.

7) UTILIZZAZIONE DEL SERBATOIO IDROPNEUMATICO PER ACCUMULAZIONE ENERGIA ELETTRICA IN ECCESSO

Essendo la barriera frangiflutto una struttura prevista per lunghezze notevoli di sponde da proteggere, in teoria anche il serbatoio idropneumatico che ne costituisce un elemento fondamentale potrà essere di lunghezza altrettanto cospicua e quindi cospicuo anche il volume dell’invaso. Questa caratteristica assai importante oltre che regolarizzare la produzione di energia elettrica che potrà essere costantemente prodotta  in funzione dei fabbisogni, il grande invaso potrebbe anche svolgere una importante azione sussidiaria come quella di servire da accumulo di energia elettrica di esubero in quanto prodotta nelle ore di mancati consumi. Si tratterebbe di contribuire ad una  mancanza di grandi  possibilità viste le difficoltà nella realizzazione  di grandi e preziosi accumuli di corrente elettrica  i quali, al momento attuale, sono esclusivamente costituiti da impianti idroelettrici detti reversibili in quanto hanno la possibilità di effettuare la  duplice funzione di produzione di energia elettrica ottenuta utilizzando l’acqua del lago superiore che viene fatta cadere in quello inferiore ed anche di accumulo dell’acqua del lago inferiore che viene ripompata nel lago superiore grazie all’uso alternativo delle apparecchiature reversibili ed in dettaglio delle turbine che diventano pompe e degli alternatori che, trasformati in motori elettrici, innalzano l’acqua  fino al lago superiore. Si tratta però di impianti in numero molto piccolo e quindi ij grado solo di sopperire in minima parte al fabbisogno. In questo senso sarebbe molto utile l’uso dei grandi serbatoi idropneumatici di cui al presente progetto, che sarebbero in grado di svolgere lo stesso compito utilizzando la corrente elettrica di supero per riempirli onde poter ricuperare corrente elettrica nelle ore di aumentato fabbisogno.

8) CONCLUSIONI

Si è descritto un sistema frangiflutto in grado di attuare anche lo sfruttamento della forza d’urto delle onde del mare per produrre energia elettrica. Si tratta di dispositivi del tutto simili a quelli in corso di sperimentazione da molto tempo ma dai quali si distinguono per la presenza di un componente essenziale per la regolarizzazione dei flussi e cioè per trasformare un’energia pulsante come quella delle onde in una che si mantiene costante per periodi di una durata compatibile con una sua utilizzazione ai fini idroelettrici. Il dispositivo in parola è il serbatoio idropneumatico finora mai utilizzato in applicazioni del genere ma che, ad avviso di chi scrive, è atto a svolgere nel migliore dei modi tale gravoso compito.
Un altro elemento notevole è dato dal diaframma elastico con cui si prevede di assorbire l’energia del moto ondoso per proteggere efficacemente la sponda e, al tempo stesso, produrre energia elettrica. In variante si è prevista la presenza di pannelli solari ed eventuale impianto di sollevamento atto ad incrementare il volume idrico nel serbatoio e quindi all’accumulo dell’energia in esubero.
Caratteristiche fondamentali del sistema sono la sua grande elasticità di esercizio che gli consente di modificare sostanzialmente le modalità di funzionamento al variare dell’intensità del moto ondoso, la possibilità di costituire un accumulo di energia utilizzabile in tempi diversi ed infine il modesto impatto ambientale essendo le opere per la gran parte sotterranee mentre quelle in vista sono del tutto simili alle normali opere di sistemazione del lungomare delle comuni centri balneari di cui possono costituire una efficace, utile sistemazione.

A chiusura della proposta qui riportata si fa rilevare un difetto fondamentale che contraddistingue negativamente tutte le modalità di produzione eoliche di energia per gli eccessivi costi di manutenzione ed esercizio. Si pensi ad esempio alle fonti eoliche o quelle fotovoltaiche disseminate in una miriade di eliche rotanti o di pannelli solari. La barriera frangiflutto qui descritta presenta il vantaggio notevolissimo di concentrare la produzione di un tratto di costa marina della lunghezza di parecchi chilometri in una unica centrale idroelettrica ottenendo il duplice vantaggio di compensare gli sbalzi di energia che vi si riscontrano ed al tempo stesso di facilitare l’esercizio essendo da gestire una singola centrale.

INDIETRO  AVANTI

RETE MISTA A GRAVITA’ E SOLLEVAMENTO MECCANICO

 

 

Rete montana.

Esempio di piccolo acquedotto funzionante a gravità
Esempio di piccolo acquedotto funzionante a gravità con integrazione a solevamento meccanico

 

Rete montana,

Allorquando le fonti poste a quota elevata  non presentano una producibilità sufficiente per far fronte alle punte di consumo dell’utenza, si deve per forza ricorrere all’integrazione di portata da fonti poste a quote inferiori o comunque ad acqua di altra origine che deve essere sollevata meccanicamente per essere immessa nelle reti in argomento le quali, per assunto di base, sono reti di tipo montano e come tali altimetricamente elevate. Presupposto di base, in tali casi, è quello di privilegiare l’utilizzazione dell’acqua prodotta dalle fonti in quota atte, come ripetutamente detto, ad evitare ogni consumo di energia elettrica, nel mentre la rete di distribuzione deve, anche in questo caso, rientrare nel tipo indicato come rete ideale nel capitolo “rete montana funzionante a gravità”  (vedi schema idraulico in calce) in quanto rappresenta una razionale soluzione dei relativi problemi. La particolare e già descritta costituzione della rete di distribuzione offre, anche nel caso delle reti miste di cui qui si discute, notevoli vantaggi nel sollevamento della portata integrativa in quanto quest’ultimo può essere relativamente modesto poiché ci si può limitare ad immettere l’intera portata integrativa nelle reti secondarie di distribuzione poste alle quote più basse, contenendo quindi la prevalenza entro valori minimali. Trattandosi di acqua sollevata meccanicamente gli impianti di pompaggio sono del tipo a pressione variabile asservita alla pressione di rete rilevata nei punti caratteru’istici della rete e trasmessa in tempo reale all’impianto di telecontrollo. Ovviamente tutta l’acqua distribuita a gravità viene riservata per intero alle reti secondarie superiori e solo l’eventuale eccedenza a quelle inferiori. In questo senso un importante contributo può derivare dall’utilizzazione di serbatoi regolati a livello imposto ora per ora in quanto consentono di limitare  l’intervento delle pompe suppletive ai soli periodi di insufficienza delle fonti a gravità. Da rilevare invece come il metodo di regolazione con galleggianti, attualmente molto diffuso,  non esclude l’intervento delle pompe anche nelle  giornate in cui la portata immessa a gravità dovrebbe essere sufficiente a coprire il fabbisogno ma invece non lo è perché i galleggianti impongono la messa in moto delle pompe tutte le volte che i livello dei serbatoi cominciano a diminuire-

Schema rete di ridistribuzione per teritorio ad altimetria molto varia con doppia rete (adduzione e distribuzione)
Esempio di rete di ridistribuzione per teritorio ad altimetria molto varia con doppia rete (adduzione e distribuzione) efunzionante interan’ìmente  a gravità

 

IL SOTTOSUOLO COME VALIDA RISORSA NELLA RISOLUZIONE DELLA IMMINENTE CRISI IDROPOTABILE

Il sottosuolo per grandi accumuli iodrici

 

La crisi idrica che si profila ad un orizzonte non molto lontano sollecita soluzioni valide. Quelle che vanno oggi per la maggiore sono il risparmio dell’acqua disponibile e l’aumento della produzione delle fonti.
In tema di risparmio idrico alcuni dei provvedimenti sempre più spesso raccomandati sono fatalmente destinati ad ottenere risultati del tutto esigui. Infatti non si tiene presente un fattore determinante e cioè la diretta dipendenza delle perdite occulte degli acquedotti con la pressione di esercizio degli stessi che fa sì che, quand’anche la gran parte degli utenti praticasse una rilevante economia dell’acqua consumata, la minor portata delle condotte di rete finirebbe per incrementare la pressione e quindi le perdite annullandone in parte i benefici. A fronte dei risultati così modesti si devono rilevare i disagi per la popolazione ed il minor introito economico degli enti di gestione il cui bilancio deve comunque risultare in pareggio. Senza entrare in dettaglio in un argomento così vasto e complesso, si auspica che i futuri sistemi di approvvigionamento idropotabile siano invece in grado di fornire all’utenza l’acqua di buona qualità senza imporre limitazioni di consumo d inoltre senza dover ricorrere a sistemi speciali e costosi come ad esempio quello inerente la potabilizzazione di acque marine o di quelle reflue delle fognature. A tale scopo viene quì proposto un intervento di sicura efficacia e ancora sottovalutato e cioè il semplice accumulo in grandi e grandissimi serbatoi dell’acqua potabile prodotta in eccesso durante i periodi di bassa richiesta dell’utenza. Viene così resa possibile una buona compensazione plurimensile delle portate che può aggiungersi alla compensazione giornaliera generalmente adottata nella maggior parte degli acquedotti italiani con risultati totalmente diversi.

È ben noto che, sia nella producibilità delle fonti e sia nella richiesta di quel bene prezioso ed essenziale che è l’acqua, sussistono dei consistenti sfasamenti temporali dovuti alle forti escursioni di portata non solo delle fonti che normalmente alimentano gli acquedotti e cioè sorgenti, falde e corsi d’acqua soggette inevitabilmente alla aleatorietà del tempo atmosferico ma anche della richiesta idrica dell’utenza. I due fenomeni sono nettamente contrapposti in quanto è proprio quando difettano le fonti che aumentano le richieste facendo viepiù rilevare l’importanza dei grandi accumuli per la risoluzione dei problemi che vi si verificano.
Una modalità molto efficace di accumulo di rilevanti volumi idrici è quella dei bacini artificiali d’alta montagna che nei tempi andati erano ottenuti tramite dighe di ritenuta. Si tratta però di opere che non si possono più realizzare per molteplici ragioni tra cui la mancanza di aree adatte, i danni ambientali che ne derivano, le perdite d’acqua causate dall’evaporazione, il progressivo interrimento dei bacini, la possibilità di franamento delle sponde ecc. ecc.
Le altre possibilità di realizzare grandi accumuli in superficie si limitano ai serbatoi in cemento armato ma, pur con il progressivo miglioramento della tecnica edilizia, l’invaso massimo che si riesce a realizzare in questo modo può essere stimato in circa 200000 mc che sono del tutto insufficienti per gli scopi di cui si discute.
Esaurite le usuali possibilità di realizzare rilevanti invasi idrici nel terreno non resta che passare al sottosuolo che presenta in tale campo favorevolissime condizioni. Si noterà come sono molti i settori del moderno vivere civile che hanno trovato sottoterra la condizione ideale per ubicarvi importanti sevizi. Tale tecnica ha permesso di dotare le grandi città delle ferrovie metropolitane che rappresentano senza dubbio il miglior sistema di trasporto urbano. Nel campo dello stoccaggio di materiali e mezzi d’opera eccellono i garage per autovetture ed i magazzini anche di grandi dimensioni ed i locali accessori in genere. Nelle grandi metropoli sono molti gli esempi di ubicazione nel sottosuolo di locali a usi multipli. Tra tutti si segnala quella sorta di tempio dello shopping su quattro livelli che è il modernissimo Forum des Halles di Parigi con negozi, ristoranti, piscina, giardini, fontane e la più grande stazione metropolitana della capitale francese. Al centro vi si trova addirittura una piccola piazza con monumento centrale: il tutto è stato ottenuto scavando l’area un tempo occupata dai magazzini generali.

Il Forum des Halles di Parigi: una piazza con negozi, piscine, ristoranti interamente ricavata nel sottosuolo

Nel campo dei servizi idrici non si possono tralasciare gli interventi posti in essere sotto terra dalla città di Como per trasferirvi gli impianti di stoccaggio e trattamento delle acque potabili e di quelle di fognatura liberandone totalmente il territorio urbano.

E’ da rilevare come la caratteristica di vitale importanza degli strati profondi della terra sia quella di costituire da sempre l’ideale mezzo di accumulo di ingentissimi volumi d’acqua che, raccolti a seguito degli eventi atmosferici, vengono successivamente e progressivamente restituiti al suolo per alimentare fiumi, falde, sorgenti ecc, in definitiva per consentire la sopravvivenza di piante, animali ed esseri umani. Accumularvi artificialmente rilevanti volumi d’acqua potabile, come viene proposto in questa nota, rappresenta pertanto la continuazione di un procedimento naturale con tutti i vantaggi che gli sono propri e che si rivelano particolarmente utili per la risoluzione della carenza idrica di cui si è detto.

Tra tutte le possibilità si cita in primo luogo una tecnica che sta dando buoni risultati è cioè la ricarica artificiale di falda consistente nell’immissione forzata nel sottosuolo di grandi volumi idrici durante i periodi di piogge intense allo scopo di poterne molto efficacemente usufruire in tempi ed in luoghi diversi ed anche molto lontani.

In secondo luogo, rinviando la trattazione della tecnica di ricarica di falda alle molte pubblicazioni degli specialisti della materia, si vuole specificatamente parlare di grandi bacini ricavati nel sottosuolo con diverse metodologie, ancora poco utilizzate ma dalle quali deriveranno in futuro, in maniera del tutto analoga, sicuramente dei grandi benefici.

Il primo esempio di grande bacino sotterraneo prende spunto dal lavoro del prof. Pier Gino Megale dell’Università di Pisa “USO DEGLI ACQUIFERI LOCALI PER LA REGOLAZIONE DELLE RISORSE IDRICHE DELL’ISOLA D’ELBA” visibile anche su internet , che è basato sulla realizzazione di un serbatoio sotterraneo da 2.000.000 mc di capacità utile tramite diaframmi di impermeabilizzazione che circondano la piana di Marina di Campo nell’Isola d’Elba mediante una tecnologia che potrebbe benissimo essere adottata in molti altri casi. Si riportano nel seguito ed in sunto le sue modalità d’uso e le possibilità offerte in particolari situazioni territoriali.

 

tracciato galleria serbatoio Elba
Veduta del serbatoio-galleria progettato per l’Isola d’Elba ma non realizzato

Sezione tipo del serbatoio – galleria per l’Isola d’Elba

Si verifica sovente che una vallata anche molto ampia sfoci nel mare essendo costituita da sponde impermeabili profonde sulle quali si sono depositati attraverso i secoli, grandi quantità di ghiaie o di materiali sabbiosi comunque permeabili e che si elevano verso l’alto fino a costituire delle grandi pianure. In tali luoghi, pur essendo presenti nel sottosuolo delle ricche falde alimentate da bacini imbriferi di grande estensione, non è possibile prelevarvi acqua per usi potabili in quanto vi si verifica l’invasione di acqua salata, nel mentre tutta l’acqua dolce che vi transita si scarica inutilizzata a mare. Una buona soluzione potrebbe consistere nella costruzione, lungo il bordo del mare, di un diaframma impermeabile del tipo di quello prima citato che, spinto fino ad incastrarsi nello strato impermeabile profondo, sarebbe atto ad isolare idraulicamente la vallata dal mare stesso e a realizzarvi un enorme bacino sotterraneo nel quale si raccoglierebbero tutte le acque di monte senza possibilità alcuna che abbiano a disperdersi in mare nel mentre sarebbe impedita la risalita del cuneo salino che le rende oggi inutilizzabili. Si tratta quindi di una ottima possibilità per rendere disponibili grandi masse d’acqua ad uso degli acquedotti.

Una fresa per lo scavo ed il rivestimento delle gallerie in roccia

Un secondo modo di realizzazione nel sottosuolo di imponenti volumi di invaso d’acqua potabile è l’utilizzazione di un’opera normalmente usata per altri scopi e specialmente per il transito dei mezzi di trasporto, e cioè una galleria scavata nella roccia e che si presta benissimo per raccogliere e conservare al fresco, al buio e al riparo dai raggi del sole ingenti quantità di acqua. Sussistono numerosi esempi di gallerie/serbatoio utilizzate da anni con risultati ottimi (vedi figure qui sotto ) e tra di questi anchehttp://www.altratecnica.it/un-maxi-serbatoio-per-l-acquedotto/roposta avanzata da chi scrive per la risoluzione dei problemi idropotabili dell’Isola d’Elba ed il cui progetto di massima è visibile in questo sito .

 

Esempi di serbatoio-galleria.: i serbatoi esistenti di Aby (Torino) e di Napoli .

I vantaggi offerti da opere di questo genere sono molteplici e consistono nella possibilità di drenare aree molto vaste grazie alla notevole estensione longitudinale della galleria che consente di raggiungere fonti molto distanziate e nel poter alimentare, in caso sia possibile costruirla ad una opportuna quota altimetrica, una gran parte del territorio direttamente a gravità. La caratteristica più saliente del serbatoio/galleria resta comunque il suo notevole volume utile che consente di conservare per i periodi di grande scarsità idrica generalmente dovuti alla siccità, le acque che precipitano abbondantemente durante le stagioni piovose e poter quindi far fronte ai fabbisogni che aumentano notevolmente in particolari occasioni come ad esempio per l’aumento della presenza turistica in coincidenza con le siccità estive. Vi si deve aggiungere che la moderna tecnica costruttiva consente di scavare in terreni di qualsiasi natura e di rivestire con materiali appropriati gallerie di grande sezione in maniera rapida, sicura ed economica. La tecnica consente anche l’ulteriore vantaggio di poter captare le eventuali falde che si incontrano nel tracciato della galleria come pure quella di escluderle e di lasciare inalterata l’idrologia del territorio attraversato nel caso che le condizioni locali lo impongano.

Una terza possibilità di stoccare nel sottosuolo grandi volumi d’acqua potabile è data dalla costruzione di condotte adduttrici di diametro notevolmente maggiore di quello strettamente necessario per il trasporto della massa liquida. In situazioni particolari di lunghe condotte di adduzione che collegano le fonti alla rete di distribuzione senza grandi dislivelli altimetrici del suolo è possibile raggiungere tale risultato trasformandole in grandi contenitori sub orizzontali che oltre ad invasare grandi volumi d’acqua consentono anche apprezzabili economie energetiche date dalle minori perdite di carico che le caratterizzano.

Profilo schematico di un serbatoio-adduttore della lunghezza di 20 Km ed un volume utile di 2.000.000 di mc

Un esempio di adduzione-serbatoio è visibile nel sito prima citato e riguarda un progetto non realizzato e relativo alla costruzione del serbatoio di accumulo per l’acquedotto della città di Venezia.

 

Planimetria di serbatotio-adduttore per Venezia

 

Sezione tipo del serbatoio adduttore per Venezia

Per concludere positivamente questa breve nota si riportano alcuni concetti generali del resto già espressi in altri articoli di questo sito. I problemi che presenta l’approvvigionamento idropotabile italiano sono tutti di grande entità e non possono certamente essere risolti se non con interventi anch’essi imponenti e molto impegnativi per i costi e per le modalità da adottare. Vi figurano il rifacimento delle reti acquedottistiche obsolete, la riorganizzazione generale del sistema di approvvigionamento con acquedotti di ampia estensione studiati in funzione degli impianti di telecontrollo e telecomando che prevedano, tra l’altro, una regolazione diffusa della pressione di esercizio, una rete di collegamento tra i vari acquedotti che consenta facili interscambi di portata ecc. ecc. Tra gli interventi consigliati un posto di primo piano va anche assegnato alla compensazione plurimensile delle portate da attuarsi con grandi e grandissimi serbatoi di accumulo. Vista l’impossibilità di costruire tali opere in superficie è necessario rivolgere l’attenzione al sottosuolo che presenta, in questo senso, favorevolissime occasioni. Nell’articolo se ne descrivono alcune veramente interessanti. E’ questo un argomento molto importante più volte trattato da chi scrive ma che è stato qui ripreso per ampliarlo con i riferimenti ai vari articoli specifici e soprattutto per corredarlo di una utilissima relazione redatta da autorevoli studiosi per documentare l’opportunità di trasferire nel sottosuolo strutture di vario genere e tra di queste senza dubbio anche i grandi serbatoi di accumulo d’acqua potabile che formano l’oggetto specifico della presente nota.

ACQUEDOTTI ITALIANI : TRADIZIONI O ANOMALIE?

Acquedotti: tradizioni o anomalie?

1) PREMESSA

Le notizie diffuse su un problema essenziale come quello del rifornimento idrico in generale e specificamente su quello idropotabile si riferiscono sempre più spesso alla crisi incombente che lo porterà in primo piano per la sua gravità. Si invocano provvedimenti i più disparati come il risparmio del prezioso elemento, rifare le reti acquedottistiche al fine di ridurre le enormi perdite occulte che vi si riscontrano ma, ad avviso di chi scrive, si omette di spiegare con sufficiente chiarezza come la gran parte degli acquedotti italiani siano, nella realtà, affetti da mali che si vuole ignorare e che pertanto diventano impossibili da curare ed infine come molti di essi siano, con piena coscienza dei responsabili, concepiti con sistemi antiquati fonte di gravi inconvenienti. Sono queste anomalie che formano l’oggetto della presente nota. Alcune di esse sono meglio documentate negli articoli specifici del presente sito, ma fornirne qui un elenco che le raggruppa tutte assieme è comunque utile per disegnare un quadro sintetico ma realistico della situazione attuale.

2) DIFETTI SOSTANZIALI MOLTO DIFFUSI

La prima deficienza degli acquedotti italiani da menzionare è la endemica scarsità di apparecchiature di misura e controllo che li affligge in maniera inammissibile nonostante che, a tale riguardo, esistano precise disposizioni di legge. Moltissimi acquedotti sono privi dei più elementari mezzi di controllo delle portate e pressioni in gioco e, quando anche presenti, tali mezzi sono per lo più affetti da irregolarità dovute alla mancata manutenzione. Non è infatti raro imbattersi in strumenti che, funzionando da decenni senza essere mai stati assoggettati alle indispensabili operazioni di controllo e taratura, forniscono false informazione sui dati di esercizio reale così come esistono enti gestori che, per effettuare le determinazioni e le denuncie di legge, utilizzano dati estremamente aleatori come ad esempio la portata teorica di una pompa o quella, ancora più aleatoria, di un pozzo che da anni non vengono più sottoposti a verifiche di portata. Anche i contatori delle utenze private dopo una decina di anni dalla loro installazione non possono garantire dei buoni risultati e denunciano una inerzia iniziale che porta a trascurare tutti i piccoli prelievi. In conclusione sussiste molta incertezza sull’entità dei volumi d’acqua che il gestore consegna agli utenti nel periodo di fatturazione, ed in quelle immesse in rete sia totali periodo per periodo sia istantaneamente minuto per minuto: ne derivano inevitabili errori in tutte le determinazioni tecniche ed economiche di gestione degli impianti ed altresì nei dati diffusi dai giornali o in quelli posti in discussione da tecnici ed autorità.
Da questo disastrato stato di fatto deriva un danno ancora più grave e cioè la mancata determinazione, da parte di molti servizi acquedottistici, delle perdite d’acqua reali del sistema e quindi una gestione alla cieca degli impianti oppure, soluzione ancora più grave, un esercizio basato su dati fasulli che possono portare alla assunzione di decisioni importanti ma di nessun risultato pratico quando non siano addirittura dannose.
Passando ad un elemento importante come quello del controllo della pressione, non ci si rende conto quanto sia utile tenerla sotto controllo non solo nel punto iniziale della rete di distribuzione, come si usa fare nella migliore delle ipotesi, ma anche in tutti gli altri punti caratteristici della rete e delle condotte di adduzione! Opportuno quì ribadire il principio ben noto che attribuisce agli eccessi di pressione molti dei mali degli acquedotti, primi tra tutti le enormi perdite occulte accusate dalla gran parte degli acquedotti italiani.
Altre misure importanti sono quelle di controllo della qualità dell’acqua che non è sufficiente vengano effettuate solo in uscita dagli impianti di produzione ma invece devono essere diffuse in rete in modo da consentire il controllo di qualità continuativo in tutti i punti caratteristici del territorio servito .
La presenza delle apparecchiature sinteticamente descritte riporta la discussione su un altro tema importante e cioè sugli impianti di telecontrollo e telecomando centralizzati che ne costituiscono un utilissimo complemento. Molti acquedotti ne sono assolutamente privi, altri hanno impianti rudimentali che eseguono solo qualcuna delle funzioni che vi sono predisposte. Il fatto più eclatante è la assoluta mancanza, nella quasi totalità degli acquedotti, dell’uso vero delle apparecchiature in oggetto. Non si è capito che l’avvento dei moderni sistemi con possibilità di ricevere in tempo reale i dati reali di funzionamento dell’intero servizio idrico a partire dalle fonti per arrivare, passando per tutte le apparecchiature intermedie, fino all’ultimo utente, ed al tempo stesso di prendere in automatico le decisioni più appropriate, consente di concepire reti acquedottistiche diverse da quelle tradizionali. Nulla di tutto questo: si sono automatizzate le stesse operazioni che un tempo erano compiute manualmente ma lo schema di funzionamento degli impianti è lo stesso di 50 anni fa con volontaria rinuncia degli enormi benefici di cui si è detto e che la moderna tecnologia offre.
Un’altro gravissimo inconveniente che interessa tutta l’area italiana è la mancanza di una tutela vera dall’inquinamento delle falde che si sarebbe per tempo dovuta attuare intervenendo efficacemente, come prescrive la legge, in tutte le aree di protezione. Ne è derivata la necessità di sostanziali modifiche nelle varie captazioni con abbandono di falde ottime ed abbondanti per privilegiarne altre più sicure dal punto di vista sanitario ma di qualità e portata nettamente inferiori. Tipico esempio nel veneto la falda artesiana di una cinquantina di metri di profondità. Forniva enormi portate di ottima acqua fresca e la si è dovuta abbandonare sostituendola con prelievi a 300 e più metri di profondità di acqua peggiore e non altrettanto costante come portata.

3) LE ANOMALIE SPECIFICHE

La breve e senz’altro incompleta panoramica dei difetti più comuni degli acquedotti italiani inizia dalle fonti e particolarmente dai pozzi artesiani. In questo campo si sono commesse irregolarità di ogni tipo. Quelle più rilevanti sono la quasi totale mancanza di dati reali delle falde sia prima della costruzione sia successivamente durante il suo sfruttamento. Le conseguenze sono incredibili: pozzi che prelevano portate superiori alla disponibilità della falda con conseguenze gravi che in certi casi sono arrivate ai cedimenti del suolo. Pozzi che, per aumentare la portata emunta, pescano contemporaneamente da più falde aventi caratteristiche diversificate sia come qualità dell’acqua sia in fatto di pressione: a causa del collegamento diretto ha luogo il travaso dell’acqua dall’una all’altra falda con danni gravissimi. In altri casi si attua una continua opera di potenziamento ottenuta con tutti i mezzi possibili e cioè con aumento del pompaggio o del numero dei pozzi in funzione, potenziamento reso necessario dal continuo peggioramento della falda e dalla necessità di mantenere la portata in concessione. Si entra in un inarrestabile circolo chiuso che porta inevitabilmente alla crisi.
Una volta captata l’acqua è, di norma, immessa nei serbatoi di compensazione delle portate aventi cioè la funzione di accumulare l’acqua in esubero rispetto al fabbisogno per renderla disponibile durante i consumi di punta. Anche questa azione è generalmente scorretta. La stragrande maggioranza dei serbatoi sono regolati in funzione del livello di massimo invaso, raggiunto il quale la produzione viene sospesa o diminuita per essere ripresa quando il livello decresce. Si tratta di una regolazione trogloditica vista con favore dai gestori i quali ritengono che i serbatoi sempre pieni rappresentino una grande sicurezza di esercizio. Non si è invece capito che un funzionamento del genere, adottato nella stragrande maggioranza dei casi, annulla i benefici della funzione propria degli invasi per la gran parte delle giornate annue in quanto il serbatoio si svuota, collaborando efficacemente a migliorare il servizio, soltanto nei giorni di forti consumi, mentre in tutti gli altri casi, che sono la maggioranza, il serbatoio è sempre pieno e le fonti sono costrette a modulare la portata seguendo pedissequamente le richieste istantanee dell’utenza il che è come dire produzioni nulle la notte e massime nelle ore di punta. Al contrario una razionale utilizzazione delle capacità di invaso dei serbatoi consentirebbe di capovolgere tale stato di fatto mediando la produzione o, addirittura maggiorando la produzione notturna rispetto quella giornaliera con vantaggi per lo sfruttamento delle fonti e per il minor costo dell’energia elettrica notturna quando necessaria per l’emungimento.
Volendo parlare del trasporto dell’acqua dalle fonti al serbatoio di accumulo, che molto spesso è ubicato molto lontano, bisogna distinguere tre sistemi : a gravità quando le fonti si trovano a quote superiori della rete di distribuzione, a sollevamento meccanico nel caso contrario e misto gravità-sollevamento quando il dislivello è modesto ed è necessaria l’integrazione saltuaria delle pompe.
Le anomalie più notevoli si riscontrano nelle metodologie di pompaggio. Il problema da risolvere è dato dal fatto che la portata da sollevare non è costante ma varia in funzione delle richieste dell’utenza. In tali casi il sistema più diffuso di modulazione è quello già citato basato sull’azione del galleggiante presente nel serbatoio di arrivo che ferma la pompa a serbatoio pieno e la rimette in moto quando il livello comincia a calare. Un altro sistema più sofisticato di recente adottato è l’uso di pompe a velocità variabile che sono in grado di modulare la portata in funzione del livello del serbatoio di arrivo: la portata è massima a serbatoio vuoto per diminuire ai livelli alti dell’invaso. Ambedue i sistemi sarebbero da bandire perché, come già detto, riducono enormemente la funzionalità del serbatoio per seguire direttamente con la produzione la portata richiesta dall’utenza. Un funzionamento ottimale sarebbe invece quello, raccomandato dalla letteratura tecnica ma mai messo in pratica, che solleva 24 ore su 24 una portata costante e pari alla media giornaliera. Sono evidenti i vantaggi: sfruttamento continuo a portata più bassa e quindi ottimale delle fonti e minima perdita di carico delle condotte e quindi economia energetica di pompaggio.
Un metodo ancora migliore, a giudizio di chi scrive, sarebbe quello che, tutte le volte che le condizioni del momento lo consentono, pompasse di più alla notte che al giorno il che è attuabile con una diversa regolazione del serbatoio come ad esempio quella a livelli imposti ora per ora.
I difetti citati si accentuano nel terzo sistema di adduzione cioè in quello misto gravità/sollevamento meccanico. In questo caso si fa intervenire la pompa tutte le volte che la sola adduzione a gravità non ce la fa a coprire il fabbisogno e cioè quando ha luogo il calo del livello del serbatoio al di sotto di un determinato punto di guardia. Con i normali comandi a galleggiante che, come detto limitano la funzionalità del serbatoio tendendo sempre a mantenerlo pieno, si constata come anche nei giorni di bassi consumi per i quali sarebbe più che sufficiente la portata addotta a gravità, ha luogo ugualmente l’intervento giornaliero delle pompe in quanto esse tendono, come già spiegato, a mantenere il serbatoio pieno, mentre durante la notte l’acqua in arrivo a gravità è costretta a sfiorare.
Passiamo ora a discutere dell’elemento base degli acquedotti nel quale si riscontrano le anomalie più eclatanti: la rete di distribuzione. Si può affermare senza tema di smentita che in tutte le nostre case di abitazione, se servite direttamente dall’acquedotto senza interposizione di apparecchiature di regolazione individuale, si registra un fenomeno assurdo: di notte quando l’uso dell’acqua è limitatissimo si ha una pressione inutilmente elevata e di giorno, soprattutto nel momento di maggior bisogno, la pressione di consegna cala. Questo fenomeno, dovuto alla diffusissima ed errata consuetudine di porre in testa alla rete il serbatoio di carico, è causa di gravi mali, primo tra tutti un vertiginoso aumento notturno delle perdite occulte. Esempio classico di una concezione sbagliata delle reti di distribuzione è la presenza dei serbatoi pensili che dominano il panorama delle pianure italiane: opere costose, brutte, ingombranti, di scarsa utilità pratica e fonte, spesso, delle citate anomalie di esercizio. Molti di essi sono fuori servizio da anni, altri devono essere abbattuti.

Il serbatoio pensile di Marghera (Venezia). Un’opera mastodontica completamente inutile

I provvedimenti, nella realtà poco adottati, consistono prima di tutto nel funzionamento a pressione variabile della rete con asservimento alle pressioni rilevate in tempo reale nei punti strategici ed in secondo luogo nella regolazione della pressione della rete con valvole di modulazione anch’esse asservite alla pressione effettiva. Si tratta di metodi di sicuro successo ma poco citati dalle letteratura tecnica e poco usati dai gestori.
Un’ultima anomalia: l’improprio impiego delle pompe a velocità variabile. La caratteristica precipua di dette macchine è quella di poter variare sia la portata sia la pressione di pompaggio in funzione delle necessità contingenti. Esse quindi si prestano ottimamente nel caso sia necessario che ad un aumento della portata sollevata corrisponda anche un aumento della pressione di pompaggio. Caso tipico quello dell’alimentazione di una condotta molto lunga la quale ad ogni aumento di portata richiede anche una maggior pressione. Ma non sempre è così. Ad esempio nel caso di sollevamento dell’acqua da un serbatoio ad un altro posto immediatamente sopra, si ha una prevalenza di sollevamento pressoché costante anche al variare della portata ed in questo caso adottare le pompe a velocità variabile, come spesso si usa fare per la facilità di modulazione della portata innalzata, è un errore! Molto meglio, in questi casi caratterizzati da prevalenza costante, usare pompe tradizionali a giri fissi meno costose e di migliore rendimento.

4) CONCLUSIONI

Si è fatta una breve disamina di alcuni dei gravi difetti di costituzione e di gestione presenti negli acquedotti italiani e dovuti ad un tempo alla tecnica troppo tradizionalista dei progettisti e dei gestori, ed inoltre alle false indicazioni della letteratura tecnica e ad una istruzione anch’essa sorpassata impartita ai tecnici ed agli ingegneri durante i loro studi. Nella breve nota, alla descrizione delle anomalie macroscpiche, fa seguito un accenno di alcuni rimedi. Maggiori dettagli e dimostrazioni possono essere letti in altre parti del presente sito.

L’ACQUEDOTTO DI PORTOGRUARO – PICCOLA STORIA

Il municipio di Portogruaro dove si è tenuta la conferenza alla presenza di autorità e pubblico

Il giorno 30 novembre 2008 nel Municipio di Portogruaro si è tenuta una conferenza per illustrare la storia dell’acquedotto cittadino in occasione del suo centenario dalla nascita.

Il manifestino che ha pubblicizzato la conferenza

La presentazione alle autorità ed al pubblico è proseguita con la narrazione delle interessanti vicissitudini del rifornimento idropotabile di Portogruaro durante il secolo trascorso dalle sue origini vivissitudini che vengono in parte omesse nella presente nota per passare alla parte conclusiva relativa al lavori di potenziamento aventi un  indubbio interesse attuale.

Anno 1908 – inaugurazione dell’acquedotto di Portogruaro

La situazione precedente gli anni 1974-75 di realizzazione delle opere di sistemazione. presentava uno stato di grave precarietà in quanto l’alimentazione della città era pesantemente condizionata  dal serbatoio pensile di Portovecchio che costituiva il punto di messa in carica della rete di distribuzione ad una quota altimetrica di  soli m. 22 sul suolo ed assolutamente insufficienti per una normale alimentazione dell’utenza come risulta schematicamente dal seguente profilo piezometrico schematico.

La linea piezometrica schematica nella situazione antecedente la esecuzione delle opere di sistemazione (1974-75) A = ora di minimo consumo B = ora di consumo medio C = consumi di punta

portato la demolizione e ricostruzione del serbatoio pensile ad un’altezza adeguata alle caratteristiche di portata e di carico carico .

Schema della soluzione classica di sistemazione. A = ora di minimo consumo B = ora di consumo medio C = consumi di punta.  trattasi di soluzione non realizzata

 

La soluzione effettivamente realizzata è consistita nella costruzione di un grande serbatoio di accumulo  ubicato a terra ed in prossimità del serbatoio pensile di Portovecchio, nel mantenimento dell’esistente serbatoio pensile destinandolo elusivamente al funzionamento in presenza delle basse portate  richieste dall’utenza e nell’adozione di pompaggio a pressione variabile e maggiorata in tempo reale in funzione dell’accresciuto fabbisogno. IL sistema è stato dotato di un capace serbatoio di accumulo e compensazione giornaliera delle portate con annessa nuova centrale di sollevamento automatica a pressione variabile di mandata in rete

 

Schema del funzionamento ad opere di sistemazione ultimate. La pressione di consegna all’utenza si mantiene costante sia di giorno che di notte essendo la pressione di partenza dalla centrale che varia in funzione del fabbisogno. L’esistente serbatoio pensile alimenta la rete solo nelle ore di basso consumo soprattutto notturne

 

Il nuovo serbatoio di accumulo e compensazione con adiacente centrale di sollevamento a pressione variabile delle portate realizzati in prossimità dell’esistente serbatoio pensile

L’esercizio del nuovo sistema acquedottistico ha confermato attraverso i decenni l’alta qualità del servizio idropotabile di Portogruaro con pressioni e portate di consegna sempre ottimali ed economia di esercizio.

LA RAZIONALIZZAZIONE DELLE RETI DI DISTRIBUZIONE D’ACQUA POTABILE A SOLLEVAMENTO MECCANICO – TERZO ESEMPIO PRATICO

Acquedotti razionali

 

Negli anni 70 l’autore di queste note ha collaborato alla progettazione, costruzione ex novo e messa in servizio attivo dell’acquedotto della città di Pordenone appena diventata capoluogo di provincia e precedentemente alimentata d’acqua potabile casa per casa tramite pozzi artesiani privati. Pur trattandosi di un rifornimento idropotabile le cui caratteristiche contrastano con i concetti di base propugnati in questo lavoro, si ritiene ugualmente di descriverlo in quanto costituisce un valido esempio di acquedotto concepito in funzione del territorio da servire. Alla fine del capitolo si formulerà comunque una ipotesi di soluzione conforme ai nuovi principi constatandone, anche in questo caso, la validità.
Non sono in possesso di chi scrive documenti e dati ufficiali per cui la descrizione delle opere dovrà necessariamente far affidamento solo sulla memoria. Anche in questo come in altri casi, gli elementi che saranno indicati potranno differire o essere carenti rispetto alla realtà, saranno comunque sufficientemente rappresentati i concetti informatori degli impianti e si potrà quindi recepirne la validità tecnica.
Innanzitutto è da ricordare una delle regole che alla citata epoca di redazione del progetto era considerata essenziale nella costituzione degli acquedotti e cioè la presenza di una o più vasche di carico della rete di distribuzione. Nel corso dei vari capitoli di questo lavoro si è invece dimostrato come sia da privilegiare non già la pressione di partenza degli acquedotti che la vasca di carico impone bensì quella finale di arrivo dell’acqua al domicilio all’utente.
Ferma restando la regola citata, i problemi da risolvere al momento della di progettazione erano essenzialmente due.
In primo luogo occorreva garantire una piezometrica sempre parallela ad un suolo come quello del capoluogo di Pordenone caratterizzato da una notevole pendenza longitudinale della sua parte nord e da un’ampia area pianeggiante o con poca pendenza di quella posta a sud.
In secondo luogo era giocoforza razionalizzare la captazione e sollevamento dell’acqua avendo fissato, per motivi di sicurezza, la costruzione di due opere di presa e sollevamento differenziate ed ubicate rispettivamente in località Comina dove la falda, assai ricca, si trovava ad una profondità di circa 50 metri sotto il suolo con risalienza limitata ad una ventina di metri sotto il terreno ed in località Torre dove l’acqua della falda, anch’essa posta a 50 metri sotto il suolo, era artesiana ma con una risalienza naturale fin sopra il terreno.
La soluzione progettuale allora definita e poi realizzata è rappresentata schematicamente nell’allegato profilo della fig.1 e può essere così descritta.
L’opera di presa di Comina, posta a nord cioè nella parte superiore del territorio, comprende un pozzo a raggiera tipo Fehlmann con una canna verticale in cemento armato del diametro di tre metri, profonda 55 m. e con due raggiere orizzontali poste nella falda ghiaiosa a circa 50 m di profondità. Entro il pozzo sono installate le pompe di sollevamento ad asse verticale con motore elettrico posto in alto e linea d’asse lunga una trentina di metri che aziona il corpo pompa immerso in falda a quota 30 m sotto il suolo. Le pompe immettono direttamente l’acqua a 50 sopra il piano campagna nell’adiacente serbatoio pensile da 3000 mc da cui si diparte la rete di distribuzione. Questa soluzione, se da una parte avrebbe assicurato un buon rendimento elettromeccanico di pompaggio che risulta limitato ad una singola breve condotta di mandata, dall’altra faceva nascere il grosso problema della compensazione delle portate in quanto il locale serbatoio pensile, pur rappresentando nel suo genere un’opera eccezionalmente capiente, non avrebbe potuto che effettuare una modesta compensazione nel mentre la sua posizione sopraelevata si prestava bene a costituire una utilissima capacità di riserva a tutela dei disservizi dell’intero territorio pordenonese. La creazione a terra di un capace serbatoio di compensazione giornaliera delle portate è stata scartata a priori in quanto avrebbe comportato un doppio pompaggio con evidenti maggiori costi di costruzione e di esercizio.
D’altro canto non si poteva pensare che, non avendo a disposizione una sufficiente capacità di accumulo, si dovesse far lavorare il pozzo con portate continuamente variabili durante le 24 ore della giornata tipo, essendo invece consigliato un prelievo il più possibile costante e privo di picchi che rappresenta la condizione ideale di sfruttamento della falda artesiana e di sollevamento a mezzo pompe.
Anche in questa occasione un attento esame della situazione locale ha messo in luce delle possibilità veramente interessanti. In dettaglio la risalienza della falda sud ( zona Torre ) che assicurava l’immissione naturale dell’acqua, cioè senza bisogno di pompe, in un grande serbatoio seminterrato, ha consigliato di concentrarvi il volume di compenso di tutta l’utenza e quindi anche quello dell’area nord ( Comina ) nel mentre una particolare costituzione della rete di distribuzione assicurava, come vedremo, per l’impianto di Comina una portata pressoché costante durante le 24 ore della giornata ovviando quindi alla nominata carenza di invaso. Rimaneva compito dell’altro impianto (Torre), immettere in rete, sfruttando in questo caso la notevole capacità del suo serbatoio, una portata variabilissima durante le 24 ore della giornata e quindi atta a coprire l’intera escursione della richiesta idrica di tutta l’utenza pordenonese.

Fig. n. 1 = Profilo schematico dell’acquedotto di Pordenone

Nella figura 1 allegata figurano schematicamente l’andamento del suolo, i due impianti di captazione e sollevamento ed infine la rete di distribuzione caratterizzata da un’area centrale indicata nel disegno come “area urbana ad alimentazione alterna” in quanto rifornita alternativamente dall’uno o dall’altro dei due impianti di produzione descritti. Infatti la rete, pur essendo di tipo unitario per tutta l’area urbana, risulta suddivisa in due parti differenziate per tipo di alimentazione e per dimensioni delle tubazioni stradali da una linea di confine che presenta la caratteristica di regredire verso monte e quindi ridurre notevolmente l’area servita da Comina man mano che aumenta la richiesta idrica e di contro crescere verso valle al verificarsi di basse portate. In pratica durante la giornata, quando sono richiesti grandi quantitativi idrici, la gran parte del capoluogo di Pordenone è alimentato dall’impianto inferiore di Torre nel mentre durante la notte è l’altro impianto ubicato a Comina a rifornire la quasi totalità dell’utenza. Allo scopo le condotte della rete bassa hanno diametri maggiorati ed esplicano quindi un’azione stabilizzatrice della linea piezometrica nel mentre quelle della zona nord alimentata da Comina sono di diametro relativamente piccolo e, a causa della notevole perdita di carico che ne deriva, non possono far fronte ai consumi più rilevanti che, come già detto, sono in gran parte soddisfatti da Torre. Si è potuti giungere a tale risultato progettuale per approssimazioni successive tramite una lunga serie di calcoli di verifica teorica che hanno portato anche all’altro interessante risultato di una buona equivalenza tra i volumi che giornalmente i due impianti producono e immettono in rete e dovuta al fatto che per Torre è determinante soprattutto la portata diurna mentre per Comina è il volume prodotto di notte a consentire detta equiparazione, fermo restando che eventuali discrepanze possono essere via via corrette modificando la regolazione delle valvole di cui si tratta nel seguente capoverso.
Ovviamente il tutto rappresentava soltanto la soluzione teorica del problema nel mentre ben diverse potevano essere le condizioni reali di esercizio e ben diversi i risultati della gestione effettiva degli impianti. Si è quindi deciso di dare all’acquedotto l’elasticità di funzionamento necessaria perché potesse adeguarsi ad ogni evenienza anche diversa da quelle ipotizzate, maggiorando alcune condotte della zona nord e munendole di valvole che consentano una regolazione fine della pressione.

Fig. 2 = Serbatoio pensile di Comina altezza m.50, capacità utile mc 3000. La vasca superiore è dotata di vele radiali atte ad impedire oscillazioni della massa d’acqua in caso di terremoto

 

Il risultato finale è stato quello di una rete avente le seguenti caratteristiche generali.
1. Una doppia alimentazione che dia la massima sicurezza di esercizio e costituita da:
– Un impianto di produzione a nord (Comina) atto a produrre e sollevare una portata abbastanza costante nelle 24 ore della giornata tipo e per un volume giornaliero all’incirca corrispondente alla metà della richiesta totale giornaliera. Il serbatoio pensile da 3000 mc rimane a guardia dell’intero territorio posto ai suoi piedi costituendo una riserva pronta ad entrare in rete in caso di disservizi vari;
2.Un impianto di produzione a sud composto da pozzi a risalienza naturale che alimentano un serbatoio di compensazione di grande capacità atto ad immagazzinare di notte ed a restituire di giorno tutta l’acqua necessaria per coprire le punte di consumo di tutta la città, effettuando la compensazione giornaliera atta a garantire che da ambedue le fonti possa essere captata costantemente la sola portata media giornaliera.
3. Una rete di distribuzione con una piezometrica sempre parallela al suolo e con una pressione sul suolo corretta.
4. La possibilità di regolare l’intervento dei due impianti di produzione e sollevamento tramite manovra delle valvole.

Serbatoio pensile di Torre, altezza m. 40 , capacità utile mc 1000

Alla data attuale chi scrive queste note non è al corrente della situazione corrente dell’acquedotto di Pordenone essendo la descrizione su riportata relativa all’epoca della sua costruzione. Come tale essa rappresenta un valido esempio di progettazione e realizzazione di un complesso acquedottistico importante ed di cui si ritiene utile conservare la documentazione.
Sicuramente una progettazione moderna ne differirebbe notevolmente potendo, ad esempio, consistere nel mantenimento degli stessi concetti base delle opere descritte sopra fatta salva la eliminazione oppure una diversa utilizzazione dei pensili come ad esempio quella raccomandata in uno specifico articolo di questo sito, e l’adozione sistematica del pompaggio diretto in rete tramite pompe a velocità variabile asservite alla pressione di arrivo rilevata presso l’utenza e trasmessa in tempo reale secondo le indicazioni riportate nei vari capitoli di questo lavoro, il tutto integrato da alcune valvole di rete telecomandate ed atte ad una regolazione fine delle pressioni. Una soluzione del genere darebbe agli impianti una maggiore elasticità di funzionamento, una economia di pompaggio dato dalla minor prevalenza delle pompe, una pressione sul suolo regolata ora per ora in base ai consumi ed infine minori perdite occulte a seguito della diminuzione della pressione notturna attuabile in vaste zone confermando, anche in questo esempio, la validità delle soluzioni tecnico-economiche raccomandate in vari articoli di questo sito.

LO SBARRAMENTO MOBILE DI FOCE

Lo sbarramento di foce

1. PREMESSA

Sono ben note le difficoltà in fatto di approvvigionamento idrico dovute alla inevitabile e continua diminuzione di portata delle fonti tradizionali a fronte di fabbisogni idrici che aumentano di anno in anno.
Oltre al rifornimento idropotabile, la crisi investirà particolarmente l’agricoltura che abbisogna di quantitativi molto ingenti del prezioso elemento anche a seguito del progressivo aumento delle aree da assoggettare ad irrigazione.
Per farvi fronte si pensa di utilizzare tutti i mezzi possibili come ad esempio i laghi artificiali da costruire mediante dighe di ritenuta ed atti ad immagazzinare l’acqua dei periodi piovosi per utilizzarla nelle altre stagioni, la metodologia Asr (Acquifer storage and recharge) che prevede, allo stesso scopo, di accumulare forzatamente nel sottosuolo ingenti quantitativi d’acqua durante le stagioni piovose, il riutilizzo delle acque reflue ed infine l’ampliamento e la razionalizzazione degli impianti di captazione delle fonti tradizionali come sono, per l’acqua potabile, quelle di falda e di sorgente e di acqua superficiale potabilizzata, per quella irrigua le prese di acqua superficiali dai fiumi per lo più distribuita grezza.
A giudizio di chi scrive tali mezzi, per le obbiettive difficoltà di esercizio ed per i danni ambientali che ne impediranno in molti casi la realizzazione, non saranno comunque sufficienti per coprire gli aumentati fabbisogni. Uno dei modi per avere a disposizione ingenti quantitativi del prezioso elemento è, a giudizio di chi scrive, quello di utilizzare in maniera diversa da come fatto finora, l’acqua fluente dei grandi fiumi Italiani.
Nella presente nota si analizzano sommariamente le modalità proposte a tale scopo e con il solo intento di sottoporle a discussioni e verifiche di fattibilità per il loro rilevante impegno economico, impatto ambientale ed infine per i rischi di vario genere che, a fronte di indubbi vantaggi, sono però insiti nella loro complessa attuazione. D’altro canto, se mai non si tentassero vie nuove, i vari problemi non sarebbero mai risolti.

2. CARATTERISTICHE DELL’ACQUA FLUENTE NEI FIUMI

I fiumi sono i naturali ricsbarramento di foceettori di tutte le acque che scorrono in superficie e nei primi strati di terreno per tutta la superficie del bacino imbrifero che ognuno di essi sottende.
Vi si raccolgono tre tipi principali di acque:
– quelle naturali che provengono dalle sorgenti, dagli affluenti, dai vari compluvi di tutto il bacino imbrifero e che vi si raccolgono durante i periodi piovosi, quelle che provengono dai primi strati del sottosuolo permeabile cioè dalle acque di percolazione derivate da atmosfera o da corsi d’acqua che costituiscono la falda freatica ed infine quelle dovute allo scioglimento dei ghiacciai montani. In alcuni casi sussiste uno scambio alternato da stagione a stagione tra falda freatica e fiume e da fiume a falda;
– le acque degli scarichi reflui dei centri abitati e delle aree industriali situati all’interno del bacino imbrifero che vengono tutte scaricate nel fiume o nei suoi affluenti dopo aver subito tutte od in parte il trattamento di depurazione. Fanno eccezione i centri posti in prossimità del mare che scaricano direttamente in quest’ultimo;
– le acque di risulta dell’irrigazione delle campagne che finiscono nel fiume di solito cariche di materie inquinanti.

Per l’efficacia delle opere che qui vengono proposte è richiesta obbligatoriamente la depurazione preventiva delle acque di scarico degli impianti fognari di tutti gli abitati e delle zone industriali mentre per quelle dell’irrigazione agricola deve essere evitato ogni tipo di inquinamento delle falde o degli emissari.
In altri termini la condizione di base, in ogni caso necessaria per la salvaguardia ambientale e comunque imposta dalla norme di legge, è quella che vede già completata la realizzazione di tutti gli impianti di depurazione in modo da avere i fiumi percorsi da acque che abbiano riacquistato la purezza che avevano in origine e nelle quali vivano, come un tempo, i pesci. Se tali condizioni non fossero in futuro raggiunte ed i fiumi fossero invece costretti a ricevere grandi quantitativi di sostanze inquinanti, come accade ai nostri giorni, sorgerebbero problemi così gravi per l’ambiente che quello della scarsità d’acqua e del rimedio che qui viene proposto passerebbero in secondo ordine.
I fiumi che qui si considerano sono, in definitiva, esclusivamente quelli percorsi, nella parte finale del loro alveo che è quella che maggiormente interessa il presente lavoro, da grandi portate d’acqua dolce, priva di ogni tipo di materiale inquinante ed in quantitativi molto variabili nel tempo in funzione dell’andamento meteorologico del bacino tributario. Si possono distinguere tre regimi principali:
– regime di portata media e di morbida. E’ questa la situazione normale che non presenta problemi particolari;
– regime di magra durante il quale, a causa della siccità, la portata diminuisce in maniera sensibile fino a provocare, in alcuni casi, disagi nell’alimentazione dei vari servizi . Al verificarsi di siccità eccezionali il livello dell’acqua alla foce del fiume ed anche nella parte terminale del suo alveo, assume livelli inferiori di quelli della marea il chè provoca la risalita del cuneo salino lungo l’asta del fiume con tutti i maggiori problemi che ciò comporta nei riguardi degli utilizzatori.
– regime di piena conseguente a piogge particolarmente intense e prolungate che richiedono eccezionali misure per il convogliamento e lo scarico a mare di ingenti portate. In questo caso non è raro che l’acqua sia torbida per la presenza in sospensione di sabbie finissime o limi raccolti dalle copiose acque lungo il loro tragitto.

3. LO SBARRAMENTO MOBILE DI FOCE

L’opera che viene qui descritta è lo sbarramento di foce, finora realizzato solo in fiumi di secondaria importanza e, a quanto risulta allo scrivente, con il solo scopo di evitare la risalita del cuneo salino lungo l’asta nel mentre, con differenti modalità costruttive e di utilizzazione e previa esecuzione di lavori di sistemazione delle arginature, si ritiene possa svolgere funzioni ben più importanti.
E’ noto come i maggiori fiumi italiani siano muniti nella loro parte terminale di alte arginature costruite allo scopo di contenere le portate di piena. Spesso le arginature comprendono non solo l’alveo vero e proprio ma anche ampie aree golenali che normalmente sono asciutte ma che vengono utilizzate per aumentare notevolmente la portata che essi possono addurre e scaricare in mare e così far fronte anche alle piene eccezionali.
La costruzione dello sbarramento mobile di foce, che viene qui proposto, consiste nella realizzazione, in prossimità dello sbocco a mare, di una traversa di intercettazione di tutta la sezione del fiume con possibilità della sua apertura totale o parziale al fine di consentire lo scarico di portate regolabili in funzione delle disparate necessità che il sistema presenta. Lo sbarramento deve essere in primo luogo in grado, mediante opportuna manovra degli organi mobili, di scaricare a mare in caso di piena, tutta l’acqua in arrivo da monte ed in secondo luogo di trattenere, regolando la portata di transito, i volumi in eccesso rispetto a quelli da scaricare in ogni caso a mare, costituendo un invaso che, oltre all’alveo vero e proprio, comprenda anche i volumi delle golene fino alla sommità arginale e per uno sviluppo verso monte il più esteso possibile. Allo scopo gli argini, come accennato, devono essere sistemati ed adeguati alle nuove funzioni che sono chiamati a svolgere ovviando, in particolare, alla diminuzione di portata che la barriera mobile provoca inevitabilmente nella adduzione e nello scarico a mare ed assicurando il contenimento del massimo volume di invaso possibile.
In pratica la parte terminale dei fiumi, con le opere che qui si propongono, sarebbe trasformata in un lungo lago caratterizzato da ingenti portate sia in ingresso che in uscita e dal quale, grazie anche al grande volume di invaso che ne consente la compensazione, sarebbe possibile prelevare durante tutto il corso dell’anno e quindi anche nei periodi di magra del fiume, notevoli portate da utilizzare ai diversi fini.
Un secondo scopo, determinante ai fini dell’utilizzazione delle acque fluenti, è quello inerente la risalita del cuneo salino durante i periodi di grande siccità, che risulta impedita nella maniera più assoluta dalla presenza della barriera e da un livello di invaso notevolmente più elevato rispetto a quello di marea.
Infine l’entrata dell’acqua fluente nel lungo bacino di accumulo nel quale la velocità si riduce praticamente a zero, garantisce la decantazione di tutto il materiale in sospensione rendendo più facile il trattamento di potabilizzazione necessario per gli usi idropotabile e consentendo, per gli usi irrigui, industriali e vari, di distribuirla nello stato in cui si trova cioè senza alcun trattamento. Soltanto in caso di piene eccezionali del fiume può verificarsi il caso in cui l’acqua del bacini sia resa torbida dalla presenza di sabbie fini e limi in sospensione. Gli impianti di potabilizzazione e quelli di produzione di acqua per le industrie dovranno, allo scopo di farvi fronte, essere dotati di decantazione propria da mettere in servizio in tali casi, nel mentre nessun problema dovrebbe sussistere per i rifornimenti di acqua irrigua, che quantitativamente sono i più rilevanti, in quanto durante i periodi particolarmente piovosi come sono quelli in argomento, sono, generalmente, sospesi.
Si deve anche rilevare come l’utilizzazione dell’acqua fluente secondo le modalità che qui vengono propugnate, realizza indirettamente, ed in modo totalmente razionale, una delle condizioni che saranno in futuro essenziali per poter disporre dei quantitativi necessari ai diversi usi della popolazione, delle industrie e dell’agricoltura e cioè il riutilizzo delle acque reflue opportunamente trattate che tutte le attuali disposizioni di legge e le necessità obbiettive, richiedono.

Esempio schematico di territorio organizzato per ll completo riciclo delle acque

In pratica l’intero ciclo delle acque subisce, con le opere in argomento, una profonda trasformazione con grande semplificazione delle procedure. Le città poste all’interno del bacino imbrifero sotteso potranno immettere direttamente nel fiume le loro acque reflue di fognatura limitandosi a sottoporle soltanto al processo depurativo necessario per farle rientrare entro i imiti di accettazione allo scarico. La loro riutilizzazione, atta a realizzare il prescritto ciclo ripetitivo in base al quale nessun tipo di acqua proveniente dai vari acquedotti potrà essere scaricata a mare ma dovrà invece essere più e più volte utilizzata per soddisfare compiutamente i vari fabbisogni, avrà luogo, in maniera razionale, alla foce dove esse alla fine sono destinate a pervenire per essere riprese e riutilizzate. Nella figura è riportato lo schema di un territorio organizzato per il completo riciclo delle acque ottenuto tramite barriera di foce . Sono indicati diversificati centri urbani dotati di fognatura, segnata in colore rosso, che scarica la acque reflue nel fiume nel mentre i vari acquedotti (segnati con colore nero) sono alimentati dall’impianto di potabilizzazione del invaso di foce . Solo le città alimentate d’acqua potabile proveniente dagli impianti di foce in oggetto ma ubicate al di fuori del bacino imbrifero da essi sotteso dovranno prevedere la potabilizzazione delle loro acque reflue in quanto, solo in tale caso, detto ciclo ripetitivo sarebbe interrotto.
Da notare come vengano anche ad essere eliminati tutti gli inconvenienti dati dalla diversificata localizzazione degli eventi piovosi all’interno del bacino tributario poichè tutte le acque di pioggia, comunque dislocate, finiscono per arrivare al lago di foce. Al riguardo se si analizza la relazione esistente fra qualità delle acque in arrivo al bacino e la loro provenienza si può affermare che quelle di pioggia derivano per la maggior parte dalle zone montagnose che statisticamente hanno un indice di piovosità più elevato e quindi forniscono un importante contributo idrico anche durante i periodi estivi mentre quelle di depurazione delle acque reflue provengono per la gran parte dalle zone di pianura dove sono ubicati i maggiori centri urbani ed industriali rendendo possibile l’utilizzazione delle ingenti portate di fognatura, soprattutto estive, che li caratterizzano. Viene vieppiù confermata la validità delle opere proposte in quanto atte all’utilizzo di acque le cui diversificate qualità, provenienza e distribuzione temporale durante l’annata si integrano a vicenda. Non ultimo, tra tutti, il contributo acqueo offerto dallo scarico degli impianti di produzione idroelettrica situati nelle zone montane poste all’interno del bacino imbrifero, di solito muniti di laghi con invasi assai capaci, anch’esso destinato a pervenire a fiume.
E’ necessario, come già ripetuto, che tutte le acque scaricate, di qualunque provenienza esse siano, presentino caratteristiche chimico-fisiche e batteriologiche, rientranti entro i limiti di accettazione fissati dalla legge per lo scarico nel fiume, pena la necessità di complesse e inattuabili operazioni di depurazione finale. Si pensi ai diversi processi industriali che inquinerebbero in vario mondo il flusso d’acqua rendendone praticamente impossibile l’utilizzazione. E’ invece necessario che ogni industria provveda, prima dello scarico in fiume, alla depurazione fino a far rientrare le acque scaricate entro determinati limiti di accettabilità allo scarico.
La realizzazione della barriera mobile di foce comporta anche degli inconvenienti di più ordini.
Innanzitutto essa provoca una profonda trasformazione delle caratteristiche ambientali data dalla innovativa presenza di un lago in sostituzione di una parte del corso d’acqua. Ci si augura però che esso non costituisca un elemento negativo visto e considerato che per la sua costruzione si prevede di occupare aree per lo più abbandonate e di poco pregio come sono quelle dell’alveo del fiume quando è in magra o di aree agricole precarie come sono quelle golenali e, visto e considerato che la presenza del lago può essere positiva nei riguardi del turismo, della fauna ittica e di quella acquatica in genere. Sarà quindi necessario uno studio ed una progettazione accurata delle opere in modo da diminuirne l’impatto ambientale ottenendone, alla fine, risultati nettamente positivi.
In secondo luogo la presenza delle paratoie di regolazione ed in genere della barriera attraversante l’asta del fiume provoca delle perdite di carico concentrate con inevitabile aumento nel livello di monte assolutamente intollerabile durante le piene eccezionali del corso d’acqua. Diventa quindi della massima importanza il corretto dimensionamento degli organi mobili ed un rialzo degli argini atto a ripristinarne la piena funzionalità. Questi ultimi, la cui funzione era un tempo limitata allo scorrimento delle acque di piena nel loro moto continuo verso valle, cambiano destinazione e devono invece contenere acque aventi una velocità praticamente nulla per tutta l’estesa dell’invaso. Si rende quindi necessaria una loro revisione con adattamento della quota di sommità al nuovo regime cercando di dare al bacino di accumulo quella maggior lunghezza verso monte che le condizioni locali consentono.
Per mantenere la continuità idrica tra bacino e mare aperto, utile anche per l’interscambio della fauna ittica da mare a fiume e viceversa, lo scarico finale non dovrà aver luogo tramite lame d’acqua sfioranti superiormente alla barriera che, di fatto provocherebbero una interruzione, bensì tramite scarico sotto battente e quindi direttamente nel fondo dell’invaso mediante movimento verso l’alto di ogni paratoia con apertura della luce di scarico nella parte inferiore a contatto con la platea di base e con altezze libere che variano da zero alla quota di massimo invaso del bacino in funzione delle portate che vi debbono transitare. Ciò, oltre al citato transito dei pesci, agevolerà lo scarico a mare di eventuali materiali solidi depositati in bacino e di quelli in sospensione nell’acqua che, per il maggior peso specifico, tenderanno a portarsi alle massime profondità.
Onde evitare l’interramento del bacino dovuto al deposito di sabbie fini e limi che, in occasione delle piene, si accumulano soprattutto nella parte di monte dell’invaso ed inoltre per non privare la costa del mare dei continui apporti di sabbie che normalmente le arrivano da monte, si dovrà prevedere la svuotatura dell’invaso con manovre atte ad assicurare, ad intervalli regolari e senza provocare conseguenze negative nei prelievi, lo scarico a mare di tutti i materiali di depositati in bacino.
I filtri di presa delle acque dovranno essere ubicati il più a valle possibile e posti, essendo montati su zattere flottanti, a qualche metro al di sotto del pelo libero in modo da garantire che la captazione abbia luogo anche nelle condizioni di livello minimo garantendo al tempo stesso le migliori caratteristiche fisiche ed organolettiche essendo le eventuali materie estranee in sospensione nell’acqua normalmente situate nella parte più profonda.
Un ulteriore inconveniente derivante dalla presenza dello sbarramento è quello inerente la navigazione da diporto, pesca o di altro genere. Per ovviarvi dovranno essere prese importanti cautele e, in certi casi, realizzate imponenti opere. Se alla foce del fiume esistono porti o canali per la navigazione, l’attracco o la sosta di imbarcazioni per turismo, pesca od altro, sarà sufficiente spostare lo sbarramento più a monte in modo da non interferire con l’attività nautica. Quando invece è tutta l’asta del fiume ad essere navigabile ed accessibile da mezzi natanti provenienti o diretti al mare aperto, sarà necessario affiancare allo sbarramento una conca di navigazione di adatte dimensioni. La conca, durante i periodi di piena eccezionale, potrà contribuire efficacemente allo scarico a mare delle portate del fiume.

4. L’UTILIZZAZIONE DEL LA BARRIERA PER LA PRODUZIONE DI ENERGIA ELETTRICA

Quando la barriera viene inserita in fiumi importanti caratterizzati da rilevanti portate continue da scaricare in mare, può rivelarsi interessante la produzione di energia elettrica. In questo caso il carico idraulico esistente in corrispondenza della barriera e dato dal dislivello sempre presente tra massimo invaso e marea, anzicchè essere dissipato dalle paratoie durante lo scarico finale in mare delle acque residue, può essere sfruttato inserendo direttamente nella barriera oppure su apposito condotto di derivazione di grande sezione, delle turbine funzionanti a bassa prevalenza ma con grandi portate come sono quelle in gioco. Si tratta di ricavare dalle opere che vengono qui proposte un ulteriore vantaggio da prendere in seria considerazione in questi tempi caratterizzati da una grande carestia di energia elettrica. Esiste una ulteriore possibilità, per la cui utilità occorrono però analisi molto approfondite, ed è quella di prevedere l’installazione di macchine reversibili cioè di turbine che possono essere usate come pompe e di alternatori che, all’occorrenza, diventano motori elettrici. Si tratta di una modalità spesso attuata in negli impianti idroelettrici cosiddetti di accumulo nei quali si recupera durante la notte l’energia elettrica in esubero. Tali impianti in altri termini di giorno utilizzano nelle ore diurne il salto idrico per produrre energia, la notte consumano energia elettrica di basso costo per sollevare l’acqua nel bacino superiore. Nel nostro caso la presenza di macchine reversibili cioè atte a funzionare anche come pompe di sollevamento, potrebbe contribuire durante le piene eccezionali, ad aumentare la portata finale scaricabile a mare dalle opere di sbarramento. La cosa presenta una certa incertezza data dal fatto che le portate in gioco, in caso di piena eccezionale del fiume, assumono valori così elevati che l’apporto dato dalle pompe potrebbe diventare irrisorio. Altri interrogativi sono posti dalla velocità di rotazione che deve assumere la pompa per riuscire ad aumentare la portata, di per sé già molto rilevante, che attraversa il canale di derivazione durante le piene. Si tratta comunque di una possibilità che in sede di progettazione delle opere dovrebbe essere comunque verificata sulla base dei dati reali di funzionamento.

5. L’ESERCIZIO DELLA BARRIERA MOBILE

Gli scopi da raggiungere con una corretta gestione delle opere qui descritte ed in particolare con la regolazione delle paratoie di scarico finale sono i seguenti:

1) mantenere l’invaso ad una quota il più elevata possibile onde consentire il prelievo di tutte le portate che necessitano per il soddisfacimento dei fabbisogni idropotabili, irrigui ed industriali dell’utenza, senza provocare danni all’ambiente e quindi mantenendo, grazie alla ottima compensazione possibile, le portate scaricate a mare entro il limite minimo necessario per l’ambiente. Lo svaso parziale o totale del bacino avrà luogo soltanto al verificarsi di siccità eccezionali. Sarà in tali occasioni che il sistema darà i frutti migliori rendendo possibili cospicui prelievi utili soprattutto per l’irrigazione agricola che è quella che necessita, in tali periodi, dei maggiori quantitativi del prezioso elemento liquido. Per il successivo ripristino dei livelli di invaso, il bacino potrà usufruire di tutti gli eventi piovosi comunque ubicati all’interno dell’ampio bacino imbrifero sotteso ed inoltre di tutti i volumi scaricati dagli impianti fognari dell’intero bacino.

2) assicurare lo scarico delle portate di piena senza danni. Lo scopo sarà raggiunto con un accurato dimensionamento degli organi mobili e con adeguato rialzo degli argini. Lungo tutta l’asta del fiume ed anche in quella degli affluenti principali, e quindi anche a notevole distanza dalla foce, saranno installate le apparecchiature di rilievo e trasmissione automatica ed in tempo reale dei livelli in modo da poter programmare, in anticipo rispetto alle portate realmente in arrivo al bacino, la regolazione delle paratoie di foce in funzione anche delle previsioni meteorologiche e di quelle di richiesta idrica dell’utenza. Dovranno essere in particolare previste in anticipo le ondate di piena e predisposta la svuotatura parziale o totale del bacino in modo da poterle accogliere e smaltire senza danni di sorta. In regime di piena eccezionale e quindi con paratoie totalmente aperte il fiume dovrà possedere una capacità di trasporto e scarico non inferiore a quella che aveva prima della costruzione dello sbarramento di foce. Ancora più accurata e difficoltosa risulterebbe la programmazione degli invasi e degli svasi qualora lo sbarramento fosse dotato anche di centrali per la produzione di energia elettrica in quanto sarebbero in tal caso da contemperare le esigenze di derivazione d’acqua per i vari scopi con quelle della produzione di energia elettrica.

3) Evitare nella maniera più assoluta la risalita del cuneo salino nell’invaso e quindi in tutta l’asta del fiume.

4) assicurare lo sgombero dei materiali sabbiosi e dei limi che si depositano nel bacino tramite apertura totale delle paratoie ad intervalli regolari.

5) Consentire, se necessario tramite conche di navigazione che consentano ai natanti di superare il dislivello tra mare e invaso, la navigazione fluviale e di collegamento con il mare aperto.

6) Eventuale produzione di energia elettrica

L’ipotesi qui esaminata si riferisce allo sfruttamento massimo del bacino di foce ma, ovviamente, può presentare un certo interesse anche una sua utilizzazione parziale ottenuta limitando il livello di invaso ad una quota inferiore a quella massima prima indicata come pure avere necessità di lasciare la barriera completamente aperta ripristinando per un determinato periodo il corso originario del fiume. Ne deriverebbe un minor impatto ambientale sia continuativo come pure per periodi più o meno brevi in funzione delle effettive necessità idriche.

6. ESEMPIO DI BACINO DI FOCE

La risalita del cuneo salino nell’Adige. Notare le pile per sbarramento

Uno dei fiumi italiani che meglio si prestano alla costruzione dello sbarramento di foce, per i notevoli vantaggi che se ne potrebbero ricavare, è senz’altro l’Adige.
E’, per importanza, il secondo fiume d’Italia, con la sua lunghezza di 410 Km, un bacino imbrifero di ben 12200 Kmq assicura una portata media annua di ben 214 mc/sec. Lungo il suo corso e in quello dei suoi affluenti, sono molte le opere esistenti per l’utilizzazione del suo imponente volume idrico: impianti idroelettrici, irrigui e per alimentazione idropotabile di importanti centri abitati. Lungo il suo corso è stata costruita anche un’opera eccezionale quale è la galleria che lo collega al lago di Garda allo scopo di potervi deviare, in caso di necessità, grandi portate. Anche questo fiume soffre dell’inconveniente della risalita del cuneo salino lungo la parte terminale dell’asta che impedisce, in periodi estivi particolarmente siccitosi, la sua utilizzazione ai fini irrigui ed idropotabili.

Vengono qui indicati alcuni elementi di larga massima ma che possono dare un’idea dei grandi vantaggi che potrebbero aversi con la costruzione dello sbarramento di foce. I dati principali approssimati sono riportati nell’allegato profilo schematico. In esso sono tracciati, con scala delle altezze maggiorata mille volte rispetto a quella delle lunghezze, l’andamento degli argini attuali e del pelo libero in regime di portata media aventi una pendenza media dello 0,25 per mille e quello di magra, presunto con una minor quota idrica di 2 m, avente la parte terminale rigurgitata dal livello di marea. Sono indicati anche un rialzo degli argini per una estesa di circa 5 Km variabile da zero a m. 1.50 presso la foce e necessario per quanto detto in precedenza ed al fine di valutarne i benefici in termini di maggior invaso. Si tratta chiaramente di ipotesi di larga massima formulate al solo scopo di fornire una indicazione sommaria delle opere che vengono proposte.
Si può notare come, considerando gli argini allo stato attuale ed in regime di portata media, il volume invasabile è stimato in circa 6.400.000 mc dato dal cuneo a profilo triangolare compreso tra il pelo libero avente, come già detto una pendenza media dello 0.25 per mille e quello rigurgitato e praticamente orizzontale dovuto alla presenza della barriera di foce. Con la sopraelevazione prima indicata di soltanto 1.5 m degli argini per 4.5 Km nella parte terminale potrebbero aversi altri 4.600.000 utili.
Se si esamina invece il fiume in magra cioè nelle condizioni in cui statisticamente si ha un maggiore prelievo dal fiume per scopi irrigui, idropotabili o per usi vari, si hanno altri 4.200.000 mc con gli argini attuali che aumentano di altri 1.600.000 mc con il loro rialzo.
In definitiva i volumi totali di accumulo utilizzabili nelle varie condizioni sono io seguenti:
In regime di portata media:
– con gli argini attuali : mc 6.400.000
– con gli argini sistemati : mc 11.000.000
In regime di magra ( 2 m. sotto il livello normale)
– con gli argini attuali : mc 15.200.000
– con gli argini sistemati : mc 16.800.000

 

Profilo schematico dello sbarramento alla foce del fiume Adige

Considerato che il fiume Adige ha una portata media annua di 214 mc/sec. e con un volume di invaso di 16.800.000 di mc stimato come sopra per un regime di magra, si potrebbe prevedere, in prima ipotesi, di prelevare una portata media di ben 100 mc/sec , restando garantita una compensazione delle portate approssimativamente valida per almeno una quindicina di giorni il che significherebbe poter colmare il divario esistente tra prelievi istantanei ed apporti liquidi con la pregiudiziale che nel frattempo avessero a verificarsi apporti liquidi di piogge comunque ubicate all’interno del vastissimo bacino imbrifero, scarichi vari come sono quelli degli impianti idroelettrici esistenti nelle aree montagnose od apporti dei sistemi fognanti delle grandi città site più a valle, atti a coprire i prelievi. In seconda ipotesi si può prevedere il prelievo di una portata media di 50 mc/sec. Il periodo passerebbe da 15 ad un mese. Per una compensazione trimestrale il prelievo si riduce a circa 20 mc/sec. Si tratta in ogni caso di prelievi notevolissimi.
Come già spiegato i dati sono molto approssimati e sono riportati solo per dare una indicazione di larga massima. Per una migliore determinazione occorrerebbe tener conto di numerosi fattori tra i quali di primaria importanza le portate reali del fiume quali risultano dagli annali idrografici di un lungo periodo.
Da notare come l’alveo dell’Adige sia costituito dalla sola asta del fiume avente un larghezza quasi costante per tutto la parte terminale e pari a circa 150 m, in quanto non sono presenti aree golenali. Altri fiumi come il Piave o il Tagliamento ne possiedono invece alcune molto vaste, normalmente asciutte, e che vengono utilizzate solo durante le piene eccezionali. La costruzione della barriera di foce in tali fiumi darebbe come risultato immediato la costituzione di un volume di invaso molto superiore, in rapporto con la più modesta portata del fiume, a quello esaminato per l’Adige e quindi con risultati proporzionalmente ancora migliori di quelli prima descritti. Il Tagliamento è provvisto di uno scaricatore di piena denominato Cavrato, avente un’area enorme attualmente adoperata solo per scaricare le piene eccezionali area che, se munita anch’essa di barriera alla foce, presenterebbe una enorme capacità di invaso da aggiungersi a quella ricavata dall’asta del fiume vera e propria con le modalità prima indicate per l’Adige.

7. LONDRA: UN ESEMPIO SIGNIFICATIVO

Viene citato, non solo per le sue originali e funzionali caratteristiche costruttive ma anche e soprattutto per la diversa loro utilizzazione decisa in tempi recenti, un’opera imponente come lo sbarramento del Tamigi realizzato vicino a Londra. Come risulta dal disegno indicativo e dalle foto allegati, il manufatto, ultimato nel 1984, comprende una serie di paratoie a settore cilindrico ciascuna lunga una sessantina di metri ed alta una ventina ed aventi in origine lo scopo di proteggere Londra dagli allagamenti provocati dalle alte maree. A tale scopo, durante il trascorso ventennio, la barriera è rimasta sempre aperta con la eccezione di sole quattro o cinque volte l’anno in cui, a seguito di previsioni di marea particolarmente alta, la sua manovra preventiva ha salvaguardato Londra dagli allagamenti. Ovviamente per tutta la durata di chiusura, le acque del Tamigi, trattenute dalla barriera, sono state accumulate all’interno degli argini del fiume, per essere poi scaricate a mare alla fine del periodo di alta marea.

Sezioni schematiche dello sbarramento di Londra

La crisi idrica che ai nostri giorni interessa tutte le nazioni, Inghilterra compresa, ha negli ultimi anni indotto i responsabili del servizio idrico di Londra a cambiare radicalmente, almeno nelle intenzioni, l’uso della barriera e, senza nulla togliere alla sua funzione principale che resta quella di proteggere la città dagli allagamenti, poter anche sfruttare ai fini idropotabili il grande volume d’acqua dolce dell’invaso che tramite di essa è sempre possibile accumulare. Allo scopo è sufficiente modificare l’esercizio della barriera e, invece di lasciare un’opera così imponente sempre aperta e quindi inutilizzata per la quasi totalità dell’anno, mantenerla parzialmente chiusa e regolata in modo da avere a monte un livello idrico più elevato che impedisca la risalita del cuneo salino e, al tempo stesso, accumulare un grande volume d’acqua dolce.
E’ facile constatare come quella descritta sia esattamente la stessa funzione svolta dalle barriere mobili che nel presente capitolo è stata solo ipotizzata mentre invece a Londra è stata suggerita da uno stato di fatto reale come la presenza della barriera e degli invasi che tramite la stessa vengono di fatto realizzati.
E’ quindi confermata da una circostanza reale l’opportunità di estendere l’uso della barriera mobile di foce in altri fiumi secondo le regole prima indicate. Viene qui di seguito riportata letteralmente una parte dell’articolo pubblicato sul n. 2 del marzo-aprile 1995 della rivista “IDROTECNICA” sull’argomento e che documenta il momento di passaggio dall’una all’altra modalità di gestione dell’opera.
“In questi ultimi anni sono stati approfonditi studi per un utilizzo permanente dello sbarramento come opera di regolazione, oltreché di difesa. L’opera potrebbe garantire una variazione dei livelli di marea intorno ai 2 m riducendo gli inconvenienti delle forti velocità idriche (fino a 6-7 m/s) nel tratto metropolitano. Ciò comporterebbe inoltre vantaggi di natura ricreativa per la città, ma, soprattutto, di approvvigionamento idrico, potendosi prevedere, con la drastica riduzione della salinità, la formazione di un serbatoio strategico nel centro di Londra che risolverebbe la domanda idrica nella bassa valle del Tamigi. “

 

8. CONCLUSIONI

E’ stata indicata una modalità di utilizzazione dell’acqua fluente nei fiumi principali diversa da quella in uso e tesa alla risoluzione dei gravi problemi di carenza idrica che attanaglieranno la futura società.
Dalla ricerche fatte da chi scrive non risulta ancora attuata alcuna opera del genere: probabilmente la motivazione và ricercata nelle difficoltà obbiettive che essa presenta

Lo sbarramento di Londra

nei riguardi dell’ambiente, nella difficoltà che presenterebbe la regolazione delle portate di piena dei fiumi ed infine nell’esercizio essendo, in definitiva, una proposta di grande impatto e di grande impegno economico.
Si ritiene però che sia utile affrontarne la discussione per l’indubbio interesse che, a giudizio di chi scrive, essa, opportunamente verificata e corretta, presenterebbe. Sarebbero pertanto oltremodo graditi interventi critici dei lettori volti a mettere in luce gli aspetti sia negativi che positivi della soluzione oppure volti a modificarla e a migliorarla.

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LA RISOLUZIONE DELLE EMERGENZE IDROPOTABILI MEDIANTE SERBATOI SOTTERRANEI DI INTEGRAZIONE DEI BACINI ARTIFICIALI

serbatoi integrativi

 

1. PREMESSA

Nelle regioni, soprattutto del meridione d’Italia, afflitte da sistematiche crisi nel rifornimento idrico, si usa ricorrere all’utilizzazione dell’acqua accumulata, durante antecedenti periodi di intensa piovosità, in bacini artificiali creati mediante dighe di ritenuta. Sono ben noti gli inconvenienti che tali opere presentano per quanto riguarda l’impatto ambientale e per il pericolo di franamento delle sponde dei laghi. Se si aggiungono il problema delle rilevanti perdite d’acqua dagli invasi per l’evaporazione causata da irraggiamento solare e quello dell’interramento cui gli stessi sono inevitabilmente soggetti e che finirà per comprometterne in futuro la funzionalità, si ottiene un quadro niente affatto incoraggiante della situazione. In realtà regioni come la Sicilia o la Sardegna dove ingenti sono stati i capitali profusi per la costruzione di opere come quelle indicate, il problema del rifornimento idropotabile della popolazione è lungi dall’essere risolto né si può prevedere lo sia in un futuro più o meno lontano quando l’aumento dei consumi specifici richiederà volumi d’acqua ancora maggiori. Viste le premesse non si ritiene logico continuare nell’azione intrapresa e cioè riempire il territorio di dighe e laghi artificiali come quelli descritti. Occorre invece ricercare soluzioni diverse, che si integrino perfettamente con quelle citate aumentando la disponibilità d’acqua senza provocare danni all’ambiente. Saranno gli studi in corso per la ricarica artificiale di falda, quelli per la creazione, mediante diaframmi di impermeabilizzazione, di capaci bacini sotterranei ed altre ricerche del genere, tutte tese a trasferire nel sottosuolo gran parte dei servizi dannosi in superficie, che produrranno in futuro risultati molto interessanti. Nel frattempo una delle soluzioni dalla quale si possono ottenere immediati grandi benefici si ritiene possa essere la costruzione di grandi serbatoi costituiti da gallerie in roccia secondo le indicazioni sommariamente riportate nel presente lavoro.

2. CARATTERISTICHE GENERALI DELLE OPERE PROPOSTE

Un serbatoio galleria costruito mezzo secolo fa e perfettamente funzionante

Lo scopo da raggiungere con le opere in progetto consiste soprattutto nella raccolta, nel territorio interessato, del maggior quantitativo d’acqua possibile ed inoltre nel garantirne la conservazione per un lungo periodo senza che le sue caratteristiche chimico-fisiche ed organolettiche abbiano a subire alterazioni di rilievo. Il manufatto che meglio vi si presta è senza dubbio il serbatoio galleria scavato nella roccia e rivestito internamente in calcestruzzo che si vuole qui esaminare in dettaglio. Si tratta in pratica a di adibire un’opera come il tunnel, che normalmente è usato per scopi completamente diversi come sono ad esempio quelli legati alla viabilità oppure all’adduzione dell’acqua degli impianti idroelettrici, ad un uso insolito come è quello di fungere da grande contenitore d’acqua potabile. Il serbatoio che così si ricava, avendo una modesta sezione trasversale ma un notevolissimo sviluppo longitudinale, ha la caratteristica saliente di poter percorrere, grazie appunto alla sua notevolissima lunghezza, ampi territori e quindi di andare, previo un attento studio del suo tracciato, a raccogliere l’acqua lì dove essa è reperibile. La galleria ha infatti un solo vincolo dato dalla necessità di mantenere per tutto il suo sviluppo una quota costante nel mentre il suo tracciato è completamente libero di svolgersi in una direzione qualsiasi e quindi può essere rettilineo, curvo, a maglia chiusa od aperta, a percorso singolo o ramificato: in altri termini può svolgersi ovunque le particolari condizioni progettuali lo richiedano. E’ da notare come nessuno dei manufatti che si utilizzano normalmente per invasare grandi volumi d’acqua possiede caratteristiche simili. Non le possiedono ad esempio i serbatoi costituiti da grandi vasche in cemento armato la cui capacita di invaso è concentrata in spazi più ristretti possibile, non i laghi artificiali il cui bacino imbrifero sotteso comprende una sola valle o, al massimo qualche altra situata nelle vicinanze quando è possibile collegarla ad esso tramite gallerie o canali di gronda. Quello citato è uno dei vantaggi che presenta la galleria/serbatoio che preme far rilevare fin da queste prime righe. Si vedrà nel prosieguo come ci siano altre condizioni per rendere l’opera assolutamente consigliabile nonostante il suo elevato costo di costruzione.

Il serbatoio-galleria di Napoli

Immaginiamo ora di operare in un territorio densamente popolato la cui alimentazione idrica sia, ad esempio. affidata a due bacini artificiali costruiti nell’entroterra montagnoso e posti ad una distanza di circa 25 Km l’uno dall’altro. Ognuno dei due bacini raccoglie le acque della rispettiva vallata che, durante periodi di grande siccità, non è però sufficiente per soddisfare il fabbisogno anche a causa della notevole dispersione d’acqua per evaporazione a seguito dell’irraggiamento solare. Nel territorio interposto tra i due invasi esistono alcuni compluvi nei quali, durante i periodi piovosi, si scaricano a valle, inutilizzati, notevoli volumi d’acqua che, se fossero invece raccolti ed accumulati, apporterebbero un notevole contributo alla risoluzione del problema. E’ questo l’ambiente ideale per adottare la soluzione tecnica prima descritta e cioè la costruzione di una grande galleria/serbatoio che collega tra di loro i due invasi pur essendo ubicata più a valle e a notevole profondità sotto il suolo. Il suo andamento è all’incirca parallelo alle curve di livello del terreno e quindi interseca o meglio sottopassa tutte le vallette ed i compluvi, nessuno escluso, che si trovano nel territorio, rendendo possibile la raccolta delle acque che le percorrono, nonché il suo accumulo all’interno della galleria medesima dove, al fresco ed al buio, tali acque possono conservarsi inalterate fino al momento del consumo. Il diametro della galleria, da decidersi in funzione delle necessità locali ma comunque non inferiore a 6 metri, consente di realizzare grandissimi volumi di invaso. Ad esempio scegliendo un diametro di 10 m. totalmente compatibile con le moderne tecnologie di scavo, si ottiene un volume utile di serbatoio pari a 75000 mc al chilometro quindi per l’intero percorso in argomento si ha un invaso totale di ben due milioni di mc.circa.
La presa delle acque ha luogo mediante altrettante briglie costruite attraverso il fosso o la valletta intersecata dalla galleria nel mentre capaci vasche di decantazione, filtrazione e disinfezione da costruirsi anch’esse nel sottosuolo con le modalità che saranno più avanti indicate, consentono di effettuare il trattamento necessario per immagazzinare nella galleria acqua potabile cioè pronta ad essere consegnata all’utenza. Da rilevare come lo scavo delle gallerie in roccia ha la caratteristica di richiamare all’interno le acque delle falde che si trovano nel soprastante terreno soprattutto quando, come succede frequentemente, sono presenti fessurazioni o faglie nell’ammasso roccioso atrraversato dalle opere. Questo fatto, che normalmente costituisce un notevole impedimento per il prosieguo dei lavori di scavo, nel nostro caso rappresenta un grande vantaggio in quanto consente la raccolta di preziosa acqua naturalmente potabile e che va ad aggiungersi a quella raccolta in superficie. A titolo di esempio valga il caso delle gallerie autostradali sotto il Gran Sasso dove è stata captata una portata d’acqua potabile di oltre 1.5 mc al secondo, non prevista in origine ed attualmente utilizzata per alimentare importanti acquedotti del teramano e dell’aquilano.
In definitiva l’opera che si propone di eseguire, per integrare la potenzialità dei due invasi artificiali presi ad esempio, è un serpentone sotterraneo dell’estesa di circa 25 Km avente un diametro di circa 10 m, internamente rivestito in calcestruzzo.e quindi con un volume utile totale di circa due milioni di metricubi . In corrispondenza di ognuna delle vallette sottopassate dalla galleria si costruisce una griglia di presa e, nella finestra di accesso alla galleria principale oppure in apposito manufatto sotterraneo anch’esso scavato in roccia, una capace vasca di decantazione, filtrazione e disinfezione delle acque.
Il grande serbatoio così realizzato costituisce una enorme capacità in grado di effettuare la compensazione trimestrale di tutte le portate d’acqua disponibili e quindi non solo di quelle raccolte come indicato ma anche di quelle prodotte dai due invasi preesistenti che, dopo depurazione, vi possono essere immesse per essere conservate anch’esse al buio e al fresco. I laghi artificiali, così svuotati, restano pronti a raccogliere le acque delle successive piogge.
In definitiva questi sono i vantaggi della galleria/serbatoio:
– nessun danno all’ambiente essendo le opere per la quasi totalità sotterranee;
– nessuna perdita d’acqua per evaporazione, sfioro dei serbatoi o perdita di altro genere;
– possibilità di conservare a lungo l’acqua senza che abbia a subire alterazioni di sorta.
– viene immagazzinata acqua potabile cioè pronta per essere consegnata all’utenza senza alcun ulteriore trattamento;
– costruendo il serbatoio/galleria ad una quota opportuna è possibile recapitare l’acqua a gravità fino al domicilio dell’utenza senza bisogno di pompe;
– vengono intercettate tutte le vallette esistenti nel territorio e quindi sfruttata tutta l’acqua di pioggia che vi precipita nei periodi piovosi;
– viene raccolta l’acqua delle falde sotterranee presenti nel territorio sopra la galleria;
– costruendo delle vasche di decantazione di grande capacità è possibile ottenere la laminazione delle portate di piena evitando danni provocati, durante le piogge eccezionali, da alluvioni o esondazioni dei rii.

Da segnalare come, nel caso non si volesse turbare la falda soprastante i lavori, la moderna tecnica di scavo e costruzione del rivestimento della galleria consente di mantenere nel fronte di lavoro e all’esterno una pressione artificiale atta ad operare senza influire minimamente nell’ambiente esterno

3. CONCLUSIONI

Messo in evidenza che la risoluzione del problema idrico dei territori nei quali scarseggia la disponibilità di fonti perenni non può essere affidato esclusivamente ai laghi artificiali ma che occorre sfruttare il sottosuolo per ricavarvi servizi come quelli idrici che in superficie occupano enormi spazi e provocano danni all’ambiente, si è proposta la realizzazione grandi serbatoi tramite gallerie circolari scavate in roccia. Al vantaggio principale di un’opera del genere che è quello di potere, grazie alla sua notevole estesa longitudinale, percorrere ampi territori e quindi raccogliere le acque piovane di bacini imbriferi molto ampi, se ne aggiungono molti altri puntualmente elencati nella nota. Un esempio completo di serbatoio galleria è in dettaglio descritto nella nota “L’approvvigionamento idrico dell’Isola d’Elba” visibile in questo stesso sito.

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VIAGGIO FANTASTICO NELL’UTOPIA DELL’ACQUA

rete acquedottistica nazionale

1) PREMESSA

E’ assodato che uno dei problemi che in futuro si presenteranno con drammaticità sarà quello della carenza dell’acqua necessaria per i vari usi.
In Italia i volumi che annualmente si rendono disponibili a tale fine sono e saranno più che sufficienti a coprire il fabbisogno. Esistono però forti squilibri tra una regione e l’altra e grandi sfasamenti temporali tra disponibilità d’acqua e fabbisogno; la loro attenuazione risulterà indispensabile perché il problema possa ritenersi risolto. In tal senso un contributo fondamentale potrebbe essere dato dalle opere qui descritte se non si trattasse invece che di un mero parto della fantasia volto ad immaginare un futuro impossibile eden idrico.

 

2) SITUAZIONE FUTURA DEGLI ACQUEDOTTI ITALIANI

Il quadro complessivo all’anno X vedrà già realizzate le indicazione della legge Galli e quindi organizzati gli ATO e cioè i grandi territori ottimali all’interno dei quali il ciclo completo delle acque, dalla raccolta e depurazione di quelle reflue alla distribuzione di quelle potabili, sarà correttamente svolto ad opera dell’Autorità di Bacino. Risulteranno inoltre completati e razionalizzati tutti gli impianti fognari e quindi l’acqua dei fiumi e del mare dove ha luogo la restituzione finale dei liquami depurati sarà tornata limpida come era un tempo nel mentre per gli acquedotti, completamente riorganizzati sotto l’egida dell’autorità predetta, sussisterà un grave deficit causato da un lato dai grandi mutamenti climatici che avranno sensibilmente ridotto le portate d’acqua disponibili soprattutto durante i periodi particolarmente siccitosi e dall’altro dalle aumentate esigenze specifiche che comporteranno un forte aumento del fabbisogno idrico. Per quanto riguarda i bacini artificiali, realizzati nelle zone montane mediante dighe di ritenuta, saranno al momento perfettamente funzionanti, in quanto si provvede con continuità all’asporto del materiale ghiaioso di deposito, soltanto quelli di vecchia costruzione nel mentre da molti anni non se ne realizzano di nuovi a causa dei gravi danni che opere di tale genere provocano all’ambiente.
Sarà ancora irrisolto il problema, prima citato, delle emergenze idriche del meridione d’Italia.

 

3) LA SOLUZIONE PROPOSTA

Esempio di rete nazionale esistente: il gas

L’utilizzazione dei volumi d’acqua disponibili nel nord d’Italia, particolarmente in periodi di grandi precipitazioni atmosferiche, allo scopo di risolvere al sud le frequenti crisi, presenta ostacoli quasi insormontabili. Innanzitutto, essendo in gioco enormi volumi d’acqua, non si può pensare di prelevarli da quella che può essere considerata l’unica risorsa atta allo scopo e cioè dall’asta dei fiumi del settentrione per i gravi danni che ne deriverebbero alle utilizzazioni già in atto e all’ambiente. Un altro problema è rappresentato dalla grande variabilità di portata che da un periodo all’altro caratterizza sia la disponibilità d’acqua che il fabbisogno. Occorrerebbero grandi volumi di invaso, praticamente irrealizzabili, per effettuare le necessarie compensazioni di portata. Infine il trasporto di questi ingenti quantitativi d’acqua dalle regioni del nord Italia dove essa abbonda a quelle del Sud, sembra essere un problema non risolvibile.
Un attento esame della situazione reale delle nostre pianure offre però un panorama meno pessimistico considerato che i grandi fiumi sono di per sé dotati, nelle zone di pianura e di sbocco a mare, di una struttura che, previa modifica non sostanziale delle sue caratteristiche costitutive e delle attuali modalità di utilizzazione, può svolgere, in tal senso, un ruolo determinante. I principali fiumi del nord d’Italia presentano, infatti, nella parte finale del loro alveo, ampie aree golenali delimitate da alti argini il cui scopo è di aumentare sensibilmente la portata adducibile al mare quando essa raggiunge, in occasione di piogge eccezionali, valori cospicui. Si tratta quindi di grandi bacini che vengono usati solo in occasione dei periodi particolarmente piovosi mentre non lo sono per il tempo restante. Ne è riprova il fatto che molto spesso le aree golenali sono coltivate, altre volte vi trovano posto ampie piantagioni di alberi di alto fusto, qualche volta si sono ubicate in golena anche delle case regolarmente abitate.
Ebbene, se tali fiumi fossero dotati, previa loro sistemazione generale, di uno sbarramento mobile ubicato in prossimità dello sbocco a mare che consentisse di invasare nelle capaci aree golenali notevoli volumi d’acqua, si otterrebbero i seguenti vantaggi:
1. impedire la risalita del cuneo salino lungo la parte finale dell’asta dei fiumi e quindi rendere utilizzabile ai fini irrigui e potabili i volumi d’acqua che vi transitano
2. consentire di captare, in prossimità della foce, grandi volumi continui d’acqua dati dalla portata fluente cui va aggiunta quella accumulata grazie alle citate chiusure. Da notare come il prelievo di tali portate nella parte finale del fiume non comporta, proprio perché ubicata in prossimità dello sbocco a mare, alcuna modifica e quindi alcun danno, al regime idrico di tutta l’asta: è invece possibile utilizzare tutti i volumi d’acqua che necessitano limitando lo scarico a mare soltanto a quelli in esubero rispetto al fabbisogno o quelli richieste dalle condizioni ambientali locali.
3. mantenere costantemente rincollata l’acqua dei fiumi in modo da realizzare, durante tutto l’anno e tramite una oculata manovra delle barriere mobili, un notevole volume di invaso atto ad effettuare una efficace compensazione delle portate di piena molto variabili durante l’anno medesimo;
4. il recupero di grandi volumi d’acqua di piena dei fiumi, che altrimenti sarebbe scaricata a mare, lascia disponibili a monte, lungo l’asta del fiume, molta acqua da utilizzare per altri usi come ad esempio per le irrigazioni;
5. estendendo l’intervento a più corsi d’acqua distribuiti in diverse regioni italiane è possibile usufruire di svariati eventi meteorologici e dei relativi incrementi di portata;
Ovviamente la regolazione delle barriere mobili deve tenere in debito conto e con continuità l’andamento meteorologico e quindi esser aperte durante le alluvioni in modo da non ostacolare lo scarico a mare di tutta la portata d’acqua in arrivo da monte ma durante tutto il resto dell’anno tenere il bacino pieno o quasi pieno fatti salvi gli svasi che, durante i periodi di magra, consentano il prelievo di tutta la portata necessaria per far fronte ai fabbisogni. Opportune e sistematiche manovre alternate da un fiume all’altro permetteranno di scaricare a mare le sabbie di deposito in modo da evitare da una parte l’interramento dei bacini e dall’altra favorire il ripascimento delle spiagge marine.
In pratica,la ipotesi qui considerata vede le foci di alcuni grandi fiumi trasformate in lunghi e capaci laghi aventi il pelo libero dell’acqua costantemente più in alto del livello marino, alimentati da monte con portate elevate in quanto comprensive dell’apporto di tutti gli affluenti del fiume stesso, nessuno escluso, ed in quanto comprensive anche dei volumi che vi si raccolgono in occasione di eventi piovosi intensi nonché delle portate d’acqua reflua depurata e scaricate dalle varie reti fognarie disseminate in tutto il territorio nazionale. Da tali laghi è possibile prelevare tutta la portata richiesta per far fronte ai fabbisogni nel mentre viene scaricata in mare solo la portata eccedente il fabbisogno. Durante i periodi nei quali il bacino imbrifero è interessato da piogge intense vengono immagazzinati, grandi volumi d’acqua atti ad effettuare una efficace compensazione delle portate
Essendo l’intervento dislocato in diverse località anche molto distanti tra di loro, aumenta la probabilità di poter usufruire delle piene e delle morbide.
Il fabbisogno idrico italiano complessivo dovrebbe essere soddisfatto tramite i soli proventi delle opere indicate. Non sono però da trascurare altri importanti mezzi di produzione d’acqua potabile di sorgenti, pozzi, quella ottenuta da potabilizzazione di acque reflue di fognatura, o irrigua generalmente prelevata dai fiumi oppure quella immagazzinata negli esistenti bacini artificiali. Il tutto secondo le modalità che saranno appresso indicate.
Una volta risolto il problema della produzione di tutto il volume d’acqua necessario e che forzatamente deve avvenire al nord, rimane da risolvere il problema del suo trasporto fino alle regioni meridionali normalmente afflitte da grande carenza idrica. La soluzione potrebbe esser trovata nella realizzazione di un collegamento idrico atto a consentire i necessari interscambi di portata tra le varie regioni italiane, collegamento tanto più difficoltoso quanto maggiori sono i quantitativi d’acqua e le distanze in gioco e che quindi diventa particolarmente arduo quando entrano nel bilancio i fabbisogni irrigui la cui entità, come già detto, è ben maggiore di quelli potabili (approssimativamente il quadruplo). Quella che si proporrà non può pertanto che essere una soluzione di compromesso che se da un lato potrebbe assolvere in toto le esigenze idropotabili, dall’altro può solo contribuire a lenire quelle irrigue, fatte salve ulteriori possibilità come sarà più avanti indicato.
In pratica si tratterebbe di costruire due grandi reti magliate di condotte una per l’adduzione di acqua potabile e l’altra per l’acqua grezza cioè di acqua che ha subito solo un trattamento primario di depurazione e che pertanto è utilizzabile per usi industriali, artigianali per irrigazione agricola (questa contenuta entro determinati limiti quantitativi), per annaffiamento orti e giardini, per cacciata delle fognature stradali ed infine per i servizi domestici di base come lavaggi, vasche di cacciata dei WC, docce, pulizia strade, ecc. ecc. Considerato che nel periodo futuro che si sta esaminando saranno le acque reflue delle locali fognature che, invece di essere scaricate nei recipienti finali come accade ai nostri giorni, troveranno, previo ulteriore trattamento di depurazione, una utilizzazione sempre maggiore, la rete di acque grezze è destinata a ricevere da tali acque e regione per regione, un importante contributo, che le permetterà, un giorno, di soddisfare interamente il fabbisogno.
In pratica se fossero già realizzati gli ATO di cui alla legge Galli, le due reti di adduzione indicate costituirebbero l’indispensabile collegamento idraulico tra tutti gli ATO.

Esempio di rete acquedottistica nazionale proposta

 

4) SITUAZIONE DEGLI ACQUEDOTTI ITALIANI NELL’IPOTESI CONSIDERATA

La situazione finale all’anno X degli acquedotti italiani nella ipotesi qui considerata potrebbe così esser sintetizzata:
Alcuni importanti fiumi italiani come ad esempio Tagliamento, Livenza, Piave, Brenta e Adige, nel versante adriatico, Arno e Tevere in quello tirrenico, sono stati sistemati con modifica degli argini e costruzione dello sbarramento mobile di foce, in modo da essere in grado di invasare nel loro bacino golenale grandi volumi d’acqua e di mantenerli per lunghi periodi onde effettuare una buona compensazione delle grandi portate in gioco. In pratica le aree golenali per una estesa di alcuni chilometri vicino alla foce ed attualmente sistemate a verde, sarebbero trasformate in laghi. Non viene, per il momento, considerato il Po per i notevoli problemi che sarebbero posti dalla costruzione dello sbarramento mobile di foce, ma, a seguito di una analisi più attenta, anche tale importantissimo corso potrebbe rientrare nel novero contribuendo in maniera determinante ad aumentare le disponibilità idriche future (ulteriori notizie sullo sbarramento mobile di foce sono visibili nell’omonimo articolo del presente sito).
Ogni fiume è munito, in prossimità dello sbarramento mobile, di un capace impianto di trattamento e pompaggio in grado di dare alle acque le necessarie caratteristiche chimico-fisiche ed immetterle nelle due grandi reti di adduzione nazionale: acqua potabile nel primo e acqua grezza nell’altro. Da notare come il progresso tecnico che senza dubbio avrà interessato la concezione della decantazione e filtrazione consente, all’epoca che qui si considera, di costruire impianti di dimensioni relativamente ridotte e, per lo più ricavati nel sottosuolo.
Sono state costruite due grandi reti magliate di condotte rispettivamente per acqua potabile e per acqua grezza, che percorrono tutta l’Italia in lungo e largo, Sicilia compresa, con percorso in gran parte sottomarino. Nei tratti di terraferma è previsto un doppio tunnel scavato, a notevole profondità onde evitare le interferenze con i servizi preesistenti, nel sottosuolo.
Tutti gli ATO costituiti in base alle disposizioni della legge Galli, sono attraversati da dette grandi tubazioni di rete con le quali sono anche collegati per potervi prelevare o immettere l’acqua a seconda delle disponibilità. La grande diversificazione delle fonti che alimentano le due reti, distribuite in diverse regioni italiane, consente di modulare la portata consegnata o ricevuta dagli ATO in modo da soddisfare le singole necessità giornaliere.
Il sistema acquedottistico nazionale è governato da un calcolatore centrale che ne sovrintende tutte le funzioni secondo quanto sarà in appresso indicato.
Si riportano, in sintesi, le caratteristiche di ogni ATO.

 

5) SERVIZIO IDROPOTABILE

A) ATO ALIMENTATO CON ACQUA DI SORGENTE O CON ACQUA DI BACINO ARTIFICIALE O LAGO NATURALMENTE POTABILE

1) Le sorgenti degli acquedotti sono state potenziate in modo da poter captare tutta l’acqua disponibile anche con carattere di discontinuità o di grande variabilità se la fonte non ha portata costante;
2) Ogni impianto di produzione continua a svolgere il compito di alimentare la sua rete locale di competenza e, in più, deve essere collegato con la rete di adduzione nazionale in modo da renderlo atto a svolgere due funzioni:
– immissione nella rete di adduzione nazionale tutta l’acqua in esubero;
– prelievo dalla stessa adduttrice di tutta la portata di cui ha bisogno onde integrare la propria produzione, quando questa è deficitaria rispetto al fabbisogno.
Tutti gli impianti di produzione sono del tipo ad immissione diretta in condotta ed atti a variare a seconda delle necessità la pressione e la portata dell’acqua immessa (impianti dotati di valvole di regolazione della pressione se funzionanti a gravità o di pompe a velocità variabile negli altri casi sempre comandate dall’impianto di telecomando e telecontrollo). Il prelievo dell’acqua dalla adduttrice é in pressione tramite valvola di regolazione del prelievo comandata dall’impianto di telecontrollo.

B) ATO ALIMENTATO DA POZZI CON ACQUA NATURALMENTE POTABILE

1) I pozzi sono stati potenziati in modo da poter captare tutta l’acqua disponibile della falda anche con carattere di discontinuità se la falda non ha portata costante;
2) Ogni impianto di produzione continua a svolgere il compito di alimentare la sua rete locale di competenza e, in più, è collegato con la rete di adduzione nazionale in modo da renderlo atto a svolgere due funzioni:
– immissione nella rete di adduzione nazionale tutta l’acqua in esubero;
– prelievo dalla stessa adduttrice di tutta la portata di cui ha bisogno onde integrare la propria produzione, quando questa è deficitaria rispetto al fabbisogno.
Tutti gli impianti di produzione sono del tipo ad immissione diretta in condotta ed atti a variare a seconda delle necessità la pressione e la portata dell’acqua immessa (impianti dotati di valvole di regolazione della pressione se funzionanti a gravità o di pompe a velocità variabile negli altri casi sempre comandate dall’impianto di telecomando e telecontrollo). Il prelievo dell’acqua dalla adduttrice é in pressione tramite valvola di regolazione del prelievo comandata dall’impianto di telecontrollo.

C) ATO ALIMENTATO DA PRESA DI ACQUA SUPERFICIALE DA FIUME POTABILIZZATA

1) Ogni impianto di produzione é potenziato in modo da poter prelevare da fiume e trattare tutta l’acqua disponibile. Dove possibile si sono costruiti dei capaci bacini di accumulo, preferibilmente sotterranei, delle acque di piena con tutte le strutture necessarie per immettere nella rete di adduzione nazionale tali portate (decantatori, filtri, sollevamento ecc.).
2) Ogni impianto di produzione continua a svolgere il compito di alimentare la sua rete locale di competenza e, in più, deve essere collegato con la rete di adduzione nazionale in modo da renderlo atto a svolgere due funzioni:
– immissione nella rete di adduzione nazionale tutta l’acqua in esubero;
– prelievo dalla stessa adduttrice di tutta la portata di cui ha bisogno onde integrare la propria produzione, quando questa è deficitaria rispetto al fabbisogno.
Tutti gli impianti di produzione sono del tipo ad immissione diretta in condotta ed atti a variare a seconda delle necessità la pressione e la portata dell’acqua immessa (impianti dotati di valvole di regolazione della pressione se funzionanti a gravità o di pompe a velocità variabile negli altri casi sempre comandate dall’impianto di telecomando e telecontrollo). Il prelievo dell’acqua dalla adduttrice é in pressione tramite valvola di regolazione del prelievo comandata dall’impianto di telecontrollo.

D) ATO ALIMENTATO CON ACQUA AVENTE ELEVATI COSTI DI PRODUZIONE (DEMINERALIZZAZIONE ACQUA SALATA, TRATTAMENTO ACQUE RESTITUITE DALLA FOGNATURA ECC.)

Gli impianti di produzione esistenti continuano a produrre la sola acqua necessaria al soddisfacimento del proprio fabbisogno quindi senza alcun potenziamento. E’ stato realizzato il collegamento con la rete di adduzione nazione con lo scopo principale di sostituire tutto o in parte l’acqua prodotta localmente avente costi elevati, con quella prelevata dalla rete di adduzione nazionale. In casi estremi é consentito immettere le portate prodotte in esubero rispetto al fabbisogno, nella rete di adduzione nazionale. Tutti gli impianti di produzione sono del tipo ad immissione diretta in condotta ed atti a variare a seconda delle necessità la pressione e la portata dell’acqua immessa (impianti dotati di valvole di regolazione della pressione se funzionanti a gravità o di pompe a velocità variabile negli altri casi sempre comandate dall’impianto di telecomando e telecontrollo).

 

6) SERVIZIO IDRICO ACQUA GREZZA PER USI INDUSTRIALI, ARTIGIANALI, IRRIGUI E VARI DOMESTICI

La portata immessa nella rete grezza nazionale é per la maggior parte fornita dagli impianti di foce dei fiumi principali. Anche gli ATO, se le condizioni locali lo permettono, producono acqua grezza da destinare, di preferenza al soddisfacimento delle necessità locali. I volumi eventualmente in esubero sono immessi nella rete nazionale. Essendo questo il servizio che richiede i maggiori quantitativi d’acqua, sono di preferenza utilizzate tutte le acqua locali limitando quelle della rete nazionale di acqua grezza ai soli casi in cui non è possibile operare diversamente.
Sono ipotizzabili interscambi di portata anche con le reti irrigue, pur in quantità contenute rispetto a quelle totali necessarie. Il servizio di irrigazione agricola vero e proprio deve restare autonomo e ai vari fabbisogni agricoli si deve far fronte regione per regione, con risorse idriche locali solo parzialmente integrate con acqua proveniente dalla rete nazionale grezza.

 

7) SERVIZIO DI FOGNATURA

Tutte le reti sono unificate in tutto il territorio di ogni ATO. Gli impianti fognari italiani sono pertanto costituiti da grandi reti di tipo separativo e munite di pochi impianti di depurazione di grandi dimensioni. Questi ultimi effettuano un trattamento spinto delle acque reflue in modo da renderle atte ad essere immesse, a fine trattamento, nella rete locale di acque grezze. Gli eventuali volumi prodotti in eccesso rispetto al fabbisogno locale sono immessi nella rete nazionale di acque grezze.

 

8) LA RETE IRRIGUA

Il problema della captazione e trasporto a lunga distanza delle acque per irrigazione rappresenta senza dubbio la parte più difficile e di incerta soluzione fra tutte le proposte formulate in questa nota a causa dei notevoli volumi d’acqua che il servizio irriguo richiede.
Non è realisticamente ipotizzabile che la rete di acque grezze prima descritta possa risolvere il problema irriguo italiano bensì che possa solo integrarlo con portate in entrata ed in uscita di entità non definibile se non in fase di progettazione reale ma comunque di modesta rispetto ai fabbisogni irrigui. Gli impianti irrigui, a loro volta, possono contribuire nella alimentazione della rete grezza nazionale immettendovi le acque in esubero e che abbiano le necessarie caratteristiche chimico-fisiche.

 

9) ORGANIZZAZIONE GENERALE

Dovrà essere installato un potente impianto centrale di telecontrollo e telecomando che sovrintende il funzionamento del grande sistema acquedottistico nazionale. Ad esso perverranno in tempo reale tutti i dati istantanei di funzionamento di ciascun ATO e quelli della rete nazionale di adduzione quali:
– le portate di pioggia sia reali che di previsione;
– la portata totale immessa nella rete locale;
– la portata totale immessa o prelevata dalla rete di adduzione nazionale;
– la portata massima di cui effettivamente potrebbe disporre;
– i costi reali per mc di acqua prodotta;
– eventuali deficienze di alimentazione;
– le portate in entrata ed in uscita dai sistemi irrigui locali
– altri dati di funzionamento reale istantaneo (pressione in condotta, caratteristiche fisico chimico dell’acqua ecc. ecc.)
Il calcolatore determinerà in tempo reale le condizioni di produzione atte al soddisfacimento delle richieste dei vari ATO con valori ottimali sia tecnici che economici. Ciò significa, ad esempio nella rete potabile, incrementare al massimo il funzionamento degli impianti a basso costo di produzione ed immissione in rete di adduzione nazionale (tali sono gli impianti alimentati da sorgenti o da bacini artificiali d’alta montagna privi di spese di potabilizzazione e di sollevamento perché funzionanti a gravità). Una volta portati tali impianti alla loro massima producibilità saranno le acque dei pozzi delle falde artesiane naturalmente potabili ad essere immesse e, per ultime, quelle meno convenienti sia dal lato dei costi sia delle altre caratteristiche.
Visti i grandi volumi d’acqua in gioco saranno gli impianti di produzione della rete di adduzione nazionale, cioè quelli posti in prossimità della foce dei fiumi prima elencati, a produrre la maggior parte dell’acqua necessaria, e quindi a soddisfare la base del diagramma di consumo che riguarda una gran parte del fabbisogno, nel mentre saranno gli impianti locali ad effettuare in ogni caso la copertura delle punte di consumo. Quando possibile l’ATO provvederà prioritariamente al soddisfacimento del proprio fabbisogno nel mentre tutta l’acqua prodotta in esubero sarà immessa in rete. Potrà ricorrere alla rete nazionale con prelievi continuativi o limitati a brevi periodi di crisi solo in caso di insufficienza nella produzione propria.
A tale scopo il calcolatore determinerà le condizioni ottimali di invaso dei bacini di foce dei fiumi e quindi le manovre da effettuare alle barriere mobili per tenere costantemente rincollata l’acqua in arrivo fatta salva la necessità di scaricare a mare le portate di piena durante i periodi alluvionali e comunque quelle in eccedenza rispetto al fabbisogno,
Per gli impianti di solito alimentati con acqua molto costosa, saranno definite le modalità per ridurre al minimo la produzione locale modulando in tal senso il prelievo dalla rete di adduzione nazionale minuto per minuto. Poichè la richiesta idrica durante l’anno è molto varia, l’utilizzazione di acque aventi costo elevato sarà limitata ai soli periodi di forti consumi o di scarsa produzione nel mentre per la maggior parte delle giornate, sarà l’acqua a basso costo ad essere adoperata.
La rete di adduzione nazionale sarà del tipo con funzionamento a pressione variabile (quindi priva di serbatoi di accumulo in quota che irrigidiscono il sistema rendendo fissa la quota della piezometrica di funzionamento) con immissione diretta in condotta dell’acqua proveniente sia dagli impianti propri che dai vari ATO. Il calcolatore definirà in tempo reali le condizioni ottimali di funzionamento di tutti gli impianti modificando la pressione di esercizio di minuto in minuto in funzione delle pressioni di arrivo. In dettaglio l’ottimizzazione consiste nel definire la pressione media ottimale di consegna ai vari ATO in modo da far funzionare senza bisogno di risollevamento il maggior numero possibile degli ATO alimentati e, di conseguenza, definire le pressioni di immissione da parte degli ATO alimentanti nonché degli impianti della rete nazionale.
La grande diversificazione delle fonti e la grande elasticità di funzionamento delle due reti renderà possibile una corretta modulazione delle portate in gioco a seconda del fabbisogno e della disponibilità giornaliere dei vari ATO.
Tutte le capacità di accumulo, compensazione o comunque di partenza della portata immessa nella condotta nazionale saranno del tipo a terra e preferibilmente ricavate nel sottosuolo, con apparecchiatura per l’immissione dell’acqua nella condotta nazionale costituita:
– in caso di impianti di alta quota funzionanti a gravità: valvola di regolazione della portata e della pressione regolata in tempo reale dall’impianto di telecontrollo;
– in caso di impianti posti a quote inferiori alla piezometrica minima di funzionamento della condotta nazionale: pompe a velocità variabile atte a modulare non solo la portata ma anche la pressione di esercizio e regolate dall’impianto di telecontrollo che determina in tempo reale il numero di pompe da far funzionare e la loro velocità di rotazione.

 

10) DIMENSIONAMENTO DI MASSIMA DELLE OPERE

Per un dimensionamento delle opere sarebbe necessario una approfondita analisi riguardante il fabbisogno e la disponibilità idriche attuali e di previsione futura, analisi che, visto il carattere de mera fantasia del presente lavoro avente il solo scopo di lanciare un’idea tutta da verificare, non intendo affrontare. Per dare un’idea sia pure molto approssimativa della consistenza di tali opere, si fissa in 50 mc/sec, pari circa al 20% dell’intero fabbisogno nazionale, la portata integrativa necessaria per risolvere il problema idropotabile italiano del prossimo cinquantennio. Mancando elementi per la stima dell’acqua grezza, visto e considerato che in Italia non esistono reti di distribuzione di tale elemento e che il fabbisogno irriguo non rientra che parzialmente tra gli scopi delle opere qui previste, si fissa  in altri 50 mc/sec la portata d’acqua grezza da considerare. In definitiva viene qui previsto che l’Italia sia percorsa da nord a sud da un nuovo flusso d’acqua pari alla metà di quello del secondo fiume d’Italia, l’Adige, cioè 100 mc/sec. interamente a disposizione dei vari utenti con la possibilità, anzi con l’obbligo per questi ultimi, di immettervi le acque eventualmente in esubero.
Tale portata, considerata necessaria per integrare quella attualmente disponibile, sarebbe ottenuta per 90 mc/sec attingendo dai bacini di foce dei fiumi Tagliamento, Livenza, Piave, Brenta, Adige, Arno e Tevere e, per i restanti 10 mc/sec, da fonti disseminate nei vari ATO sopratutto dell’Italia settentrionale. La rete di adduzione nazionale sarebbe, in tale ipotesi, costituita da due tubazioni longitudinali del diametro di 4.50 metri, una per acqua potabile ed una per acqua grezza che seguono la riva del mare ad est ed altrettante quella ovest dell’intera penisola italiana, con tracciato sottomarino oppure di terraferma tramite tunnel profondi, nel mentre tre o quattro doppie condotte trasversali dello stesso tipo e di collegamento tra quelle precedenti costituiscono il sistema magliato atto a migliorarne notevolmente la funzionalità e la sicurezza di esercizio. Alcune condotte di diametro minore realizzano nelle varie regioni il collegamento idraulico con le reti acquedottistiche di tutti gli ATO attraversati. In determinati punti strategici sono presenti le centrali di sollevamento tutte del tipo a portata e pressione variabile, con aspirazione e mandata diretta da e per la condotta di rete, comandate e controllate dal sistema centrale di telecomando ed atte ad assicurare il trasporto dell’acqua in lungo ed in largo per tutta Italia. Si tratta ovviamente di un’opera colossale ma in grado di offrire enormi benefici. Poter disporre di un vero fiume d’acqua sia potabile che grezza che percorre l’intera penisola, e che può contare su una grande diversificazione del sistema di captazione come quello descritto, realizza una vera integrazione di tutti gli acquedotti italiani riuscendo a supplire alle loro deficienze idriche, a raccogliere le produzioni sovrabbondanti, ed a compensare le escursioni del fabbisogno e quelle della produzione. Da rilevare come la produzione ed il trasporto di grandi volumi d’acqua di cui si tratta sia caratterizzata da costi specifici molto inferiori di quelli che si dovrebbero sostenere per gli stessi volumi tramite molti piccoli impianti. In tal senso sono da rilevare l’ottimo rendimento elettro-meccanico delle pompe di grande e grandissima potenza, le modeste perdite di carico di condotte di grande diametro come sono quelle indicate e che conferiscono alla rete magliata una grande flessibilità ed eccezionali possibilità nel trasporto dell’acqua. Con la portata citata di 25 mc/sec per ciascuna condotta da 4.5 metri di diametro si ha una perdita di carico di soli 34 cm al chilometro e quindi, supponendo che ciascuna centrale sollevi l’acqua ad una pressione di 12 bar e di conservare a fine tronco una pressione di almeno 2 bar necessaria per la consegna ai vari ATO comunque disposti, si può prevedere, tra una centrale e l’altra, un’estesa di ben 300 Km il che riduce il numero degli impianti di sollevamento principali necessari per l’intera rete nazionale a soli otto o al massimo dieci.
Il sistema idrico di cui si discute presenta indubbi vantaggi anche in ordine alla sicurezza di esercizio in quanto, trattandosi di rete magliata, é possibile mettere alternativamente fuori servizio i vari tronchi per effettuarne la manutenzione o la riparazione. Il grande diametro delle tubazioni principali (4.5 metri) consente di accedere all’interno con uomini e mezzi e quindi di fare le riparazioni senza esecuzione di movimenti di terra. Il sistema presenta anche una grande flessibilità potendo di volta in volta adeguare, grazie al funzionamento a pressione variabile, la portata addotta all’effettivo fabbisogno. Esiste una ulteriore facoltà di adattamento alle condizioni locali in quanto, ove se ne presentasse la necessità, sarebbe sempre possibile aumentare la portata d’acqua grezza di cui dispone la relativa rete grezza attingendo, soprattutto in caso di forniture temporanee volte a risolvere gravi crisi del momento, alla rete potabile nel mentre l’intervento opposto, in caso di maggiori richieste d’acqua potabile, potrebbe essere risolto attingendo alla rete grezza e sottoponendo l’acqua, ovviamente, al processo di potabilizzazione.

 

11) CONCLUSIONI

Un esempio di piccola rete acquedottistica a carattere regionale

La soluzione del problema che attanaglierà la futura società italiana cioè quello del suo approvvigionamento idrico viene indicata mediante due grandi reti idriche magliate che percorrono tutta l’Italia consentendo di coprire il grande divario esistente da una regione all’altra e da un periodo all’altro sia nelle disponibilità e sia nei fabbisogni.
Sicuramente l’idea che possano esistere delle condotte che, ad esempio, trasportino in Sicilia acque provenienti dal Veneto, appare una assurdità.
Diventa più plausibile qualora si consideri una rete idrica che partendo dal nord e intersecando i vari enti acquedotto, consorzi irrigui ed in genere i più importanti servizi idrici esistenti che incontra lungo il suo percorso, come, ad esempio e nell’ordine, quelli lombardi, emiliani, laziali, pugliesi ecc, sia in grado di fornire o prelevare da ciascuno di loro acqua potabile o grezza a seconda della situazione temporale ed ambientale di ognuno di essi costituendo quindi un importante elemento d’unificazione di tutti i servizi idrici Italiani e di interscambio nei due sensi di grandi portate d’acqua. Il fatto che tale rete comprenda un’estremità settentrionale con grandi disponibilità idriche e l’altra all’estremità opposta caratterizzata da un notevole deficit idrico, non ne modifica l’impostazione di base che resta appunto quella di costituire un grande elemento moderatore delle varie esigenze e risorse idriche di tutte le regioni Italiane.
Da rilevare anche l’approvvigionamento dei grandi volumi d’acqua necessari che si suppone attuato mediante gli sbarramenti mobili di foce cioè d’opere atte ad utilizzare in maniera del tutto nuova, anche se da verificare, la grande disponibilità d’acqua di alcuni fiumi italiani.
Si tratta comunque di una mera e provocatoria esercitazione della fantasia spinta, forse, troppo in avanti ma che si sottopone ai lettori con la speranza di aprire un dibattito dal quale potrebbero anche derivare utili indicazioni per il raggiungimento di un qualche risultato positivo.

aggiornamento novembre 2005